Giovanni Bartolozzi_Leonardo Ricci: lo spazio inseguito
Tornato a Firenze, Ricci si riavvicina all’architettura partecipando a qualche concorso e lanciandosi in un’avventura sperimentale, ricca di risvolti: la progettazione della propria casa. […] L’impresa ha inizio con la ricerca del terreno, la cui scelta risulterà fondamentale per caratterizzare le case che vi sorgeranno. Monterinaldi, un appezzamento di terreno scosceso, sul fianco di una delle paterne colline di Firenze. Ricci sceglie il punto più alto, visualmente strategico: a sinistra la Fiesole Etrusca, a destra un’incantevole vista su Firenze, dalla quale, oltre alla svettante cupola del Brunelleschi, si coglie la storia e la stratigrafia di una città incastrata tra le colline, incastrata tra la terra. E proprio dalla terra si ergerà quella casa.
La collina era ancora incontaminata, deserta, senza vita. Ricci, assieme al vecchio Gino, il carrettiere del luogo, lavora al cantiere. L’acqua viene portata in cima coi muli, la pietra viene estratta dalle cave dello stesso monte, il cemento impastato e lavorato manualmente, gli infissi delle vetrate vengono realizzati con i ferracci delle vecchie serre e per piccole aperture sono inesistenti. L’impresa è interamente avvolta da una travolgente artigianalità e la casa cresce giorno dopo giorno, ma non sulla carta. Cresce sulla terra conformandosi ad essa, cresce sullo splendido panorama aprendosi e lanciandosi su di esso, cresce sul corpo di chi la abiterà: i piccoli figli di Ricci si divertiranno ad attaccare i ciottoli sulla calce fresca, per rivestire le pareti del bagno.
L’asse longitudinale della pianta è una linea spezzata in tre segmenti che ricalca le curve di livello del terreno. La parte centrale, più piccola, gioca funzionalmente il ruolo di cerniera, ospitando le scale, l’ingresso e la cucina scavata nella roccia, mentre le rimanenti due ali sono adibite a soggiorno pranzo a destra e zona notte a sinistra. La casa è dunque sventagliata verso Fiesole e la valle dell’Arno, i volumi sono liberi di prolungarsi in avanti e in alzato a secondo delle esigenze interne. Così il soggiorno avanza coraggiosamente aprendosi con una vetrata e poggiando su sottili pilastri, il vano scala svetta dall’intera volumetria concludendosi con una lastra in calcestruzzo.
Lastre inclinate, aperte verso il cielo, sembrano inseguirsi in un movimento pulsante volto a slabbrare e dilatare i volumi, a iniettare misteriosamente luce dall’alto. Le aperture, infatti, non sono mai concepite come semplici buchi nel muro, bensì come superfici aperte verso il paesaggio oppure come piccole feritoie sparse, in grado di produrre una violenta vibrazione materia. Una soluzione quest’ultima dal sapore tutto medievale, che Ricci esaspera fino a corrodere e smaterializzare il muro. All’interno ne deriva una pregnante differenziazione luminosa degli spazi, alcuni totalmente inondati dalla luce, altri illuminati dall’alto, altri ancora in vibrante penombra.
Ma cerchiamo di comprendere come tutte queste caratteristiche contribuiscono ad esaltare il vero protagonista della casa: lo spazio interno. L’idea spaziale del giovane Leonardo appare rivoluzionaria ancora oggi a distanza di un cinquantennio: creare un unicum spaziale tra gli ambienti, senza alcuna interruzione o cesura. Ricci materializza quest’idea senza mezzi termini, incastrando e slittando gli ambienti con una logica tale da creare un continuum spaziale in grado di investire le svariate funzioni della casa, piuttosto che frantumarle in più ambienti isolati. […] Lo spazio è fluido, libero di cospargersi in ogni parte e l’unicum è enfatizzato da un dettaglio, simbolo dell’irruenza sperimentale che anima il giovane architetto: la casa è pensata e realizzata senza porte interne. Le porte chiudono gli spazi separando funzionalmente gli ambienti, Ricci le rifiuta e attraverso ambienti filtro e leggeri sfalsamenti in alzato, evidenzia le zone più riservate senza marcarle e garantendo un travolgente episodio spaziale a cascata.
L’avventura di Monterinaldi non si conclude con la casa Ricci, che anzi sarà la prima di altre ventidue case: “La casa fu costruita. Vidi che ci stavo bene con mia moglie e i figli. Fu allora che intervenne il caso o la fortuna. Era una novità. Cosicché molti vennero a vederla, altri vollero farsi la casa qui. Fu un momento per me importante. Se la mia casa rimaneva sola anche se fosse stata un “capolavoro”, sarebbe rimasto fatto unico, aristocratico, intellettuale. Un estetismo in fondo. Così come molte delle ville eccezionali sparse qua e la per il mondo. Ma se altra gente voleva una casa simile, significava che esisteva un minimo comune denominatore”.
Il minimo comune denominatore era un’irrefrenabile voglia di vivere assieme, di sperimentare nuove possibilità di abitare, nuovi spazi in grado di scardinare le consuete abitudini di vita. Fu così che molte persone, tra cui artisti e studiosi, interessati, affascinati e travolti dal sogno e dagli ideali rivoluzionari di questo giovane affabulatore, si lasciarono coinvolgere affidando a Ricci tutti i progetti. Durante la scelta del terreno, Ricci aveva previsto con lungimiranza gli esiti di quello che poi realmente avvenne: la nascita di una piccola comunità in una terra scoscesa, deserta e pietrosa. Egli rivendeva il terreno assicurandosi la paternità dei progetti e le case venivano gradualmente costruite con costi irrisori, ogni qual volta un nuovo committente, affascinato dall’impresa in continuo divenire, mostrava disponibilità e si apriva a un nuovo modo vita. Nel ‘51 la casa Ricci era ultimata e il villaggio cominciava ad espandersi al di sotto, seguendo una stradina che, proiettata sullo splendido paesaggio, conduce alla Via Bolognese. Nella parte più bassa un piccolo campo sportivo e nelle intenzioni di Ricci anche la possibilità di portarvi una scuola e dei piccoli servizi.
L’impresa si concluderà intorno al ‘68 con la costruzione della ventiduesima casa. Ognuna racchiude un’idea spaziale differente, tradotta attraverso un vocabolario linguistico non molto ricco ma sapientemente articolato, pregnante e pronto a piegarsi ad ogni esigenza. “Se noi analizziamo gli interni delle case”, osserva Koenig (che assieme all’ing. Petrelli affianca Ricci nell’impresa), “troviamo una totale varietà di spazi: collegati in cascata nella casa Pierluca, con un gioco di patii a più livelli nelle case Masi e Santoro, con una rampa avvolgente i soggiorni la casa Sante e via dicendo fino al soggiorno frazionato in quattro diversi livelli nella casa Petrelli”. Il linguaggio adottato è veramente flessibile, costituito da pochi segni declinati secondo esigenze domestiche, umane, morfologiche e formali. Confermata la grammatica, Ricci rielabora di continuo la sintassi, attraverso il binomio pietra-calcestruzzo, che comincerà a rifiutare soltanto nella fase conclusiva del suo lavoro. Si osservi la trama con cui intreccia e intesse questi due materiali, ricercando una logica trasparente tra interno, esterno, struttura e forma. Usa la pietra in chiave moderna, imprimendo alle superfici murarie tagli obliqui e riseghe in grado di alleggerire e slanciare gli involucri.
Il risultato è una muro-membrana, tormentato, tagliato, mangiato in corrispondenza delle aperture, come per esempio nella casa Degli Innocenti e nella casa Damme-Capacci. […]
Durante la costruzione del villaggio non mancarono le critiche. Alcuni rimproverarono a Ricci di aver imposto il suo linguaggio, badando poco ai desideri della committenza, molti invece non compresero lo spirito umano che animò l’impresa, limitandosi a sterili giudizi estetici, tanto da soprannominare Monterinaldi “il villaggio dei marziani”. Oggi il verde intenso copre queste splendide case, ammorbidendo le taglienti linee che un tempo segmentavano il paesaggio. Leonardo Ricci ha realmente concretizzato un utopia: utilizzando l’architettura come strumento di aggregazione sociale ha distrutto la solitudine dell’opera d’arte, creando un piccolo universo realmente impegnato a sperimentare nuove possibilità di convivenza e scambio tra gli uomini. Abbiamo prima osservato come l’architetto ha pensato e realizzato la propria casa senza le porte interne. Bene, allo stesso modo e per gli stessi motivi, nessuna delle ventidue case costruite è recintata, separata da barriere o isolata come solitamente avviene.
Sono piccoli dettagli questi, che contengono e materializzano l’idea, l’amore, l’entusiasmo per una vita aperta, libera, scevra da piccolezze e snobismi, e che certamente spingono ogni individuo alla ricerca del proprio vicino, per trovare, tutti insieme, le ragioni del vivere comune. L’impresa inventata di Monterinaldi è il vero capolavoro di Leo Ricci, l’opera che meglio di ogni altra ne incarna la naturalezza e la gioia quasi infantile nel progettare e che ne testimonia il suo carattere aperto, pieno di speranza, cordiale, estroverso, intraprendente e straordinariamente creativo.
“Non si tratta di una “nuova Tebaide” né di esseri privilegiati. Pure qualcosa c’è di diverso. La vita si svolge come in tutte le altre parti. E come da per tutto si prova gioia e dolore. Pure la notte guardiamo le stelle. Per i bambini poi è il paradiso terrestre. E tutto questo fatto con poco […] il fatto è che queste case conoscono la terra dove sono nate. E io ho vissuto giorno dopo giorno con loro. Non si tratta di bellezza ma di verità. Anche se qualche volta piove dal tetto”.
Leonardo Ricci (Roma, 1918)
Si laurea in architettura a Firenze con Giovanni Michelucci, di cui, oltre che allievo, sarà assistente e collaboratore. Ricci ha affiancato all’attività di architetto e urbanista anche quella di pittore, tenendo diverse mostre personali in Italia, Parigi e Stati Uniti. Docente appassionato e stimolante della Facoltà di Architettura di Firenze di cui è stato preside (dal 1971 al 1973),ha tenuto molti corsi, tra cui Elementi di Composizione e Urbanistica. Dal 1960 fino al 1983 è stato visiting professor e graduate research professor al MIT, Pennsylvania State University e Florida University. Ricci Muore a Venezia, dove si era trasferito, nel settembre del 1994.
Giovanni Bartolozzi, Leonardo Ricci: lo spazio inseguito
editore: testo & immagine/Marsilio
collana diretta da Antonino Saggio
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