Brunetto De Batté_Robaldo Morozzo della Rocca

Finalmente la tesi di laurea di Giovanni Duranti prende veste in una pubblicazione, ma
finalmente per una monografia su Morozzo della Rocca.
Un libretto economico di 143 pagine che ripercorre in senso cronologico il lavoro di questo architetto tutto da riscoprire nei quaderni del dipartimento di architettura e analisi della città dell’ Università di Roma “La Sapienza” - DAAC di Antonino Terranova per i tipi della Gangemi. Era da tempo che spingevo la figlia Donatella e la famiglia a redigere un lavoro di ricognizione ed ordine, ne sentivo una lacuna storiografica, …ma non essendo ne uno storico ne un critico e pur stando alla larga dagli archivi perchè mi perdo…vedevo sempre più una necessità di mettere a fuoco questo personaggio.

E’ sempre più me ne sono convinto col tempo che il ripercorrere con attenzione itinerari geografico cronologici si possono rilevare interessanti letture del nostro paese.
Ho già sostenuto più volte con forza che in Italia basta poco, poche mosse tra i tessuti ed i paesaggi… con piccoli gesti e segni si può tirare dentro tutto il paesaggio d’intorno
basta leggere la storia ed interpretarla con serenità (senza copiature e forzature formali).
Altri temi questi… dove il virtuale era solo fantasia o irrealizzabile, tutto si pensava in progetto per durare nel tempo, per mantenere e gestire le cose, il concetto a opera d’arte …era contro le intemperie, la qualità della durevolezza e del senso del fare.

I movimenti degli edifici non sono a caso o per mode ma sorretti dalla tettonica o dalle tensioni del tessuto urbano come per il complesso residenziale Ina Casa del “biscionetto” sotto il Daneri a Forte Quezzi (1966) o il complesso per uffici Comunali di via Ambalagi (1952)… forme sinuose che s’infilano in complessità linguistiche e da queste il progetto prende registro.

Sensibili modanazioni di facciata rese come tessiture di una ragione d’uso, il piano d’apertura delle persiane, sulla grande casa Ina -Ansaldo nella collina di Coronata (1957) certamente soluzioni circostanziate e meno decorative come dà Cino Zucchi per Venezia.
Venendo a Genova di queste opere ne avevo sentito giudizi di distacco, ovviamente con occhi radicali mi piacquero subito da casa Ollandini (1956) e più che passava il tempo e le mode ne apprezzavo il valore e ne riconoscevo le anticipazioni, linguistiche, tecniche, tipologiche… e la sapienza dei dettagli.
Approdai a Genova per amore e trovai in Facoltà le radici dei muratoriani, tra le fila dei docenti c’era Robaldo M.d.R. il fondatore della scuola con Vagnetti/De Fiore, Fuselli, Maretto & Caniggia, era una scuola giovane che si trapiantava sulla filiera di Ingegneria.

Lui era a restauro… viaggiava nella filosofia di operare nel già costruito (aprendo alla scuola tutta genovese di Benvenuto, Buti, Galliani, Mannoni, Poleggi e in parte Grossi Bianchi… ora tenuta dai giovani Stefano Musso/Giovanna Franco e Rava).

Quello che mi colpisce è come queste opere si conservano nel tempo in maniera straordinaria senza nessuna manutenzione, credo che questo sia il punto di partenza di una revisione del fare tra teoria & critica e (al contrario di Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli che intravedono negli A12 se pur attraenti l’innesto innovativo) nel valutare che l’architettura (anche se ci piace per formazione disciplinare monumentale) non dovrebbe essere più monumentale, ne serva e schiava del potere, se si pensa che ogni opera è eretta con soldi dei contribuenti (anche se in buona fede ogni segno & gesto andrebbe autocontrollato).
Sento una necessità & bisogno di silenzio nell’orgia mediatica da “grande fratello” dove basta essere presenti, sempre, con dirompente forma… senza valori aggiunti.

Possibile confondere giovani mediatici illusionisti con seri costruttori, & se vogliamo confrontare innovazioni ricordiamo per cortesia le sette meraviglie, o i Kolossi… certe volte il fatto di voler essere moderni in senso assoluto non è condizione vincente…e si vuole voltar pagina molto spesso si azzera la storia, il passato… pur bene… ma non passa la distrazione, del già detto spacciato per nuovo… si corre il rischio di sostenere in modo corale contaminante la scoperta dell’acqua calda.
Non tutte le occasioni di progetto sono eccezionali, ma sembra che ultimamente sia così e ci sia ,come nella televisione da Vespa a Costanzo, l’eccezionale e lo straordinario per eccellenza, la sostituzione della quotidianità …”famolo strano”.

Se pensiamo a quanto c’è da fare nel paese, tra aree periferiche da recuperare, paesaggi, infrastrutture… il mediatico subito si dirada… i giochi in 3D…in nebulose soluzioni grafiche, alle seducenti illusorie dimensioni adimensionali… forse anche lontani dalla possibilità planetaria di realizzazione…
La quotidianità, il progetto democratico è il punto di rifondazione e se ne percepisce da quella seria professionalità schiva dalla fama e dal successo, ultimamente è un pò il gioco delle “veline” tutti vogliono salire in passerella con poco o quasi niente…
Fare architettura è cosa seria è un continuo confronto con il potere per definire spazio&società (peccato la scomparsa di questa rivista visto che tutte inseguono fate morgane) in merito a condizioni storiche pertinenti, è un atto d’arte estremo, complesso, che rappresenta un momento un’epoca… cronologie & cronache, queste alcune chiavi per aprire questo libro di 143 pagine.

[Brunetto De Batté]


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