Brunetto De Batté_Ralph Erskine
Tanto so che nessuno mi leggerà, ma scrivo lo stesso per il piacere di raccontare.
Il raccontare del fare un’architettura democratica & di non inseguire mode e tendenze, ma tanto so che su questo non mi sente quasi nessuno, ma comunque proseguo sempre lo stesso sentiero insegnando il senso del progetto partecipato = tentativo & esplorazione, del progetto di spazio tempo in un progetto sostenibile, per un progetto dove una comunità si può realizzare in un immaginario formativo.
Erano i tempi che praticavo Carlo Doglio e le sue sperimentazioni comunitarie e con occhio attento seguivo De Carlo nelle sue realizzazioni partecipate. Si era studenti allora, e si faceva strada una nuova dimensone del fare architettura. Erano i tempi dei primi testi di sociologia urbana (dalla lotta per la casa al decentramento urbano + democrazia e dalla giustizia sociale e città al diritto alla città) infatti tra Lefebvre e Marcuse (o meglio la scuola di Francoforte) si stava tessendo quel piano di prime incursioni di quello che poi sarà l’architettura radicale.
Parlo di Firenze dove transitavano ed incontravi Lefebvre, van Doesburg, Kahn… ma il dibattito accademico era ancora tra razionale ed organico. Pochi libri e riviste rispetto ad oggi, poche e limitate immagini rispetto alla contemporanea comunicazione, erano così obbligati i viaggi per vedere e capire o trarre dalle piccole informazioni i riferimenti innovativi. Stavamo guardando da ogni parte, in quel tempo, ma c’era anche il mito dei paesi scandinavi, ovviamente non solo per l’architettura…
Su questo filo d’inseguimento da segugio ho incontrato questo architetto su un libricino, che per allora, i fine anni sessanta, si rivelava prezioso. Un libricino della collana universale Cappelli su l’architettura contemporanea. Era uno sguardo fuori dai confini in altri paesi e questo curato da Stefano Ray raccoglieva con fluidità l’architettura moderna nei paesi scandinavi.
Erskine, citato tra decorativista e fantasioso (pp.101 e 166): mi incuriosì quella piccola foto sulla fabbrica a Fors, e visto che le immagini all’epoca erano rare ed anche ingenue potevano scatenare immaginari dilatati che travalicavano il bordo o taglio dell’immagine, bastava poco per sognare, ma soprattutto erano quelle finestrine con immorsature aggettanti che rendevano prezioso quell’edificio. Così quando seppi della chiatta trasformata in veliero, il “Verona”, dove aveva attrezzato il proprio studio dal 1955 al 1970 e questo collimava con un mio sogno, si scatenò la curiosità di seguire l’operare di questo architetto e visitare i cantieri.
Con Giancarlo De Carlo più volte abbiamo discusso dei vari modi di procedere con il progetto & partecipazione, tra i suoi ricordi del team X e le proiezioni dei nuovi artefici (Kroll, Dalisi, Mari) Erskine rappresentava un vivace riferimento. Si fa carico la nuova veste di Spazio&Società (edizione quadrata Mazzotta) che nel numero 2 del 1978 dedica ben trentacinque pagine a R.E., con a seguito Dalisi (con ventinove pp. su Traiano e Ponticelli) poi ancora a seguito, e non a caso, articoli di Theo crosby, Lodovico Quaroni e Luciana Miotto.
In quel numero ben nutrito, veniva dipanata la storia intrecciata del quartiere Byker, 80 ettari, questa ristrutturazione che dal ‘69 instaura un recupero dove il sovrapporsi di balconi lignei ed altre addizioni ingentilisce in disegno domestico la facciata della corte interna rispetto alla fortilizia facciata esterna prospicente l’autostrada, le masonette, e altre piccole case, un sistema integrato di tagli abitativi uscito dalla risorsa dell’utenza.
Un bel progetto con molti stratificati segni che rende leggibile il metodo progettuale di Erskine, un continuo fare punto e a capo, tornando ogni volta alle funzioni primarie come a un problema integralmente nuovo per il quale non esistono soluzioni a priori (affine, in questo, al metodo di Aalto), trova a Byker una delle verifiche più complete della propria vitalità e sembra riproporre il ruolo dell’architetto condotto che vive sul posto, entra in familiarità con l’utente e finisce col fornigli l’aiuto in ogni circostanza.
Questo suo fare che collimava con il concetto di Finkis, che tradotto è funzione partecipata, di un progetto utile, sociale, collettivo, democratico.
Nato a Mill Hill, vicino a Londra nel 1914, (l’educazione in una scuola quacchera, che ebbe certamente un’influenza decisiva sul carattere di Erskine, aiuta a comprendere il suo comportamento nel lavoro: la spontaneità, il modo democratico di raggiungere le decisioni di gruppo, il massimo di libertà individuale e la sobrietà) laureato al Politecnico della capitale inglese in architettura e urbanistica, a venticinque anni si trasferi in Svezia e in quel clima politico culturale intravvide la distanza dal mondo accademico occidentale, il ruolo del progetto inserito nella dimensione dove l’architettura è l’arte più aderente ai fatti perchè riguarda solamente le cose reali.
Il palazzo per uffici Talgarth Estates (1989/1991) chiamato l’Arca per la forma dell’edificio sagomato come la versione tradizionale dell’arca attribuita a Noè, un complesso che ha una superficie di circa 15.000 mq e si sviluppa su 11 piani: 2 interrati, 9 sul lato nord che scendono a 5 sul fianco soleggiato a sud. Un edificio emblematico, ricco di anticipazioni e che raccoglie tutta l’esperienza di Erskine e dimostra che il ruolo dell’architetto non è solo quello di dar forma a monumenti prestigiosi ma di progettare spazi di vita in ambienti propizi. Un edificio da visitare per comprendere, gustare, sentire, un pò si può cogliere in sezione, è quell’architettura difficile da fotografare, da trasmettere, ma quell’architettura sensibile che trattiene stratificazioni, plurisegni… che solo nell’immersione dello spazo può restituire pian piano le ragioni compositive.
Egelius sottolineava ritagliando la figura dell’architetto su Ralph, un architetto deve ascoltare la gente e risolvere i problemi insieme a essa: agire come faro, un faro che permette alla gente di navigare, anzichè come pilota che decide la rotta che tutti devono seguire. Così a seguito ricordo la Frescati University Stockholm (dal 1974 biblioteca, la sporthall), il progetto di ristrutturazione del rione di Guasco San Pietro in Ancona (1985), proposta di parco litoraneo a Torre di Palme (1989), il complesso Lilla Bommen (1985 una torre di 25 piani che si articola con una base ad isolato) e Scicla Udde (un vivace quartiere sud di Stoccolma), gli uffici a Hammersmith/Londra… progetti che precedevano quell’urbanistica di terza generazione, e architetture che introducevano concetti di architettura del paesaggio.
Ancora oggi sono fonti di riflessione ed accostamenti con altre esperienze per date e temi. Ho avuto la fortuna di conoscere chi si adopera o si è adoperato nella pratica del progetto partecipato come Sverre Fhen, Otto Frei, Alison Smithson, Fumihiko Maki, Lucien Kroll, Herman Hertzeberger, Donlyn Lyndon, ma purtroppo non ho potuto incrociare Erskine, il grande marinaio che si è spento il 17 marzo di quest’anno a 91 anni, ma le sue opere sono li ad esempio, pronte per una attenta rilettura.