Francesco Gastaldi_New Town

New Town
Il recente dibattito sull’ipotesi di un nuovo Piano-Casa (possibili ampliamenti volumetrici delle abitazioni situate in determinate aree e in certe condizioni) e quello successivo sulla ricostruzione dei paesi terremotati dell’Abruzzo, ha risollevato nel nostro paese, un dibattito, che da molto tempo non si registrava, sugli organi di stampa e televisivi nazionali, su questioni che riguardano l’urbanistica e i processi di crescita e sviluppo del territorio. Temi troppo spesso rinchiusi in saperi specialistici e discussioni fra “addetti ai lavori” sono improvvisamente diventati di dominio pubblico; architetti e urbanisti, onnipresenti in riviste patinate di settore, sono stati chiamati a dire la loro, rispetto a questioni rilevanti, ma troppo spesso oggetto di dibattiti accademici autoreferenziali.

Nell’ultimo periodo la discussione si è concentrata sull’ipotesi lanciata dal premier Silvio Berlusconi di ricostruire la città di L’Aquila come una “New Town” e si è inserita, assai curiosamente, in un ritorno di attenzione della cultura urbanistica e architettonica, sulle “Città di fondazione”. Riscoperte dal libro di Antonio Pennacchi “Viaggio per le città del Duce” (Laterza 2008) le new town italiane non rappresentano solo il simbolo del potere del Ventennio, della stagione delle bonifiche agrarie e di una nuova fase economico-industriale (Latina, Predappio, Arborea, Guidonia, Sabaudia), ma in taluni casi rispondono a ben precisi disegni imprenditoriali come Tersigallo a Ferrara (la città dell’ENI) e Torviscosa in Friuli, una città autarchica articolata intorno alla fabbrica per la produzione di fibre artificiali ottenute con la cellulosa prodotta dalla lavorazione della canna gentile.

Spesso ostracizzate dalla cultura di sinistra perché considerate come paradigmi della propaganda e della “retorica” fascista, le città di fondazione italiane sono molto diverse dalle più classiche “New Town” inglesi sorte in Inghilterra a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta per decongestionare la grande Londra. Ma entrambe nascono sotto l’egida di un potere politico e dal disegno di un architetto-urbanista che cerca di tradurre in una configurazione di piano regolatore e poi in una configurazione fisica e di assetto spaziale urbano un certo tipo o “modello” di disegno di società.

New Town

Sul quotidiano Il Riformista del 10 aprile, l’urbanista Marco Romano ha ricordato come moltissime città storiche che oggi consideriamo “intoccabili” sotto il valore storico e culturale siano “città di fondazione” come Noto in Sicilia, ricostruita dopo un terremoto del 1600. Dopo una distruzione totale, storicamente, si ripresenta sempre lo stesso dilemma: recuperare il patrimonio o sfruttare l’occasione per costruire qualcosa di migliore, più moderno, funzionale e, possibilmente, antisismico? Altri studiosi hanno rilevato come la nostra epoca rischi di non lasciare (almeno in Italia) esempi in tal senso (se si esclude la Milano 2 dell’imprenditore Berlusconi sorta nella metropoli lombarda alla fine degli anni Settanta), nei casi dell’Irpinia e del Friuli non risultano casi di città interamente ricostruite o costruite dal nulla.

Ma a prescindere da eventi eccezionali come i terremoti, gli organismi urbani, si trasformano e crescono attraverso fenomeni di “città diffusa”: l’asse della via Emila costituisce oggi un continuum urbano senza interruzioni, il Veneto centrale (province di Venezia, Padova, Treviso) è un “gigante” urbano popolato da una serie innumerevole di “capannoni” e “villettopoli” che si estendono a “macchia d’olio” su territori in gran parte agricoli fino a pochi decenni fa. Fenomeni analoghi si registrano lungo la “città Adriatica” con crescita di tessuti di piccola e media impresa (oggi talvolta in crisi) e attrezzature turistiche e per il tempo libero. Anche in casi come quello emiliano, sempre portato ad esempio di alta cultura civica, amministrativa e di forte tradizione nel campo della pianificazione urbana, i processi di crescita urbana continuano inarrestabili, ci si potrebbe dunque chiedere: meglio un modello di crescita per “poli” attraverso nuove città di fondazione o un modello che cerchi di regolare la crescita insediative di consolidare la crescita della città esistente?

Le questioni che sono state dibattute in questi giorni (per lungo tempo sopite) pongono questioni assai rilevanti agli attori di politiche pubbliche: il dibattito sul “dove” e “come” ricostruire dopo l’evento “sismico” richiama una questione assai più rilevante attorno a cui ha ruotato gran parte della cultura urbanistica del Novecento (non solo in Italia), circa la possibilità di regolare e governare le trasformazioni urbane e la diffusione insediativa, il ruolo del soggetto pubblico rispetto a quello privato e la nozione stessa di interesse pubblico.

Nell’Italia di oggi, un modello “new town”, che presupponga un assetto dirigista dell’amministrazione pubblica, della programmazione degli investimenti e della pianificazione territoriale, appare difficilmente praticabile, ma la provocazione del premier Silvio Berlusconi ha avuto almeno il merito di far ritornare, per qualche giorno, l’urbanistica al centro del dibattito politico-istituzionale.

[Francesco Gastaldi]

Francesco Gastaldi è ricercatore in Urbanistica all’ Università IUAV di Venezia