Franco Ferrarotti_Nuova realtà della periferia romana

Ferrarotti
Roma, sovraffollamento alla borgata Alessandrina, 1962

Rispetto ai dati messi in luce e interpretati negli anni Sessanta e Settanta, la Roma di oggi presenta una situazione economica, sociale e culturale diversa. Condotta criticamente e con la consapevolezza del peso della variabilità storica, la replica delle ricerche pubblicate in Roma da capitale a periferia ha consentito di accertare un cambiamento notevole. La “cintura rossa”, a suo tempo costituita da circa settantamila operai dell’edilizia, non esiste più. È stata distrutta:
- dalle innovazioni tecnologiche delle imprese dell’edilizia;
- dalla nuova immigrazione extra-comunitaria.
La replica delle ricerche degli anni Sessanta e Settanta è consapevole del carattere straordinario di Roma, città essenzialmente atipica, nata storicamente come città decentrata, composita e multietnica, a differenza del modello monocentrico, caratteristico della città greca classica. Gli storici più accreditati sono concordi nel ritenere che Roma rimase sempre una città accogliente ed etnicamente composita. I “mezzi sangue” e in generale i meticci non erano considerati come una degenerazione della razza. Lo ius soli di Romolo è esemplare. Si determinano una mescolanza etnica e insieme una mescolanza sociale. La Roma delle origini accolse individui apolidi, nomadi, nobili decaduti e persino schiavi. Roma, si potrebbe dire, nacque come una città aperta non solo ai fuggitivi, ma agli uomini di coraggio, in cerca del nuovo, capaci di iniziative inedite, bisognosi di presenza femminili, cui provvederanno con il leggendario “ratto delle Sabine”. Nel corso degli ultimi trentacinque anni il Quarticciolo, la Borgata Alessandrina e l’Acquedotto Felice hanno avuto e oggi presentano, rispetto alla prima ricerca, modificazioni profonde.

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La prima fase della nuova ricerca documenta ciò che in passato non era prevedibile: se non la fine, certamente una riduzione di quella che resta la caratteristica fondamentale di tutte le periferie, cioè l’esclusione sociale e la discriminazione classista. Soprattutto a proposito della Borgata Alessandrina e dell’Acquedotto Felice è stato notato un riavvicinamento tra centro e periferia, tanto da non poter più sostenere, come invece era necessario trentacinque anni fa, che periferia e centro si configurano come due realtà insanabilmente divise, estranee l’una all’altra – come città e anticittà.
Cade anche l’idea, oggi ancora accarezzata da architetti e urbanisti, di limitarsi semplicemente a “rimodellare” la periferia. La ricerca documenta che non è più possibile parlare genericamente di periferia come contrapposta al centro. Trentacinque anni fa, con una popolazione complessiva di circa tre milioni di abitanti, si ipotizzava, per il 2003, una popolazione complessiva di circa tre milioni di abitanti. Roma registra invece, oggi, una diminuzione della popolazione residente e conta circa duemilioni ottocentomila abitanti. L’errore era all’epoca dovuto a un’indebita estrapolazione basata sui ritmi immigratori dal Sud Italia e dalle regioni limitrofe (Abruzzo, Campania, Ciociaria). In realtà, la situazione odierna ci dice che non è più possibile parlare di città e campagna, che va invece colto l’effetto di padronanza dell’espandersi urbano in modo da poter ipotizzare un continuum urbano-rurale, una urbanizzazione, che coinvolge anche il tessuto della città induce a portare il centro nella periferia in vista di una regione metropolitana dotata di un tessuto sociale dinamico come molteplicità dialettica di sistemi, reattiva e policentrica.

Tutta l’area comunale romana – la più grande d’Europa con circa 129 mila ettari – è in movimento. La periferia, lungi dall’essere una frangia suburbana esclusa, è centrale. Se si fermasse la periferia, si bloccherebbero il centro storico e tutta la vita cittadina. Nel territorio delle borgate di una volta, quelle che oggi vengono ufficialmente definite “quadranti urbani privi di funzioni pregiate”, vivono tuttora circa un milione di romani, vale a dire circa un terzo della popolazione. La rivisitazione critica dell’area romana servirà probabilmente a documentare e a interpretare la realtà della periferia odierna, che è una risorsa e non un peso morto. Il Comune di Roma – ventidue rioni, trentadue quartieri, sei suburbi, tre quartieri marini, cinquantanove zone dell’Agro – è una realtà varia e complessa in cui più ricca che altrove è forse apparsa la presenza umana. Contrariamente alle esperienze di New York, con Harlem vent’anni fa e oggi con il Bronx, della Banlieue di Parigi e delle favela, barriadas, villamiserias dell’America Latina, delle verminose periferie di Bangkok e di Calcutta, la periferia romana d’oggi sembra che possa riuscire, per tutta la città, una grande risorsa e un fatto positivo, ma si presenta con una varietà notevole di tipi professionali e di stili di vita, con richieste di partecipazione e di mobilità sul territorio che attendono di essere soddisfatte e che vanno pazientemente indagate nella loro specificità. Il rischio di oggi è, infatti, quello di considerare la baracca e la baraccopoli di ieri, come il prodotto di un sottosviluppo che ormai è stato superato e che si tratterebbe solo di procedere a un’astratta, razionalizzante programmazione dell’area comunale. La fine delle borgate e delle baracche non significa di per sé la fine dell’emarginazione metropolitana.

Non è sufficiente portare nelle ex-borgate i servizi essenziali – luce, acqua, gas – la segnaletica stradale, i “segni esterni” della modernità. Occorre un processo di autopromozione, economica ma anche culturale, servizi sociali essenziali, ma anche scuole migliori, luoghi di ritrovo interetnico, cinema, biblioteche, attività di aggregazione per i giovani con i loro tipici concerti e la loro musica. Per ridurre sempre più il divario centro-periferia bisogna portare il centro nella periferia. La prima fase della ricerca riconferma che la situazione sociale degli anni Sessanta e Settanta è profondamente mutata.
La “cintura rossa” della classe edilizia non c’è più. La stratificazione sociale è molto più varia e frastagliata. All’epoca, la ricerca aveva messo in luce un tipo relativamente inedito di attore sociale: era il proletario intermittente, sospeso fra operaio con posto fisso e inquadramento razionale nella forza-lavoro, e sottoproletario, costretto a scegliere l’espediente come mezzo di sussistenza e sopravvivenza. Oggi la situazione è diversa. La ricerca conferma la scomparsa della classe degli operai dell’edilizia, determinata, come si è detto più sopra, dall’evoluzione della tecnologia produttiva delle grandi ditte della costruzione edilizia (Gambetti, Tronchetti Provera, e altri), che hanno soppiantato e spinto fuori mercato i “palazzinari”, grandi e piccoli, con la divisione del lavoro, la specializzazione delle mansioni produttive, i nuovi materiali e le nuove tecniche del processo produttivo. Il ghetto edile, di cui si parlava ancora in Vite di baraccati, non c’è più.

Anche l’immigrazione è cambiata. Non viene più dall’Abruzzo, dalla Ciociaria o dal Sud. Sono arrivati gli immigrati extra-comunitari. Non ci sono più le baracche dove si dovrebbero trovare gli attrezzi agricoli elementari; oggi vi dormono, un tanto al letto, gli extra-comunitari.
Non ci sono più i proletari intermittenti. La ricerca documenta che vi sono al loro posto, specialmente nella Borgata Alessandrina, i nuovi medi e piccoli borghesi. La Borgata Alessandrina e l’Acquedotto Felice hanno compiuto progressi notevoli nel superamento del divario centro-periferia. Paradossalmente, il Quarticciolo appare penalizzato dal fatto che è compreso fra strade di rapido scorrimento che, in qualche modo, lo tagliano fuori dal resto del tessuto urbano e finiscono per isolarlo, mantenendolo in una situazione di relativo distacco che, mentre ne conserva la comunità naturale, lo priva d’altro canto dei possibili apporti positivi che stanno invece dinamicizzando le altre zone già periferiche. L’analisi delle interviste riserverà probabilmente qualche sorpresa. Si è fatto molto, per la vecchia generazione, venendo incontro ai bisogni, oggettivi e psicologici, di una popolazione che appare contrassegnata da una longevità crescente, di per sé fatto positivo, ma che pone peraltro problemi di assistenza non indifferenti. Ma i giovani si sentono abbandonati. Mancano, per loro, luoghi di ritrovo che presentino le caratteristiche da essi preferite, e non è per puro capriccio che ogni fine settimana questi giovani si rovesciano, a frotte sempre più numerose, soprattutto valendosi della metropolitana, sul centro storico e sui quartieri semi-centrali, da Piazza di Spagna a Piazza Fiume a Via Ottaviano. La “notte bianca” è stata un’occasione importante, per giovani e meno giovani, allo scopo di riscoprire e di riappropriarsi del territorio urbano. Ma questo recupero della città va reso continuativo nel tempo. Non può ridursi a esperienza effimera, a un dono del caso.

Ferrarotti
Roma, segni di devozione all’Acquedotto Felice 1961

I temi ricorrenti e le aree problematiche che emergono dalle interviste ai testimoni privilegiati sono:

- Quarticciolo: nostalgia per un passato comunitario – senso di chiusura e di isolamento – carenza di negozi e di luoghi di interazione – latitanza delle istituzioni – le famiglie abbandonate a se stesse – i giovani, annoiati, si danno alla droga – tendenza allo spopolamento – lavoro precario – orgoglio di appartenere al Quarticciolo, vecchia periferia operaia (da parte di alcuni degli anziani).
- Alessandrino: il degrado urbano è stato bloccato, ma i fitti sono alti – presenza degli stranieri e barriere linguistiche – carenza del senso di comunità – la scuola e le chiese sono attive, ma la mobilità sul territorio è problematica.

- Acquedotto Felice: scomparse le baracche, ma per i giovani le case hanno prezzi proibitivi – si affittano abituri a stranieri per prezzi esosi – in via di risoluzione il problema scuola, ma mancano biblioteche – manca un ufficio postale locale – al Quadraro resiste un forte senso di comunità (“noi siamo il centro storico della periferia”) – speranze nel “Parco degli Acquedotti”.
[Franco Ferrarotti]

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Roma, Franco Ferrarotti durante l’indagine sociologica sul campo, Borghetto Prenestino, 1960

Le fotografie sono state realizzate da Franco Ferrarotti.

Archphoto pubblica un estratto da Periferie da problema a risorsa di Franco Ferrarotti e Maria Immacolata Macioti_Sandro Teti Editore. Ringraziamo la casa editrice e gli autori per aver concesso il diritto a pubblicare il testo.