Emanuele Piccardo_Clip, stamp, fold
Clip, Stamp, Fold. The radical architecture of little magazines 196X to 197X è l’ultima ricerca, pubblicata da Actar, della storica dell’architettura Beatriz Colomina insieme a Craig Buckley. E’ il risultato del gruppo di lavoro della Princeton University del quale hanno fatto parte, oltre ai curatori, Leonardo Diaz-Borioli, Anthony Fontenot, Urtzi Grau, Lisa Hsieh, Alicia Imperiale, Lydia Kallipoliti, Olimpia Kazi, Daniel Lopez-Perez, Joaquim Moreno e Irene Sunwoo.
Negli anni novanta era l’olandese 010 publishers, famosa per il libro-mattone di un teorico Rem Koolhaas e un grande artista, il grafico Bruce Mau, nell’indimenticato e supercopiato S,M,L,XL ad essere l’editore cool. Oggi rimpiazzata dalla sempre più potente Actar che, dopo l’acquisto dell’editore svizzero Birkhauser, è diventata la casa editrice che può, attraverso le sue scelte, orientare il mercato dell’editoria specializzata di architettura in Europa e nel mondo. Lo strapotere iberico non sorprende in quanto lo spagnolo è la seconda lingua parlata dopo il mandarino, la sesta lingua ufficiale dell’ONU e in un certo modo la rinascita spagnola, iniziata vent’anni fa proprio con l’architettura, prosegue con l’editoria e, in questo senso, le pubblicazioni di Actar lo dimostrano. Il libro di Colomina e Buckley esce dopo la mostra omonima itinerante iniziata dallo Storefront di NY nel novembre del 2006. I due autori hanno raccolto le riviste della controcultura attive dal 1962 al 1979. L’inizio della ricerca è riservato a due riviste significative che ne hanno influenzato il nascere di altre. Polygon fondata a Londra nel ‘56 dagli studenti del Regent Street Polytechnic e di cui fece parte anche Michael Webb, prima essere uno degli Archigram, e l’Internationale situationniste fondata da Guy Debord, Asger Jorn, Constant Nieuwenhuys, attiva dal ‘58 al ‘69. Il sottotitolo del libro “the radical architecture” (architettura radicale) è fuorviante in quanto storicamente si riferisce alla definizione data dal critico Germano Celant all’architettura italiana della neo-avanguardia operante a Firenze, Torino e Milano dal ‘63 al ‘73. Definita tale per essere contro un certo modo di intendere la professione dell’architetto, contro il potere, dura e radicale, nel senso di estrema, ha prodotto una quantità notevole di pensieri teorici, progetti, installazioni, happenings, oggetti di design. Ma c’è un altro punto sul quale è necessario riflettere: l’assenza di un testo critico che analizzi il fenomeno della rivista radicale underground, le motivazioni culturali e politiche.
Il libro infatti è pensato come un catalogo con schede descrittive di ogni rivista selezionata, in alcuni casi gli anni sono quelli in cui la rivista viene fondata, in altri viene scelto un suo numero significativo. Questa divergenza può costituire da un punto di vista storico un problema, ciò è evidente con Marcatrè di cui viene selezionato non il primo numero, pubblicato nel ‘63, ma il 50/55 del ‘69 dedicato alla conferenza Utopia e/o rivoluzione (tenutasi a Torino alla quale parteciparono molti esponenti della controcultura da Yona Friedman a Paolo Soleri, da Architecture Principe ad Archizoom, da Utopie a Noam Chomsky).
Marcatre n.50/55 , 1969 dedicato al convegno Utopia e/o Rivoluzione
Marcatre n.50/55 , 1969 dedicato al convegno Utopia e/o Rivoluzione
Particolarmente interessanti invece sono sia le interviste realizzate ai vari direttori/fondatori dei magazines tra i quali: Peter Cook (Archigram), Ugo La Pietra (IN, In Più), Alessandro Mendini (Casabella), Jean Aubert e Jean Paul Jungmann (Utopie), Chip Lord (Ant Farm), Andrea Branzi (collaboratore di Casabella), Hans Hollein (Bau Schrift für Architektur und Städtebau), Robin Middleton (Architectural Design); sia i colloqui organizzati a New York presso lo Storefront a cui vengono invitati i protagonisti di allora e alcuni direttori contemporanei di riviste.
Proprio negli “small talks” Robin Middleton, editor di Architectural Design, critica la definizione di “little magazines”data dagli autori. Middleton non considera Casabella una piccola rivista al pari di quelle autoprodotte ed espressione della controcultura. E per dare supporto al suo dubbio cita l’articolo di Denise Scott Brown “Little magazines in architecture and urbanism”, scritto nel ‘68 per il Journal of the American Institute of Planners in cui lei afferma-che le piccole riviste rappresentano la nuova tendenza nella professione e sono un indicatore di quelle idee che verranno accettate nel futuro…Piccole riviste solitamente sono dirette da una forte personalità che produce un pensiero unitario… esse sono spesso scurrili, irresponsabili e sovversive dell’ordine esistente…hanno una forma grafica che rispecchia i contenuti espressi, sono mal distribuite e pubblicizzate e durano un tempo limitato.” (trad. mia dall’originale)
Utopie, rivista fondata dal gruppo omonimo nel 1967 a Parigi
A partire da queste affermazioni l’impostazione critica non appare convincente perchè equipara riviste accademiche a riviste cresciute nel sottobosco dell’underground. Come la sovrapposizione, ad esempio, tra Casabella e Marcatrè. Quest’ultima nasce come una rivista contro, contro un certo modo di fare cultura informando e criticando lo status quo. Casabella invece rappresenta la rivista famosa che ha scritto pagine importanti della storiografia architettonica, fondata da Guido Marangoni nel ‘28 e diretta dal ‘33 al ‘43 da Giuseppe Pagano ed Edoardo Persico, non si può definire una piccola rivista.
Casabella n.111/1937 direttore Giuseppe Pagano
Casabella n.371/1972 direttore Alessandro Mendini
Casabella n.371/1972 direttore Alessandro Mendini
Solo dal 1970 al 1976, con il direttore “underground” Alessandro Mendini, Casabella diventa una rivista alternativa soprattutto per i temi trattati e la grafica usata: dai progetti di Archigram ai radicali italiani, dalle radical notes di Branzi ai testi critici di Germano Celant sugli earthworks.
“Clip, Stamp, Fold”, non giunge alla conclusione della tesi espressa, ovvero l’importanza della rivista nella diffusione del pensiero “radicale”, ma tuttavia ha un merito primario: il confronto tra le diverse esperienze editoriali della controcultura. Attraverso lo strumento del libro si afferma con determinazione la forza della rivista come mezzo per presentare le teorie delle avanguardie e le relative sperimentazioni;con forme grafiche e di assemblaggio innovative e dirompenti rispetto alla tradizione delle pubblicazioni esistenti. Ma ciò che è evidente, per un europeo, italiano, è l’aver dato visibilità a coloro che hanno fatto parte del team di ricerca al pari dei curatori. In questo modo si percepisce il libro come opera collettiva dalla quale ripartire, attraverso il corollario di materiali (le interviste ai direttori, i colloqui), per nuove modalità interpretative.
Le riviste alternative al sistema
Le riviste alternative nascono per opporsi al sistema culturale dominante, alle istituzioni, al potere accademico e politico rappresentando l’avanguardia della società in modo divergente dal contesto in cui operano. Si oppongono alla società attraverso un modo di essere contro enfatizzato dall’uso di una grafica enfatica e provocatoria che mette in evidenza il contenuto dei testi pubblicati e con un uso delle immagini finalizzato alla rappresentazione di un pensiero.
E’ infatti con la diffusione della fotografia e del fotomontaggio utilizzato da tutti indistintamente dalle megastrutture di Hans Hollein nella pianura austriaca, alla nuotata di Mao per il concorso di Graz dei 9999, dal Monumento continuo del Superstudio alla No Stop City di Archizoom. Il fotomontaggio come accaduto con le avanguardie dada e costruttiviste viene usata per esprimere un concetto attraverso lo straniamento e la creazione di un immaginario mentale.
Una delle prime riviste sperimentali, tra le più copiate, è la fanzine Archigram fondata dal gruppo omonimo [1961-74] che si impone da subito come punto di riferimento per la grafica innovativa, richiamando i fumetti americani, come Capitan America, e i manifesti del Futurismo. Dall’altra parte dell’Atlantico Design Quaterly, prodotta dal Walker Art Center di Minneapolis, non certo un centro culturale anarchico, si fa portavoce delle istanze della protesta globale contro il sistema; che in USA ebbe, nell’occupazione di Berkeley del ‘64 e nel People Park (1969), le sue manifestazioni più rilevanti e più condivise in Europa. Proprio dal ‘64 al ‘68, sotto la direzione di Peter Seitz, la rivista si occupò di indagare le relazioni tra architettura, arte e tecnologia.
Ritornando in Europa, in Francia nel 1966 il duo Paul Virilio-Claude Parent fonda il gruppo e la rivista Architecture Principe che durò solo da febbraio a dicembre e che teorizzava la fonction oblique- ovvero-come afferma Parent “Se noi assumiamo una posizione orizzontale nello spazio-afferma Parent-non abbiamo coscienza del nostro corpo, il corpo non parla. Viceversa lo stare su un piano inclinato (obliquo) dona la parola al corpo che ci trasmette le sensazioni che lo spazio emana”. L’anno nasce la rivista Utopie della quale fecero parte: Hubert Tonka, Jean Baudrillard, René Lourau, Catherine Cot, Jean Aubert, Jean-Paul Jungmann, Antoine Stinco.
Ma è l’Italia ad essere il centro delle pubblicazioni underground con Marcatrè, fondata nel ‘63 dal Gruppo Letterario ‘63 composto, tra gli altri, da Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Eugenio Battisti (direttore), Nanni Balestrini. Rivista che ha ospitato i testi di Eco, tra i quali si ricorda “Per una semiologia dell’architettura” e ancora i radicali Gianni Pettena e UFO che presentano l’installazione e l’happening al 6° Premio Masaccio a San Giovanni Valdarno (1968); evento quest’ultimo che comportò la caduta della giunta comunista. Non solo ma la rivista, i cui primi numeri furono editati a Genova da Rodolfo Vitone, diventò uno spazio di informazione e riflessione critica per tutte le avanguardie: dalla letteratura al cinema, dall’arte all’architettura. Ospitò le composizioni visive dell’artista fluxus Giuseppe Chiari, i testi sugli artisti dei giovani Achille Bonito Oliva e Germano Celant mediante una grafica sublime creata da Magdalo Mussio. Tra le molteplici suggestioni presenti negli anni Sessanta non bisogna dimenticare il ruolo svolto dalla scrittrice Fernanda Pivano nel diffondere in Italia i classici della letteratura americana, grande amica di Kerouac e Ginsberg. Lei, insieme al marito Ettore Sottsass jr, designer di Olivetti dal 1958 (sua la celebre Valentine), con la rivista Pianeta Fresco, autoprodotta nel 1967, aprì nuovi orizzonti all’avanguardia architettonica nostrana.
In n.2-3, marzo/giugno 1971
Le riviste alternative però non sono solo quelle di architettura come dimostra la marxista Contropiano fondata nel ‘68 da Massimo Cacciari, Alberto Asor Rosa e Toni Negri.
In contemporanea con la direzione Mendini a Casabella, Ugo La Pietra fonda due riviste che diventano strumento di diffusione del pensiero radicale In, attiva dal 1971 al 1973, e In Più dal ‘73 al ‘75. Quando nel 1972 Emilio Ambasz organizza la mostra al Moma Italy: the new domestic landscape, ampliando la visibilità delle sperimentazioni radicali, Pietro Derossi fonda insieme a Giorgio Cerretti, Carlo Gianmarco, Riccardo Rosso e Maurizio Vogliazzo il Gruppo Strum. Il gruppo in occasione della mostra autoproduce i Fotoromanzi (Utopia, Mediatory City, The Struggle for housing) sul modello degli analoghi italiani che, venduti in migliaia di copie, raccontavano storie d’amore. L’anno successivo Archizoom Associati, Remo Buti, Casabella, Riccardo Dalisi, Ugo La Pietra, 9999, Gaetano Pesce, Gianni Pettena, Rassegna, Ettore Sottsass jr., Superstudio, Ufo e Zziggurat danno vita, nella redazione di Casabella, alla Global Tools, laboratori di design con l’uso di tecniche naturali, diffusi attraverso l’omonima rivista la cui copertina è un fotomontaggio di oggetti sullo sfondo di una parete di masonite forata; ciò determina un legame con l’artigianato, in quanto essa è uguale a quelle presenti nelle officine per appendere gli attrezzi.
Parallelamente alle riviste, i gruppi radicali italiani, inglesi, austriaci e americani in occasione delle mostre e delle performances erano soliti autoprodurre cataloghi sperimentali, nella grafica e nei materiali, per divulgare le proprie ricerche. Veri e propri oggetti pop come nel caso del catalogo delle opere dei 9999 con la copertina in rame e le pagine rosa, bilingue italiano e inglese, a tiratura limitata; e ancora il catalogo con la copertina di pelo bianco realizzato da 9999 e Superstudio per la tre giorni (9-11 novembre 1971) alla discoteca Space Electronique di Firenze, progettata dagli stessi 9999, dove i gruppi radicali italiani e gli ospiti stranieri si incontrarono per dibattere, costruire installazioni, fare performances.
Ancora una volta la rivista è il mezzo per divulgare le teorie delle avanguardie e presentare le sperimentazioni ma dopo cinquant’anni nessun magazine è riuscito a mantenere questa peculiarità.