Lorenzo Fabian_Aree militari dismesse
Sito 3, San Giorgio di Livenza, fotografia di Cristian Guizzo
Estuario della Loira, estate del 45′
l’immensa spiaggia de La Baule era deserta, noi eravamo meno di una decina sull’ansa di sabbia bionda, le strade erano sprovviste di qualsiasi veicolo; era una frontiera che una armata aveva appena abbandonato e il significato di questa immensità marina era per me inseparabile da questo aspetto di campo di battaglia deserto. Ma torniamo alle sequenze dell’apparizione…
P.Virilio, Bunker Archéologie
Confini e apparizioni
Gli equilibri geopolitici appaiono spesso lontani dalle trasformazioni dello spazio urbano. Negli ultimi anni invece, con lo spostamento verso est dei confini dell’Unione Europea, un vasto deposito di aree a servizio di quel confine, militari, ma anche doganali e commerciali, è diventato di colpo obsoleto, anzi del tutto inutile.
Non esiste più un confine esterno ma è sparito anche un confine interno alle città, quello tra aree civili e militari. Quelle superfici che fino a poco tempo fa apparivano ‘invisibili’ nelle Cartografie comunali e regionali, perché manipolate per ragioni di segretezza, sono diventate di colpo visibili in tutta la loro estensione. L’abolizione della leva obbligatoria unitamente allo spostamento degli interessi strategici legati alla sicurezza militare, hanno liberato molte aree rendendo immediatamente palesi e accessibili spazi e superfici che le strategie della sparizione (1) avevano fino a quel momento occultato.
In Italia sono 804 gli immobili che il Ministero della Difesa ha ceduto al Demanio, per un valore stimato di circa 40 miliardi di euro (2). Nel solo Friuli Venezia Giulia sono state cedute a titolo gratuito 36 aree militari fra caserme dismesse, depositi di armi abbandonati, ex campi di addestramento (3). Secondo un’indagine della Procura Militare di Padova, in FVG sono più di 400 i beni tra ex caserme, arsenali, depositi, ospedali, basi, poligoni, polveriere, alloggi dell’esercito lasciati nell’abbandono. Città diverse tra loro come Gorizia, Tolmezzo, Trieste, Pordenone si trovano a dover ragionare su come sfruttare ampie superfici, spesso situate in posizioni molto appetibili, delle quali finora era stata quasi ignorata l’esistenza. Un paese di primule e caserme è un progetto e un video a cura di Cinemazero, “Le voci dell’inchiesta” e LaREA -Laboratorio Regionale di Educazione Ambientale(ARPA FVG) che ha l’obiettivo di fare il punto della situazione sul tema della riconversione di più di 100km2 di aree militari dismesse nel solo territorio della regione (4).
A Palmanova, celebre esempio di città fortificata seicentesca, quasi un sesto della superficie sarà riconquistato dalla città storica in seguito alla dismissione della caserma Ederle; dopo molti decenni saranno ricomposti alcuni dei tracciati radiali storici che si interrompevano contro il recinto dello spazio militare. Un evento rilevante, sia dal punto di vista urbanistico, sia da quello economico. Udine sarà interessata dalla riconversione dei 16 ettari sui quali sorgono le caserme Piave e Osoppo. Cervignano vedrà la riqualificazione dei circa 10 ettari della caserma Pasubio, mentre a Basiliano sono 20 gli ettari ‘liberati’ dalla caserma Lisa.
A Pordenone la caserma Fiore aprirà dentro la città nuovi spazi e superfici per circa 100.000 metri quadrati; è come se raddoppiasse la superficie del Parco Galvani, il più importante parco cittadino. Il processo di trasformazione della caserma Fiore ha rappresentato l’occasione per avviare nel 2006-2007 un processo di partecipazione e di esplorazione progettuale che ha coinvolto le associazioni di categoria della provincia pordenonese ed è confluito in un workshop di progettazione architettonica organizzato e promosso dalla associazione culturale “la Città Complessa” (5). Il caso della caserma Fiore di Pordenone e le proposte scaturite dal workshop di progettazione offrono lo spunto per trarre qualche riflessione di carattere generale sul ruolo potenziale di queste “nuove superfici” improvvisamente visibili agli occhi delle città.
Caserma Dardi, Villa Opicina, fotografia di Cristian Guizzo
Slittamenti Sospensioni
Accanto a queste sparizioni (di confini) e apparizioni (di superfici) si sono dissolte, anche se in maniera meno improvvisa, altre barriere che costituivano grandi categorie concettuali, modi di intendere la città e la pianificazione. Sono scomparsi, per esempio, i confini tra città e campagna, tra centro e periferia. Con esse è mutata l’estensione urbana e il conseguente valore posizionale delle grandi aree militari ed industriali. La sparizione di questi confini significa innanzitutto un incremento del valore economico di queste aree, che hanno assunto una posizione centrale all’interno delle città.
E’ anche il caso della Caserma Fiore, originariamente posta ai margini della città per ragioni di strategia militare e opportunità d’uso, in quello spazio che fino agli anni cinquanta avremmo ancora potuto definire “periferia”, ma che oggi ha guadagnato una posizione centrale nel tessuto edilizio della Pordenone contemporanea. Un lento e inarrestabile processo di inclusione, simile a quello che ha caratterizzato le aree dismesse (militari, industriali, portuali, ecc.) di molte altre città europee (6).
Per lungo tempo queste aree erano rimaste soltanto delle superfici potenziali, spazi immobili che resistono all’incessante mutamento che pervade la città che li circonda. Anche la Caserma Fiore vive questa strana e inquietante condizione: è un grande spazio sospeso tra due mondi, quello civile e quello militare, dentro la città ma separato da essa, in attesa di una nuova significazione fisica e concettuale.
Caserma Cavarzerani, Udine, fotografia di Cristian Guizzo
Nuove significazioni
Gran parte della città nuova è ormai costruita a partire dalla reinvenzione e dal riuso dei materiali e degli spazi che la città moderna ha abbandonato (7). In tutto il mondo occidentale vecchie scuole, opifici, intere aree industriali, artigianali e militari vengono convertite in zone residenziali, in servizi pubblici e in nuove centralità. Nei casi più interessanti sono conversioni che pongono le basi per la definizione di una nuova immagine della città. L’estensione e la posizione di queste aree è infatti tale per cui si può immaginare che a partire dalla loro riqualificazione possa avvenire una renovatio urbis molto più estesa (8).
Si può pensare a queste superfici come a delle grandi riserve di vuoto. Degli spazi che acquisiscono un valore potenziale proprio nella misura in cui rappresentano ancora la possibilità (forse l’ultima) di ritagliare delle grandi superfici libere nel cuore denso della città contemporanea. Oppure, all’opposto, si può cominciare a parlare della possibilità di una crescita urbana che avvenga dall’interno delle città consolidate. Un modello di sviluppo che si confronta con il contenimento del “consumo di suolo” (9), ma anche con la qualità architettonica dei manufatti presenti nelle aree che vengono restituite alle città. Riuso, riserve di vuoto, crescita dall’interno, non sono mosse necessariamente alternative. Ognuna di esse rappresenta solo un punto di fuga, indica una direzione privilegiata al progetto della città. Sono posizioni complementari, da combinare secondo i complessi meccanismi dell’interazione sociale e in relazione alle specifiche istanze del progetto. Le esplorazioni progettuali e il dibattito che ne consegue hanno quindi notevole importanza poiché è evidente che la riappropiazione di queste aree rappresenta un’occasione irripetibile per lo sviluppo futuro di Pordenone. Una riflessione coordinata tra le differenti municipalità friulane può estendere questa opportunità all’intero territorio regionale.
(1) Paul Virilio, urbanista e filosofo (1932), ha teorizzato una estetica della sparizione / apparizione confluita in un dottorato di filosofia sullo spazio militare. Virilio osserva attraverso una campagna fotografica condotta fra il 1958 e il 1965 il rilevantissimo deposito di oggetti e segni che la seconda guerra ha lasciato sulle spiagge della Loira . (Bunker Archéologie, Demi-Cercle, Paris 1975)
(2) L. Martinelli, Dalla Caserma alla brace, pubblicato in: «Altraeconomia», n. 85, luglio-agosto 2007
(3) Fonte: Ministero della Difesa, 2007
(5) I gruppi di progettazione invitati erano A2 studio (C. Michetti e L. Ponticelli) di Trento; CCP (C. Calderan, L. Cozzolin, E. Pedriva) di San Donà di Piave; C+S (C. Cappai e A. Segantini) di Venezia; GEZA (S. Gri e P. Zucchi) di Udine; MADE Associati (A. Marangon e M. De Poli) di Treviso; Studio Enrico Franco (E. Franco e L. Peretti) di Marostica. I risultati delle esplorazioni progettuali sono stati pubblicati nel volume: AAVV, “costruire un luogo urbano”; Pordenone 2007. www.lacittacomplessa.it
(6) Cfr. Aa. Vv. Territori abbandonati, in: «Rassegna» n. 42, giugno 1990
(7) Riuso è un termine utilizzato da B. Secchi in: Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, Torino 1989
(8) E’ sufficiente sfogliare qualche rivista di settore o ripercorrere alcuni dei più noti progetti degli ultimi anni per riconoscere come la trasformazione delle aree dismesse sia divenuta uno dei principali strumenti di risignificazione di intere parti della città contemporanea. Basti pensare alla Villette a Parigi, alle zone portuali di Genova, Rotterdam, Barcellona, alla riconversione della zone industriali milanesi della Bicoccca, o di Rho, o dell’area Falk a Sesto San Giovanni, ecc.
(9) Espressione coniata da Giovanni Astengo nel corso della ricerca It. Urb. sull’urbanizzazione del territorio italiano, nel 1990