Emanuele Piccardo_Radical City
E’ in distribuzione in questi giorni il numero 01 di archphoto 2.0 il cui tema è “Radical City” con interventi di Massimo Ilardi, Alessandro Mendini, Elisa Poli, Antonio Tursi, Giovanni Bartolozzi, Hal Foster, Superstudio, Archizoom, Gruppo Strum, Zziggurat, Gianni Pettena, Ugo La Pietra, UFO, 9999, Robert Smithson, Caroline Maniaque, Brunetto De Batté, Bruno Orlandoni.
archphoto 2.0 è edito da plug_in
Introduzione
E’ la città lo spazio di rappresentazione e sperimentazione delle teorie espresse dall’architettura radicale italiana. Dopo la mia prima ricerca, “Dopo la rivoluzione. Azioni e protagonisti dell’architettura radicale italiana”, in cui facevo parlare i diretti protagonisti, in questo nuovo numero di archphoto2.0 ho pensato di trattare il tema della città radicale. Ovvero quel luogo dove si sono alternate le sperimentazioni teoriche e pratiche dei radicals. Questo spostamento del punto di vista consente di leggere in modo nuovo l’architettura radicale comprendendo l’intero movimento ed evitando di procedere per singoli frammenti, a mio avviso riduttivi della potenza teorica dei radicals.
L’obiettivo è scrivere una pagina nuova, in quanto mai scritta, della storia dell’architettura partendo dal contesto politico e culturale degli anni sessanta. Le rivolte studentesche per una migliore didattica nelle università, le occupazioni, gli scioperi, l’ondata rivoluzionaria proveniente da Berkeley, il People Park, la nascita della pop art in Inghilterra, la crisi dell’architetto dopo la fine del movimento moderno, la de-strutturazione del linguaggio, l’attraversamento disciplinare tra arte, architettura, musica, teatro hanno determinato quel sottofondo culturale nel quale è nata l’avventura radicale. Avventura che si è sviluppata a Firenze, Torino e Milano, creando legami con altri movimenti della neo-avanguardia architettonica in Austria (Pichler, Haus Rucker, Coop Himmelblau) e UK (Archigram, Cedric Price).
Firenze è stato uno dei centri di sviluppo del movimento grazie ai due Leonardi: Ricci e Savioli che, insieme a Eco e Konig, hanno consentito lo svilupparsi delle teorie radicali ma occorre ricordare Torino con la figura di Pietro Derossi e i suoi legami con l’arte povera, mentre a Milano Ugo La Pietra, Sandro Mendini, Ettore Sottsass e Fernanda Pivano.
Se da un lato i primi progetti sono rimasti nella dimensione teorica per alcuni come Archizoom, Superstudio, Strum in un ambiguo rapporto col design che, col passare del tempo, ha assunto sempre maggiore importanza dopo la consacrazione internazionale nella mostra, curata da Ambasz al Moma nel ‘72 “Italy: the new domestic landscape”; ad eccezione degli Zziggurat ultimo gruppo radicale. Per altri come UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra e 9999 il terreno della sperimentazione teorica/pratica è stata la piazza;uno spazio adatto alle installazioni e alle performance usando lo stesso linguaggio degli artisti. Ma soprattutto il luogo del contatto diretto con gli studenti e le loro proteste contro l’accademia e il sistema dominante, fatto che ha caratterizzato lo svolgimento delle opere degli UFO, capitanati da Lapo Binazzi, che tra gonfiabili e performance hanno declinato in modo mirabile il rapporto tra semiologia e architettura. Lo spazio pubblico diviene il luogo del confronto tra artisti e radicals, come accade a Campo Urbano (ideato da Luciano Caramel a Como nel ‘69) dove La Pietra, Pettena+Chiari e Paolini si ritrovano; e ancora il dialogo tra Robert Smithson e Gianni Pettena. Ma c’è uno spazio che rappresenta l’unica possibilità per un architetto degli anni sessanta di esprimere il concetto di modernità: la discoteca. Ogni architetto radicale ne progetta una. A Firenze i Superstudio realizzano il Mach2, mentre i 9999 fanno la disco più nota, lo Space Electronic che gestiscono ospitando concerti di gruppi emergenti inglesi, happening e performance del teatro sperimentale. La disco Bamba Issa degli UFO a Forte dei Marmi e il ristorante Sherwood a Firenze, la boutique Altre Cose con annessa disco Bang Bang di La Pietra a Milano. Il piper di Torino progettato e gestito da Pietro Derossi che diventa un ritrovo per l’arte povera. Questo nuovo scenario legato all’entertainment ha un padre nell’architetto Leonardo Savioli che, ispirato dai suoi assistenti tra i quali Adolfo Natalini, fa suo il tema della discoteca nel corso di arredamento e architettura degli interni alla facoltà di architettura di Firenze; non è un caso che gli autori del Piper di Roma siano stati suoi allievi. Un altro aspetto importante dell’epoca è la presenza di pubblicazioni auto prodotte: dalle fanzine degli Archigram a In e In più di La Pietra, fino al catalogo col pelo dei 9999 per un evento allo Space Electronic con i Superstudio. Ma sono le riviste come AD e Casabella a promuovere la nouvelle vague della sperimentazione dove emerge la figura di Sandro Mendini che rivoluziona il modo di fare la rivista inventandosi di volta in volta le copertine, affidando alle immagini un ruolo espressivo centrale.
L’architettura radicale che ha mosso i primi passi dalle avanguardie storiche dada, futurismo ed espressionismo ha condizionato la storia dell’architettura nel silenzio della storiografia ufficiale rappresenta ancora oggi un tesoro da scoprire e analizzare. Con questo numero di archphoto2.0 si vuole riscrivere la storia fornendo un’ulteriore punto di vista da cui ripartire per nuove utopie realizzabili.
english version
The city is where Italian radical architecture represented and experimented its theories. Having developed a first survey entitled “Dopo la rivoluzione. Azioni e protagonisti dell’architettura radicale italiana” [“After the revolution. Actions and protagonists of Italian radical architecture”] where I let those protagonists take the stand, for this new issue of archphoto2.0 I decided to approach the issue of the radical city. Or the place the radicals chose for their theoretical and practical experimentations. This change of point of view provides a new reading of radical architecture as it embraces the entire movement and avoids an excessive focus on individual fragments, which I think would diminish the radicals’ theoretical power.
The goal is writing a new, as never written before, page of architectural history by using the ‘60s political and cultural context as a departure point. The student protests for a better education in universities, sit-ins, strikes, the revolutionary wave from Berkeley, the People Park, the birth of pop art in England, the crisis of architecture after the end of the modern movement, the destructuring of language, the disciplinary cross-over of art, architecture, music, and theatre contributed to the cultural background that generated the radical adventure. An adventure that took shape between Florence, Turin and Milan and created connections with other movements of the new architectural avant-garde in Austria (Pichler, Haus Rucker, Coop Himmelblau, Hollein) and the UK (Archigram, Cedric Price).
Florence was one of movement’s main hubs as the city of the two Leonardos – Ricci and Savioli who, along with Eco and Konig, promoted the development of radical theories. In Turin a key role was played by Pietro Derossi with his Arte Povera connections, while the Milan scene was dominated by Ugo La Pietra, Sandro Mendini, Ettore Sottsass and Fernanda Pivano.
While the early projects remained theoretical proposals, some, including Archizoom, Superstudio, Strum, established an ambiguous relationship with design that, in time, became more and more important after the international exhibition “Italy: the new domestic landscape” curated by Ambasz at the MoMa in 1972; the only exception was Zziggurat, the last radical group. Others like UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra and 9999 chose the “piazza” (public space) for their theoretical/practical experimentation as the adequate venue for installations and performances that used the same language as that of artists. But the “piazza” was even more the place for a direct connection with the students and their protests against the academy and the ruling system – that influenced the development of UFO, the group led by Lapo Binazzi who, between inflatable objects and performances, admirably interpreted the relationship between semiology and architecture. Public space became the venue for an exchange between artists and radicals – for example with Campo Urbano (curated by Luciano Caramel in Como in 1969), the meeting place of La Pietra, Pettena+Chiari and Paolini; or with the dialogue between Robert Smithson and Gianni Pettena. There is, however, one place in particular that an architect in the ‘60s saw as uniquely capable of expressing the concept of modernity: the disco club. Every radical architect designed one. In Florence, Superstudio designed Mach2, while 9999 created and managed Space Electronic, the most famous club, where the group organized concerts by emerging British bands, happenings and experimental theatre performances. UFO’s Bamba Issa disco club in Forte dei Marmi and the Sherwood restaurant in Florence, La Pietra’s Altre Cose boutique with its Bang Bang disco club in Milan. The Piper disco club designed and managed by Pietro Derossi in Turin became an Arte Povera meeting place. This new scene so keen on entertainment was promoted by Leonardo Savioli who, inspired by his assistants such as Adolfo Natalini, proposed the disco club as a design type in his furniture and interior design course at the School of Architecture in Florence; of course, the designers of the Piper in Rome had also been his students. Another important aspect of this age was the flourishing of independent publications: from Archigram’s fanzines to La Pietra’s In and In più, up to 9999’s furry catalogue for an event at Space Electronic with Superstudio. The new wave of experimentation was championed by magazines such as AD and Casabella with Sandro Mendini emerging with his revolutionary approach to cover design and focus on images as crucial expressive devices.
Inspired by the historical avant-gardes – dada, futurism and expressionism, radical architecture played a crucial role in architecture history seldom if ever mentioned in official histories of architecture and today represents a treasure still be to be unveiled and researched. This issue of archphoto2.0 tries to rewrite history by providing a new point of view as the possible source of new achievable utopias.
translation by Antonella Bergamin