Brunetto De Batté_Vangelo secondo Germano

Se si può entrare nelle critiche della mostra organizzata secondo Germano Celant e realizzata insieme a Gae Aulenti e Pierluigi Cerri, visto che tutti si esaltano, e poi secondo il vangelo di Germano c’è tutto, esattamente come ci potevamo aspettare, il rapporto tra Arti&Architettura è in parte terreno suo con una laurea ad onoris causa regalata.
In questa grande iniziativa per “Genova 04 - città europea della cultura”, viene così catturata l’attenzione del mondo, indubbio una vera ciclopica fatica nel raccogliere ciò che potevamo aver già visto in libri d’arte del novecento o in IMMAGINE PER LA CITTA’ 72.

La rassegna delle avanguardie fotografa differenti percorsi ed esplorazioni della stagione di intensi fermenti che attraversa le utopie disegnate dei primi del secolo, le le esperienze sfaccettate del Bauhaus, le tecnotopie, distopie dell’architettura radicale, la fotografia come lettura ed interpretazione della realtà, frammenti di film che ricordano o raccolgono emozioni di tempo ed uso dello spazio una passeggiata in 3D in libri già visti.

La mostra Arti&Architettura, curata da Celant, ci accompagnerà verso la conclusione del viaggio che Genova ha intrapreso lungo questo 2004, dedicato alla cultura europea. Il “ritorno” alla contemporaneità che questa grande mostra rappresenta è un’apertura verso un nuovo cammino, più che il punto d’arrivo di un percorso” questo viene promosso.
Infatti tratta di percorsi e attraversamenti, una disseminazione di eventi lungo un’asse che attraversa la città ed il fronte mare. Sono previste installazioni e oltre a bill boards anche arredi urbani, pensiline e chioschi.

Tra le Installazioni (allestite in strada e piazze o in chiostri di nobili palazzi) troviamo opere di Alfred, Barbieri, Basilico, Becher, Branzi, R. Burri, Cantafora, Casebere, Cook, Crewdson, Davis, Demand, Dawson, Eggleston, Esser, Forg, Ghirri, Gursky, Höfer, Jodice, Kellner, Kiefer, Lambri, Matta-Clark, Nordman, Norfolk, Oppenheim, Peress, Piano, Rio Branco, Rossi, Ruff, Shore, Struth, Sugimoto e altri. Mentre nei cortili di Palazzo Ducale e nelle piazze scorgiamo Cabrita-Reis, Merz, Oldenburg-van Bruggen, Mendini, Van Lieshout e altri.

La “mostra storica”, divisa in due parti, si articola negli spazi di Palazzo Ducale.
Nel Sottoporticato (dal 1900 al 1970) troviamo:
Abbot, Adams, Albers, Alechinsky, Al’tman, Antonioni, Archigram, Archizoom, L. Baldessari, A.G. Bragaglia, Branzi, Brassai, A. Burri, Cartier-Bresson, Chaplin, Chashnik, César, Chernikov, Chiattone, Christo & Jeanne-Claude, Clair, Constant, Crali, Dassin, Delaunay, Depero, De Sica, Domela, Dubuffet, Evans, Feininger, Finsterlin, Flavin, Fontana, Friedman, Godard, Goncarova, Gorin, Griffith, Gropius, Henri, Hitchcock, Hollein, Hundertwasser, Isozaki, Itten, Kandinskij, Keaton, Kertesz, Klee, Klein, Klucis, Lang, Larionov, Le Corbusier, Léger, Leonidov, LeWitt, Libera, Licini, Lingeri, Lissitskij, Lo Savio, Malevic, Mansurov, Manzoni, Marchi, Mel’nikov, Mendelsohn, Miller, Moholy-Nagy, Mollino, Molnàr, Morris, Murnau, Oud, Ozenfant, Pannaggi, Pasolini, A. Pomodoro, Prampolini, Radice, Resnais, Rietveld, Rodcenko, Rosi, Saint Phalle, Sant’Elia, Scharoun, Schlemmer, Siegel, Smithson, Sokolov, Somaini, Steichen, Strand, Suetin, Superstudio, Tanguy, Tati, Tatlin, Täuber-Arp, Taut, Terragni, Tinguely, Tobey, Van der Leck, Van Doesburg, Vedova, Vertov, Vesnin, Vidor, Welles, Weston, Wiene, Wright e altri.

Al Piano Nobile ( dal 1970 al 2000) troviamo:
Abraham, Allen, Acconci, Ambasz, Amelio, Ando, Armajani, Asymptote, Aulenti, Aziz+Cucher, Basilico, Becher, Bellini, Bolande, Botta, Bourgeois, Cantafora, Casebere, Cook, Dean, Dennis, Diller & Scofidio, Durant, Eggleston, Eisenman, Ehrlich, Elmgreen & Dragset, Erwitt, Ferreri, Friedlander, Fuksas, Gehry, Ghirri, Gilliam, Graham, Greenaway, Hadid, Hartmann, Herzog & de Meuron, Coop Himmelb(l)au, Hirshhorn, Holl, Isozaki, Jodice, Hejduk, Hollein, Kabakov, Kapoor, Kellner, Koolhaas, Langlands & Bell, Lee, Lynn, Maki, Meier, Mendini, Misrach, Morphosis, Nouvel, Oldenburg-van Bruggen, Opie, Oppenheim, Peichl, Peress, Pesce, Piano, Proyas, Purini, Rai, Rio Branco, Sarfati, Schütte, Scolari, Scott, Shore, SITE, Siza, Slominski, Soleri, Sottsass, Sugimoto, Toderi, Ungers, Watanabe, Wenders e altri.

Ma quello che interessa sottolineare è questo terreno di confine, territorio neutro degli scambi disciplinari che nel secolo precedente sempre più in crescendo, quasi in modo esponenziale ha dilatato le dimensioni.

Il terreno della quotidianità, dell’urbano ospita e diventa set (fotografico, cinematrgrafico, teatrale, performance…), luogo dove si rinnovano le discipline, si verificano sul campo della contaminazione in una messa a punto degli strumenti, delle affinità, delle strategie e degli obiettivi.
Siamo di fronte al meglio del meglio per stare dalla parte della città e di Celant, in fondo la filosofia è provocare l’effetto Bilbao (come preannunciato in una prima mostra preparatoria nel settembre del 2003), ma questo è per non addetti, o più vicini all’arte, ma noi sappiamo che l’architettura è servita anche per meravigliare, per essere spettacolo nello spettacolo oltre Debord. La nuova strategia supermoderna (molto vicino al progetto di design) gioca sul paradosso, lo spiazzamento, l’estraneità e queste soglie di ibridazione introducono nuovi significati alla città e nuovi percorsi intuitivi progettati molto vicino alle arti dove la funzione è sempre più secondaria all’involucro.
Questo è anche il senso della mostra (vicino allo spirito genovese dell’accumulare) e raccoglie il percorso e le varie tangenze al tema, Genova infatti diventa come lo è sempre stata il punto di snodo per discorsi innovativi (i mille, il socialismo, arte povera, post modern, marcatré, …)

L’invenzione di Celant è di progettare una festa dell’architettura, produrre situazioni ed eventi dentro e fuori i palazzi, una festa che vuole scuotere, un modo per attirare a se curiosità, l’attenzione dell’Europa e non solo.
Il “museo” scende nelle strade e nelle piazze con una serie di opere contemporanee che cercano un dialogo non scontato con le immagini, gli spazi, i significati che abbiamo ereditato della nostra storia.

Genova vuole capovolgere questa tradizionale e splendida introversione. Aprirsi. Mettersi in mostra. Mettersi in discussione. Ecco allora che il panorama abituale, anche con gesti vistosi, viene modificato dal “nuovo” che, non può lasciarci indifferenti.

Unico rammarico è che la città poi alla fine viene sempre vista come circoscitta al centro e non tutta la città del contemporaneo fatta di periferie, di insediamenti considerevoli extraurbani periferie che hanno un certo bisogno di rinnovo, di azioni ed operazioni di contaminazione… in fondo l’effetto Bilbao si può esercitare, visto che ha funzionato anche sui margini urbani, ma questo forse sconfina troppo nel sociale, nella partecipazione, nel dover coinvolgere tutti come la significativa operazione “pic-nic al biscione” del collettivo plug_in.

Valeva la pena una sperimentazione, visto che il senso di contributi di scambio è da riferire all’happening, all’installazione, all’effimero, all’istant city… strumenti che portano alla valutazione di possibili interventi successivi di progetto e che possono divenire momenti di partecipazione radunando paesaggi di paesaggi nello spirito del tempo.
Quello che emerge è che Genova è una città per narrare.

È ovvio che ciò che è esposto è secondo il vangelo del critico d’arte Celant…
Ma poteva essere interessante sapere come alcuni artisti&architetti viventi…
potevano intervenire con proposte, progetti, installazioni su parti di città periferiche o in spazi urbani critici, opere&progetto che potevano suggerire o verificare frammenti…

certamente “l’invasione” di 50 cartelloni d’arte di 6×3m più i pannelli a fermate d’autubus determineranno si l’estensione e comunicazione della mostra alla città l’idea è una amplificata maniera d’intendere arte&città, ma i 50 son pochi e certamente il linguaggio della comunicazione pubblicitaria è più dirompente che messaggi d’arte, comprensibili e beatificanti solo agli adetti ai lavori, vincono sempre più i giganti manifesti dei crakers e delle clarks nei confronti di quei 50 frammenti d’architettura…

La mostra (di grandissimo rilievo internazionale per la preziosità degli oggetti), più che arte&architettura è arte e una parte dell’architettura.
Le installazioni esterne sono una provocazione superata basta ascoltare come specchio segreto i commenti più fini ed ironici dell’opera stessa, passi Mendini e Rossi e Hollain ma per il resto sono installazioni gratuite, delusione da Pesce e Gehry, ma anche le collocazioni sono discutibili… da un punto di vista in rapporto con l’ambiente.
Forse, ribadisco, se installate in parti di città con problemi, l’operazione finalizzava anche lo scopo di provare con l’arte e l’installazione possibile correzioni o simulazioni di mutamento.

Poi, ho notato grandi assenze, da Barragan o Goeritz a De Carlo. Ugo La Pietra, Strum, …
ma questo diventa un gioco per tutti i visitatori di registrare le assenze, che prosegue nei bar con liste allungate sui tovaglioli…
Personalmente avrei preferito una lettura ancor più critica basata su possibili categorie e strategie d’intervento nelle tematiche dell’urbano anziché una mostra di firme. Arti&architettura è un gran tema di attualità toccato in alcuni numeri di Lotus, ma credo che una vera immersione nel tema ne valga la pena (”l’arte del paesaggio urbano”).

- SI POTRA’ CORREGGERE IL TEMA CON VERE IMMERSIONI OPERATIVE ?
- POTRANNO RIENTRARE NEI PROSSIMI PROGRAMMI CULTURALI EFFETTI DI
LABORATORIO IN PARTI DI CITTA’ DOVE LE OPERAZIONI ARTISTICHE DIVENTANO VERO STRUMENTO PROGETTUALE ?

[Brunetto De Batté]

Brunetto De Batté
Si è laureato in architettura presso la Facolta’ d’Architettura di Firenze.
Ha collaborato con Michelucci, Ricci e Savioli. Professore associato alla Facoltà di Architettura di Genova insegna Architettura degli Interni, Museografia e Scenografia.
Dirige il Master in Architettura per lo Spettacolo. Collabora con Parametro, è redattore della rivista Anfione Zeto.

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