Emanuele Piccardo_Terra trema

Abruzzo

La terra trema più e più volte nella notte, le case si sfaldano quasi fossero di marzapane e invece sono in cemento armato, forse sono antisismiche. Paradossale che tra gli edifici colpiti ci siano l’ospedale e il palazzo di giustizia, edifici pubblici che dovrebbero essere esempio di legalità e rispetto della normativa. Il terremoto ha messo in evidenza le lacune di un Paese che non sa rispettare le regole in funzione del profitto. Si costruiscono case abusive, case in regola con la concessione edilizia per scoprire, poi, l’uso di materiali scadenti e il continuo non rispetto delle normative antisismiche. Un terremoto è come una rivoluzione, dovrebbe consentire una seria autocritica a tutti gli attori: cittadini, politici, architetti, urbanisti, immobiliaristi, affaristi.

Purtroppo dopo il lutto nazionale si ritorna alla vita di tutti i giorni, cercando di fottere il prossimo senza vergogna. Anche la recente crisi finanziaria ci ha fornito la possibilità di ripensare la società capitalista e le sue regole, invece siamo impermeabili a tutte le situazioni. Occorre distribuire democraticamente le colpe quando accadono i “cataclismi naturali”, di naturale infatti hanno la manifestazione dell’evento (terremoto, frana, alluvione) ma quanto dell’effetto risultante è da attribuire all’opera umana? La percentuale è altissima, basti pensare che ogni catastrofe naturale determina una profonda alterazione psico-fisica nei cittadini che devono ricostruire la propria identità evitando quel senso di sradicamento dal luogo di origine. Un paese moderno deve saper affrontare con dignità la risoluzione delle problematiche legate agli eventi catastrofici. E’ fondamentale formare una coscienza collettiva che sappia orientare le scelte politiche in termini di trasformazioni urbane e progetti legislativi di tutela dei cittadini; ciò può avvenire solo partendo dalla scuola che ha il compito di formare il cittadino del futuro.

Un altro aspetto negativo post- catastrofe è la costruzione delle tendopoli. Nel secondo millennio adottare ancora le tende di derivazione militare è un paradosso anacronistico, ciò dimostra l’incapacità progettuale della Protezione Civile nel proporre soluzioni architettoniche che sappiano garantire velocità di montaggio e minimo ingombro per il deposito in loco. Se il terremoto non fosse avvenuto a cento chilometri dalla capitale quando sarebbero arrivate le tende?Già così le tende sono state montate decine di ore più tardi dell’evento sismico, senza considerare la possibilità di usare ciò che la tecnologia costruttiva offre, soluzioni di alloggi nomadi, modulari, facili da montare, anche dalle popolazioni stesse senza l’ausilio dei volontari o dell’Esercito. Ma soprattutto in quelle aree a forte rischio sismico non è possibile stoccare strutture di accoglienza pronte per ogni emergenza? Abbiamo quindi un problema che riguarda le amministrazioni locali che non hanno predisposto aree attrezzate con le utenze (luce, acqua) e una mancanza a livello centrale di una pianificazione del post-catastrofe che consenta una diversa abitabilità delle comunità coinvolte dagli eventi sismici. Ha ragione Bertolaso quando afferma che il problema italiano è la cultura dell’abitare, ma è altresì vero che esiste un problema culturale anche per la Protezione Civile, la quale ha proposto moduli abitativi banali (dal punto di vista tipologico e funzionale) poggianti su molle per attutire i movimenti tellurici. Forse viene ignorato un elemento che gli architetti progettano nelle aree sismiche: il giunto di dilatazione; esso consente all’edificio di assorbire l’oscillazione evitando il collasso della struttura. Ma questo presuppone che abitanti, progettisti,costruttori, funzionari e amministratori siano responsabili eticamente del loro operato.

Un altro aspetto significativo riguarda la bassa manodopera specializzata delle imprese di costruzione e anche in questo caso si può parlare di questione culturale nell’aggiornare le tecniche costruttive utilizzando le facilitazioni che esse consentono. Innanzitutto sviluppare una cultura del costruire in cemento armato e in acciaio (il cui utilizzo come struttura portante in Italia è praticamente nullo ad eccezione dei grattacieli). Invece assistiamo quotidianamente alla violenza linguistica attuata dai media sull’uso del cemento, quel cemento che, se viene usato correttamente, salva la vita delle persone.

Elemental
Alejandro Aravena, Elemental, Cile

La scorsa primavera la Triennale di Milano aveva organizzato la mostra “Casa per tutti. Abitare la città globale” un interessante messa a confronto di differenti esperienze e sperimentazioni sul tema dell’abitare comprendendo anche alloggi temporanei per catastrofi: gonfiabili, in metallo, plastica, tessuto. Risultati degli esperimenti condotti da designer, architetti e artisti sui temi del nomadismo urbano: dalla casa vestito di Lucy Orta alla casa gonfiabile di 15 mq di altro_studio, dalle case Elemental costruite e assemblate in cemento prefabbricato da Alejandro Aravena in Cile ai moduli di Rocio Romero. Per non parlare dell’unità di emergenza progettata dal designer Marco Zanuso e delle storicizzate sperimentazioni di Bucky Fuller e di Jean Prouvé.

Occorre un cambiamento culturale profondo sia dei cittadini, nel pretendere che i progettisti e i costruttori rispettino la normativa, sia della Protezione Civile che ha una responsabilità nei confronti delle comunità. Ciò può avvenire solo con l’aggiornamento professionale dei tecnici anche attraverso il dialogo con gli architetti e gli ingegneri che sperimentano nell’ambito dell’abitare (sia tipologicamente che tecnologicamente) evitando soluzioni funzionali banali dei problemi dell’abitare.

[Emanuele Piccardo]

Sa Giuliano
La scuola di San Giuliano di Puglia ricostruita dopo il terremoto, non si riesce a pretendere progetti di architettura anzichè edilizia?