Emanuele Piccardo_Architettura&Potere un anno dopo

Maddalena
Vignetta di Bruno Olivieri tratta da L’Altra Voce

A distanza di un anno, siamo nuovamente ad occuparci del rapporto tra Architettura&Potere. L’occasione ci viene fornita dall’ultima settimana in cui la Procura di Firenze ha reso pubbliche le indagini a carico di alti funzionari dello stato, tra i quali Guido Bertolaso,sugli appalti per i lavori di recupero degli immobili nell’isola della Maddalena per il G8. Ormai un classico è il coinvolgimento di Marco Casamonti, plenipotenziario architetto-professore-editor di Area,colui che ha aperto, con le sue dichiarazioni telefoniche, l’indagine stessa. Ancora una volta il ruolo degli architetti è centrale nel rapporto tra affari e politica. Nel 2009 la rivista Abitare aveva dedicato un approfondimento al tema con un aspro dibattito sul web. Dopo la denuncia del quotidiano Repubblica sul fallimento G8 alla Maddalena e il degrado parziale di alcuni edifici, (uno di questi progettato da Stefano Boeri) Abitare non parla dell’intreccio dannoso tra architetti-imprenditori-politici. La rivista del gruppo RCS perde un’occasione importante per far riflettere i propri lettori sul degrado morale della professione dell’architetto e le conseguenze nella società civile.

Di seguito l’articolo che ho scritto per il quotidiano Liberazione, domenica 14 febbraio 2010.
EP

“L’architetto è stato sempre intimamente legato al suo contesto sociale. Egli è uno degli strumenti umani posti al servizio del potere dominante, ha il mandato di consolidare le posizioni. L’architettura, oltre ad assolvere ad una sua diretta funzione, ha sempre avuto il compito di mantenere il potere … L’architettura non è un fatto autonomo… l’architettura nasce e si forma nel grembo della società, è il prodotto di una età specifica, di un epoca definita.”
(Hannes Meyer)

L’architettura da sempre si relaziona con il potere, essa è la rappresentazione del potere politico ed economico pubblico/privato. La politica ha condizionato la costruzione e l’espansione delle città, individuando nell’architettura uno strumento di propaganda ideologica. Anche durante il fascismo, come oggi, si è posto il problema della rappresentazione architettonica dell’ideologia individuando due linguaggi contrapposti: quello monumentale adottato da Marcello Piacentini che recupera stili e forme della classicità per manifestare la potenza dell’azione mussoliniana, contrapposto al razionalismo italiano che ha avuto in Giuseppe Terragni il suo esponente più importante. Due modi di interpretare il pensiero fascista addirittura usando lo stesso materiale, il marmo, ma utilizzandolo diversamente. Si sono confrontate così due idee di città, Piacentini ha sviluppato una forma urbana simmetrica imposta in molte città italiane costruendo scenografie urbane. Terragni ha elaborato una ricerca basata sulle regole del razionalismo internazionale riferendosi alle teorie di Le Corbusier, evitando ogni eccessiva pesantezza di archi e colonne dall’ordine gigante.
Le recenti vicende del Piano Casa, della G8-city e della ricostruzione post-terremoto testimoniano un fatto:l’assenza di progettualità urbana. La politica non riesce più a immaginare e produrre modelli di città che siano concorrenziali alla città del mercato, pertanto è il mercato che viene delegato a svolgere il ruolo del pubblico. D’altronde gli architetti hanno contribuito ad alimentare questo appiattimento sulle regole del mercato, in cui il profitto è l’obiettivo, annientando quelle finalità sociali che l’architettura ha sempre avuto. Il permanere dell’intreccio tra affari-politica-architettura fa sì che si confonda il risultato del progetto, inteso come sintesi di un processo, con il manufatto edilizio costruito dai più spregiudicati immobiliaristi che producono la non città. Quale contributo può fornire l’architetto nel definire l’idea di città? Gli ultimi anni hanno evidenziato una doppia crisi: in primis, quella urbanistica ossia l’incapacità di regolamentare l’uso del territorio attraverso una normativa che limiti l’espansione incontrollata generatrice del fenomeno della città diffusa.

La seconda causa va ricercata nella debolezza dell’architetto nei confronti del committente in termini di incidenza sulla qualità formale e costruttiva delle opere realizzate. Se da un lato architetti come Rem Koolhaas riescono a governare il mercato producendo Architettura, lo stesso discorso non vale per la maggioranza degli interventi sul territorio italiano, fatto di centri commerciali,discount,villette… testimoni di un’incapacità dell’architetto nel produrre modelli insediativi innovativi e nel difendere la propria idea progettuale nei confronti del committente. Committente che, nel caso della torre Fuksas a Savona (che non si realizzerà), riesce ad affermare “i progettisti non contano, uno vale l’altro è l’imprenditore che investe..è lui che decide come far impostare il disegno”. Affermazioni pericolose che denotano uno scarso interesse degli imprenditori verso l’architettura e la costruzione di qualità, delegando uffici tecnici interni che producono solo dissesti avallati dalla miopia di una politica senza visione del futuro. L’assenza di questa visione, al di là delle scadenze elettorali e delle urgenze mediatiche (G8), pone la politica in una condizione di mediocrità culturale. In questo contesto si trova ad operare l’architetto che, con gli strumenti del progetto, riesce, a volte, a sopperire alle mancanze di politici e imprenditori. Ciò è avvenuto per il PUC di Genova, in corso di elaborazione ad opera di Urban Lab, l’agenzia comunale che sta delineando l’assetto futuro della città coordinata da Renzo Piano e Richard Burdett.

Oggi, nel disvelamento in atto sugli appalti alla Maddalena, è prassi consolidata tra i progettisti formare cordate con gli imprenditori per conquistare porzioni di territorio sempre maggiori,il cui unico fine è l’abbuffata di incarichi senza alcuna significativa traccia lasciata nei libri di storia. In questo senso deve essere ripensato il ruolo dei media dell’architettura (riviste, magazine, critici), che orientano le fortune degli architetti. Occorre una seria autocritica per aver sostenuto e difeso modalità del fare architettura prive di ogni etica appropriandosi di temi e figure di provata moralità, come Giancarlo De Carlo, senza corrispondere un’effettiva adesione ai principi da lui espressi.

[Emanuele Piccardo]