Massimo Ilardi_Nei territori del consumo totale: il disobbediente e l’architetto
Mentre nel moderno era la politica a fondare lo spazio destinato non a unificare ma a dividere il genere umano (Galli 2001), oggi é il mercato, con i suoi circuiti finanziari internazionali, con l’atopia delle sue strutture commerciali, con le sue reti di comunicazione globali, ad abbattere le mura della città e a determinare lo spazio metropolitano fino ad estenderlo oltre ogni limite e differenza. La stessa guerra muta radicalmente: l’obiettivo non é più “la conquista di un territorio, ma l’abbattimento di tutti i muri che ostacolano il flusso di nuovi poteri globali fluidi” (Baumann 2002, p. XIX).
Sono proprio questa unicità senza più differenze e questa infinità senza più confini dello spazio mondiale che l’universalismo del mercato ambisce a raggiungere per favorire una mobilità assoluta delle merci e delle finanze a porre il rapporto tra territorio e spazio come uno dei problemi centrali della contemporaneità. Perchè se é stato il sistema di mercato a creare la società metropolitana e il suo spazio regolato intorno a flussi incessanti di informazione, di capitali, di tecnologie, di élite manageriali, é ora l’agire consumistico a porsi come principio organizzatore delle relazioni tra individui e tra individui e merci e a disegnare il territorio in un modo nuovo e del tutto inedito. E’ sulla cultura del consumo e i suoi valori, che non definiscono tanto i meccanismi di funzionamento di una società nuova quanto dissolvono quelli della società tradizionale, più che sulla nuda logica dei flussi e delle reti di mercato che si dividono le moltitudini del mondo; ed é sempre sul consumo, sui suoi oggetti e sulle sue pratiche, che si scatena il conflitto sulle strade metropolitane.
Mercato e consumo, società in rete e particolarismi locali, sembrano essere universi paralleli che si muovono dentro due forme di spazialità differenti ambedue presenti nella città contemporanea e che pretendono comportamenti, linguaggi, esistenze diversi e, in molti casi, contrapposti: la prima, più legata a esigenze di circolazione delinea una spazialità neutra e ininterrotta che dovrebbe funzionare come elemento di mediazione tra regole metafisiche del mercato e comportamenti del consumatore; la seconda, quella del consumo, più vincolata a richieste e necessità che riguardano individui concreti che si incontrano si identifica con un territorio determinato. Può accadere che “il sistema delle reti attraversa e infrange quello del territorio, lo indebolisce e gli fa perdere proprio quella coesione e quelle particolarità che sono alla base della sua natura essenzialmente politica”. E’ un modo per consacrare la rivincita del legame debole sul legame forte (Badie 1995, p. 124).
2.1. La deterritorializzazione sempre più estesa a cui stiamo assistendo è favorita, oltre che dall’espansione planetaria del sistema di mercato come sistema unico, dal collasso della rappresentanza e dei partiti che la organizzavano e dalla crisi dello Stato e della sua sovranità: se legale é tutto ciò che avviene in conformità della legge che governa un determinato territorio, allora affinchè la sovranità possa dispiegarsi deve essere localizzata, deve esistere in quanto estensione territoriale delimitata da soggetti che ne prendono possesso, che vi si stabiliscono, che la occupano e ne tracciano i confini. Il territorio si é sempre presentato come un sistema integrato di luoghi modellato dal gioco delle forze poliche, legittimato dalla legge, perimetrato dallo Stato.
L’instabilità degli assetti istituzionali e il livello sempre più critico raggiunto dall’agire politico che perde progressivamente la capacità di produrre modelli di azione, classi dirigenti, abilità nella mediazione, scelte di vita dipende anche dal fatto che lo spazio metropolitano non ha e non prevede confini. La stessa comunità politica si viene mano mano disgregando per l’irrompere di forme di individualità che si affermano al di fuori di quei contesti sociali consolidati dalla modernità (fabbrica, scuola, chiesa, famiglia) che ricomponevano le diverse individualità dentro valori universali e interessi generali. Queste, in sintesi, dovrebbero essere le conseguenze più immediate dell’espansione del mercato, e in alcuni casi proprio queste conseguenze si riscontrano. Tuttavia ciò che realmente regna é il massimo dell’incertezza.
Accanto a forme ‘imperiali’ di spazialità si riaffermano, infatti, principi territoriali definiti non solo, come vedremo, dalle culture anticomunitarie del consumo ma anche da comunità religiose, linguistiche o etniche che con logiche discriminanti in termini di comportamenti, credenze e culture vogliono farsi Stato e trasformare lo spazio anonimo del mercato in territorialità che racchiudono identità coese, appartenenze forti, con confini determinati, dove sud e nord, est e ovest non si confondano mai. Territorialità che emergono dalla dismisura dello spazio metropolitano mondiale proprio perchè hanno la capacità di separare ed escludere, contengono ordinamenti e localizzazioni, e perchè svolgono un ruolo sempre più importante sullo scenario mondiale. Territorialità che prendono sempre e comunque forma dal conflitto che si scatena sul consumo: in questi casi sul rifiuto della sua cultura priva di anima, senza radici, superficiale, libera da identità forti.
La costruzione sociale di questi territori é la conseguenza di conflitti violenti, determinati, diversificati, e, nel caso delle comunità, di una decisione politica che ha in sè la possibilità di dare misura, forma e ordine e dunque legittimità al territorio che rappresenta. Raffigurano, in questo caso, sistemi spietati di differenzazione identitaria del tutto dipendenti dallo Stato o da altre forme istituzionali fondate su divisioni etniche o su fondametalismi religiosi e si comportano in maniera altrettanto spietata nell’estensione del loro potere.
2.2. Di fronte a tutto questo é possibile pensare a forme territoriali che non si identifichino immediatamente con comunità tradizionali o identità locali e che non sfocino quasi naturalmente in forme statuali o istituzionali? In altre parole, allo spazio universale del mercato e del terrorismo internazionale può rispondere solo il territorio come configurazione di uno Stato? O ci sono altri modi di attraversare lo spazio, altre forme di riterritorializzazione che non si coagulino in strutture rigide, gerarchiche, oppressive, che non si identifichino immediatamente in un Soggetto determinato, e che non rischino di far ricadere il pensiero critico nel baratro dei ‘luoghi’, dell’identità, della cittadinanza (questa volta definita ‘globale’), del culto delle origini e delle appartenenze?
Non si potrebbe pensare, ad esempio, a forme di territorializzazione più legate ad ambiti dell’esistenza, quindi più mobili, più conflittuali, più libere che prevedano la non partecipazione, la non integrazione, la non cittadinanza degli individui? E soprattutto, perchè é decisivo oggi tornare a parlare di ‘territorio’?
Propongo innanzitutto di riflettere su due forme di vita che appartengono, più di ogni altra, ai comportamenti della moltitudine contemporanea: quella della libertà e quella del consumo. Poi cercheremo di osservaro più da vicino questo passaggio da una società di mercato a una società del consumo.
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Massimo Ilardi - Nei territori del consumo totale. Il disobbediente e l’architetto
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