Agostino Petrillo_Metropoli in rivolta: Los Angeles 1992
Una mattina l’America si svegliò sconvolta da una insolita giornata di violenza. Los Angeles era in preda al caos, scossa da un crescendo di scontri, incendi e distruzioni. Da un singolo incidente, il pestaggio da parte della polizia di un automobilista nero, sospettato di essere in stato di ubriachezza, e dal successivo giudizio di assoluzione pronunciato dal tribunale nei confronti degli agenti coinvolti era scaturita un’esplosione di furia popolare senza precedenti.
Cominciava la più violenta rivolta urbana del secolo. Al grido di:”No Justice, No Peace!” si scatenava un moto di piazza di dimensioni tali che solo a fatica può essere fatto rientrare nella categoria del riot, se se ne considerano la forza, l’estensione e la durata. Quasi una settimana di scontri e saccheggi, circa 60 morti e 3000 feriti, 12.500 tra fermati e arrestati, 300 negozi devastati e incendiati, danni per circa un miliardo di dollari, nel complesso “la più costosa rivolta della storia americana”. Quando l’intervento di contingenti militari ha infine domato il riot, lo spettacolo offerto dalle macerie era sconvolgente. Pare che persino Bush senior sia rimasto così impressionato dalla passeggiata che gli fu fatta fare tra le rovine di quello che un tempo era il quartiere di South Central L.A. da decidere un consistente intervento di aiuto economico alla città, in aperto contrasto con le sue convinzioni iperliberiste e con l’orientamento prevalente nel governo per cui dal punto di vista finanziario le città dovevano “cavarsela da sole”.
Molte le letture dell’evento, ormai storicizzato. Il quadro generale è stato ricondotto ad una crisi dell’economia regionale, che avrebbe avuto una pesante ricaduta su alcuni strati della società, e in particolare sugli abitanti del già degradato South Central, alimentando una serie di tensioni poi sfociate nella rivolta. In particolare da tempo si sarebbero creati contrasti e rivalità tra la “comunità” Afro-americana e quella Coreano-americana. Le interpretazioni prevalenti tendono perciò a leggere gli avvenimenti in una chiave storiografica di “corsi e ricorsi” della storia americana. Si sarebbe trattato fondamentalmente di scontri di natura “etnica”, dell’ennesima manifestazione di quella “urban underclass” che ha contraddistinto con la sua turbolenza e il suo imprevedibile esplodere anche altri periodi della storia statunitense del XX secolo. Il parallelo che viene più frequentemente avanzato è quello con la rivolta di Watts, il ghetto nero che diede vita ad un memorabile sollevamento di massa nel ‘65, che spazzò via le illusioni integrazioniste dell’epoca Johnsoniana. Ma considerare la rivolta del ‘92 unicamente come un tassello in più, un ulteriore episodio di una lunga e tormentata storia americana di regolazione dei rapporti tra diverse componenti etniche della popolazione urbana equivale ad eluderne degli aspetti importanti.
Altre interpretazioni segnalano che la rivolta ha rappresentato uno spartiacque, dato che ha fatto compiere un salto decisivo alla città in direzione della sua sempre più accentuata vocazione globale. Si sarebbe trattato della prima esplosione di una “metropoli multinazionale”, in cui l’antagonismo tra bianchi e neri rappresenta solo una, anche se essenziale, delle componenti. Diventa quindi sempre più difficile sostenere l’ipotesi dello specifico americano, come perdono egualmente di senso le letture che riconducono gli eventi alla dinamica del riot tradizionale, dato che questo solitamente coinvolge due gruppi o “comunità”, in genere i bianchi e “gli altri”. La battaglia di Los Angeles che vede protagonisti latinos, coreani, neri, gangs, classi pericolose della più varia composizione, non è più riconducibile a un “noi contro di loro”, ma è un puzzle infinitamente più complesso.
In questi termini il problema non pare essere più quello del riproporsi di una vicenda “interna” statunitense, dell’”eterno ritorno” della mai risolta questione delle minoranze nella storia della città americana. Al contrario questa ipotesi si svela solo come tentativo rassicurante di riportare quanto avvenuto a degli schemi consueti, mentre è necessario invece far slittare tutta la questione su di un diverso piano, rinviandola alle modificazioni che hanno investito il contesto internazionale.
E’ possibile ipotizzare che nel riot si sia invece consumata l’esplosione di una crisi con radici molto più remote, che in esso siano emerse contraddizioni che rinviano decisamente a una dimensione globale.
Va ricordato che Los Angeles è un modello originale di megalopoli, una serie di insediamenti diffusi, disseminati, una non-città sparpagliata su di un territorio enorme, priva di una centralità chiaramente definita. Inoltre la città è stata meta di flussi migratori senza precedenti a partire dagli anni Ottanta: sono stati stimati in 5-600.000 i nuovi arrivi annui. E’ in quest’epoca che sono cresciute in essa le tensioni, che è nata una città divisa in due, da una parte la scintillante metropoli d’importanza mondiale, dall’altra la “capitale del terzo mondo” della povertà crescente e dei senza tetto. La città si è così trovata sospinta tra le più importanti Città globali, ma ha sperimentato una ulteriore polarizzazione dal punto di vista sociale e spaziale, che ha completamente rimescolato le carte della distribuzione della popolazione nelle diverse aree. Nelle periferie della “città degli angeli” le presenze dei migranti si incrociano, si scontrano, si misurano le une con le altre, in una sommaria valutazione delle forze reciproche, senza mai giungere a costituire un’immagine di senso della città che presenti caratteristiche comuni.
A Los Angeles si fanno i conti con la fine di una determinata storia della città. Se è vero che in essa alligna una questione sociale che non è immediatamente “spazializzata” come quella europea, dato che qui la banlieue è ovunque, questa “perdita del centro” non promette nessuna possibile ricomposizione. I fatti del ‘92 si profilano come un tipo nuovo di violenza collettiva, che coinvolge più gruppi, e che ha luogo in un teatro spaziale che sempre meno ricorda l’immagine consueta di città. Le radici della rivolta stanno nelle forze del mutamento sociale e spaziale che attraversa il pianeta, nell’internazionalizzazione della forza lavoro migrante e nel suo sradicamento. Il riot ha posto una serie di questioni che allungano la loro ombra su tutto il pianeta: oggi studiare Los Angeles vuol dire riflettere sul futuro non solo dell’America, ma del mondo intero.
[Agostino Petrillo]
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