Emanuele Piccardo_La formazione passa dalla sperimentazione

Ferrara, estate 2005. Mario Cucinella professore a contratto della giovane facoltà di architettura, architetto sensibile e capace di sperimentare con i materiali, mi invita all’esame finale dei suoi studenti. Il sole si nasconde tra le nuvole sopra il prato punteggiato di architetture temporanee che i ragazzi stanno realizzando. Cartone, plastica, tela, sono i materiali base da cui creano le strutture che diventano forma. La tela tesa a terra e sorretta da pali definisce una tensostruttura, richiamo linguistico di Frei Otto. Fori circolari ne evidenziano il rapporto interno-esterno dove la luce disegna lo spazio sottostante.

Elementi triangolari modulari in cartone, assemblati in loco, consentono la costruzione di una copertura ad arco simile alle sperimentazioni del grande Buckminster Fuller.
Sacchetti di plastica bianca saldati con la candela e gonfiati col ventilatore generano la casa gonfiabile, ispirata, inconsciamente, alle case Anas gonfiabili del gruppo di architettura radicale UFO.

Tubi di plastica e rete metallica definiscono i tre tubi di sezione differente che rompono la linearità del paesaggio ferrarese assumendo come riferimento Springtecture di Shuei Endo.
La torre gonfiabile a corona circolare sorretta da anelli a loro volta sostenuti da 60 palloni gonfiati a elio, ondeggia diventando un segno forte e riconoscibile nel contesto.

Il fatto sorprendente è la qualità dei progetti rispetto all’età degli studenti (23-25 anni)iscritti al quarto anno con tanta voglia di imparare, di confrontarsi tra loro, fare gruppo, ma soprattutto confrontarsi con il costruire relazionandosi ad un contesto fisico e non virtuale.
Il merito di Cucinella è stato quello di creare gruppi di lavoro non dissimili dai team di progettazione che caratterizzano la vita professionale dell’architetto, dove il fare gruppo consente la realizzazione dell’architettura.

L’architetto, come un regista, deve avvalersi di competenze specifiche per portare a compimento l’opera architettonica così i giovani studenti ferraresi lavorano in gruppi di 6-8 ragazzi/e discutendo animatamente gli ultimi dettagli. Finalmente si concretizza il lavoro di un semestre di progettazione in architetture, si esce dallo schermo del computer per relazionarsi con un contesto vero, fisico, fatto di materiali diversi: terra, erba,alberi, luce, orizzonte, quali elementi propri del fare architettura.
Lo spazio scelto per l’installazione delle architetture è un tappeto verde, attraversato da una pista ciclabile è racchiuso da un lato dall’argine sopraelevato in mattoni e dall’altro da una fitta boscaglia. L’atmosfera è quella della bassa del Po, leggera brezza e luce accecante.

Il laboratorio di costruzioni, questa è la denominazione del corso, assolve totalmente al suo compito ma quanti altri laboratori universitari non funzionano a causa di docenti inadatti a guidare i ragazzi nella sperimentazione? Quanti architetti incapaci di elaborare un pensiero teorico-progettuale escono dalle facoltà di architettura a causa di una didattica inesistente? Basta pensare all’importanza data alla letteratura architettonica che spesso occulta saperi tecnologici e compositivi formando, così, architetti incapaci a strutturare un processo progettuale, ma fini intellettuali dalla citazione facile adatti a discussioni da salotto.

La formazione dell’architetto deve prevedere in egual misura una conoscenza della storia e della teoria architettonica per poterne elaborare una propria senza dimenticare l’importanza della composizione, della geometria e dei saperi tecnologici. Quando studiavo alla Facoltà di Architettura di Genova avevo docenti che sapevano stimolare le curiosità e infondere la passione per l’architettura, tra questi Ermanno Ranzani, redattore di Domus all’epoca di Magnago Lampugnani, conduceva noi studenti a visitare Ivrea per conoscere le opere di Figini e Pollini, o Ridolfi e Frankl, architetti che hanno reso grande la nostra architettura ma sconosciuti agli studenti. In estate andavamo a Urbino dove,per un workshop di progettazione del secondo anno, dormivamo negli alloggi di De Carlo oppure a Mantova a studiare Leon Battista Alberti.

Occorre cambiare atteggiamento se crediamo che l’architettura debba avere un ruolo sociale ed etico, é necessario infondere una cultura architettonica durante gli anni della formazione, soprattutto in facoltà con pochi iscritti come Ferrara dove il rapporto qualitativo docente-numero studenti consente, teoricamente, un maggiore apprendimento considerando ben salda la convinzione che i docenti siano preparati. Ferrara si colloca nel triangolo delle facoltà di architettura in Emilia-Romagna insieme a Parma e Cesena, dove tre facoltà definiscono territori di gestione del potere, in cui la didattica non appare al primo posto degli obiettivi perseguiti dalle istituzioni impegnate ad acquisire nuovi iscritti e professori provenienti da altre facoltà.

Oggi vengo via da Ferrara con una speranza in più, che il futuro con questi giovani può e deve essere migliore dentro e fuori l’Università. Solo attraverso una formazione che generi cultura architettonica si potrà modificare lo status dell’architettura, cultura architettonica che deve comprendere la molteplicità di discipline e approcci che accompagnano l’architettura nel suo divenire.

[Emanuele Piccardo]

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