Marco Scotini_Quale ordine?

Triennale di Milano
Occupazione della XIV Triennale di Milano 1968. Courtesy Archivio Fotografico Triennale di Milano

Archphoto presenta la rivista No Order Art in a Post Fordist Society nata da un’idea del curatore Marco Scotini, Direttore del Biennio Arti Visive e Studi Curatoriali della NABA di Milano, sostenuta dalla Naba stessa, espressione di una ricerca durata quattro anni, si presenta più come una sostanziosa pubblicazione piuttosto che una rivista, ponendosi in antitesi con le riviste d’arte contemporanea sempre più povere di contenuti ed idee. Una grafica e un formato che richiama l’esperienza di Marcatré e del suo grafico Magdalo Mussio, rivista edita nel 1963 e fondata dal Gruppo Letterario ‘63. No Order si pone come rivista militante contro l’ordine precostituito, contro un certo modo di fare arte e cultura attraverso un layout grafico ben strutturato da Chiara Figone che interpreta i contenuti attraverso immagini e mappe cognitive che si allineano anche al progetto culturale che plug_in, editore di Archphoto, sta sviluppando nell’editoria a partire dal progetto cartaceo Archphoto2.0. Non è casuale, dunque, questa presentazione dei contenuti della rivista No Order attraverso l’editoriale dell’editor-curatore Marco Scotini e la selezione del testo di Astrit Schmidt-Burkhardt su “Maciunas, l’eterno classificatore”.
Buona lettura!

Emanuele Piccardo

Uno dei più noti art dealer di New York è il primo gallerista ad assumere, nel gennaio 2010, la leadership di un museo di arte contemporanea tra i maggiori negli USA. Dopo aver ricevuto in regalo 30 milioni di dollari dal miliardario Eli Broad per il trentesimo anniversario dell’istituzione – che è ormai in preda ad una irreversibile crisi finanziaria – il MOCA di Los Angeles sancisce un nuovo connubio tra marketing e arte come modello direzionale, contravvenendo alle forme convenzionali d’incarico. Nel maggio 2010 il Ministro del Tesoro britannico George Osborne annuncia, da un giorno all’altro, tagli senza precedenti alla spesa pubblica per far fronte alla riduzione del deficit nazionale. Una correzione drastica dei conti pubblici e dello stato sociale che disegna uno scenario di crisi che non si presentava da oltre trent’anni nel Regno Unito. Anche se è vero che tale misura d’austerità ormai è diventata l’obiettivo verso cui convergono, pur nella varietà delle strategie, le politiche di tutti i governi europei. In giugno il vertice del G20 di Toronto, lontano dal trovare una possibile soluzione alla crisi economica, ha rafforzato i processi di finanziarizzazione. Ha riconfermato l’asse di aiuti reciproci Cina-Stati Uniti e ha dato l’imprimatur ad una logica europea del tipo ’si salvi chi può’, promulgando politiche fiscali restrittive, colpendo ancora una volta il mondo del lavoro e proseguendo nello smantellamento di servizi sociali di base.

Alla fine di agosto Hans Ulrich Obrist raggiunge il record della serie delle sue maratone d’interviste. In occasione della XII Biennale d’Architettura di Venezia il noto curatore organizza ad hoc una delle sue sessioni di lavoro intensivo a mezzo di linguaggio intervistando senza sosta tutti i partecipanti alla esposizione. I tecnici, gli esperti, gli operatori sono le forze mentre le interviste sono le forme necessarie alla produzione del valore. Si tratta di catturare qualità valorizzanti in tempo reale e in un rapporto di esternalità. “People meet in architecture” è, non a caso, il titolo della Biennale stessa. Agli inizi di settembre il board di Manifesta Foundation si riunisce per la nomina della direzione artistica della prossima edizione della Biennale, che da un team di 5 curatori nella prima edizione passa ora ad uno solo. Per la selezione il board decide di insediarsi all’interno del corpo svuotato di una fabbrica minerario-carbonifera belga degli inizi del secolo scorso. Ma il luogo scelto per la selezione “a porte chiuse” è esattamente quello dell’ex ufficio direttivo dell’industria, rimasto ancora arredato secondo il decor austero anni Trenta.

Lo scambio di ruoli tra industria fordista del passato e attuale impresa postfordista risulta totalmente invariato: ad una centralità produttiva se ne sostituisce un’altra e come in precedenza si importava forza-lavoro ora è compito dell’impresa importare flussi di pubblici che pagano. Neppure lo scenario delle forme d’assoggettamento è mutato anche se lo slogan dell’impresa attuale è quello di adottare “open-ended, democratic procedures”. Ricordate i quattro rappresentanti dei Poteri dello Stato che, con tre narratrici, in un noto film decidono di rinchiudersi per 120 giorni all’interno di una villa isolata al fine di selezionare giovani attraverso un proprio regolamento autoistituito?

Ancora in settembre, la 29ª Biennale di Sao Paulo viene totalmente smentita nella sua supposta pretesa di essere politica. Alla dichiarazione dei curatori “che è impossibile separare arte e politica”, fa riscontro l’immediata censura accettata di un’opera in cui l’immagine della candidata del Partito dei Lavoratori alle elezioni presidenziali brasiliane si fronteggia con quella del suo rivale social democratico. Il 22 novembre il nuovo curatore di Berlin Biennale lancia una open call per artisti che si autodichiarano politici a differente titolo. Quanto viene affermato dalla volontà di intervenire nelle procedure selettive, è totalmente negato dagli stessi criteri di selezione fondati per convenzione “sull’intuizione e l’ambiguità” del curatore e tali da non garantire a coloro che vi partecipano di essere invitati. Così si tratta ancora una volta di esternalizzazione produttiva e di estrazione di lavoro a titolo gratuito, oltre che di strategia comunicativa. Il 4 dicembre un annuncio speciale e-flux informa tutti gli utenti dell’arte che l’VIII Gwangju Biennale nei 66 giorni di apertura ha raggiunto il numero record di 491.697 visitatori paganti con un incremento del 25% rispetto all’edizione precedente. In confronto ai 109.678 visitatori di Manifesta e ai 170.801 della Biennale di Architettura di Venezia, l’evento di Gwangju si attesta così tra le mostre più visitate del mondo.

Che cosa accomuna tanti eventi differenti? È facile capire come tutti questi sintomi abbiano un’unica matrice: ciò che chiamiamo capitalismo postfordista, per cui la finanziarizzazione non è che l’altra faccia - “adeguata e perversa”- della contemporanea trasformazione del lavoro e del suo valore. Un lavoro che oggi coincide con strategie produttive in cui i saperi, le competenze cognitive della forza-lavoro e la vita stessa di ognuno assumono il ruolo svolto dalle macchine nella precedente epoca fordista. Ecco che nelle fabbriche sociali e diffuse del capitalismo cognitivo lo sfruttamento è sempre meno visibile: è talmente esteso al di fuori dal tempo contrattuale del lavoro da colonizzare economicamente la vita stessa, da assoggettare e controllare gni spazio di “libera” azione produttiva.

Non basta aver il coraggio di denunciare pubblicamente, come il grande Peter Watkins fa nel 2003, la casa di produzione del proprio ultimo film mettendone a nudo le implicazioni economiche e le forme di corruzione nel momento in cui queste sono appena scoperte. Non è più un problema morale. Si tratta ora di prendere coscienza delle nuove geografie spazio-temporali della produzione cognitiva su scala globale, delle figure del lavoro che stanno emergendo a partire dal riconoscimento radicale che queste sono politicamente disarmate, ancora incapaci di ricomposizione sociale. Infine, l’invenzione di nuove forme d’azione e di coalizione, soprattutto ora che al processo di crisi fa seguito una riaffermazione di neoregimi e condotte sempre più opprimenti.
E ciò lontano dal cinismo della visione innovante dell’impresa post-fordista così come dal cinismo di quella nostalgica del salariato e della classica formula trinitaria salario-profitto-rendita.
Se all’arte non rimane che lavorare sul lavoro, sulle condizioni del proprio lavoro, è altrettanto necessario considerare l’industria culturale come nuovo terreno di scontro politico. E allora: perchè non provare a ripartire, proprio qui, da Milano? Proprio da quello spazio in cui un grande processo di trasformazione sociale è rimasto interrotto?

[Marco Scotini]

No Order is a research, production and publication machine based in Milan, employing different tools to impact the social, semiotic and economical assemblages within the contemporary cultural industry.

Developed by NABA - Nuova Accademia di Belle Arti, Milan Department of Visual Arts and Curatorial Studies
Part of Laureate International Universities

Editor in chief:
Marco Scotini

Editorial Board:
Asef Bayat,Harun Farocki, Peter Friedl, Maurizio Lazzarato, Sylvère Lotringer, Christian Marazzi, Achille Mbembe, Angela Melitopolus, Nelly Richard, Florian Schneider, Nomeda & Gediminas Urbonas,
Françoise Vergès

Managing Editor:
Paolo Caffoni

International Editor:
Andris Brinkmanis

Editorial Office:Caterina Iaquinta,Elvira Vannini

Contributing Editors:Michele D’Aurizio, Matteo Lucchetti, Lorenza Pignatti

Editorial Assistant:
Davide Zanutta

Translators:
Domenico Berardinelli, Simonetta Fadda, Vincenzo Latronico, Carlo Pellegrini, Nicola Rudge Iannelli
Paolo Scotini, Simon Turner

Copy Editors:
Michèle Fauget, Ilaria Bombelli

Design:
Chiara Figone, Archive Appendix

Founding Editors:
Marco Scotini
Elisabetta Galasso, NABA

Publisher:
Archive Books, Berlin

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