Filippo Forzato_Terragni e il monumento Sarfatti
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Sta su un colle dell’altipiano di Asiago, attorno a pascoli e prati un tempo stravolti dalla guerra. E’ lontano da insediamenti ed avvolto ad un panorama di catene montuose e pendi, dove piccoli oggetti all’orizzonte incuriosiscono l’osservatore. La pianura sottostante è un’omogenea nebulosa d’elementi distesi in una superficie lievemente ondulata. In questi posti il tempo cambia repentinamente colori e atmosfere.
Il piccolo monumento compare quasi inaspettatamente. E’ stato commissionato negli anni ‘30 da Margherita Sarfatti a Giuseppe Terragni, in memoria del figlio Roberto, caduto da combattente in questo luogo.
E’ una T stesa su un prato. Alta oltre due metri, formata da conci di pietra locale su una struttura in calcestruzzo, una scalinata di 15 gradini, un gigante cubo monolitico sovrastante con incise sintetiche frasi commemorative, una piccola foto, un inopportuno “recinto”, nient’altro…
I conci sono di pietra di Asiago trattati a spacco di cava per il basamento, mentre levigati per il monolite cubico (di due blocchi). L’opera fruibile è orientata rispetto l’asse nord-sud.
Le richieste della colta committente, il luogo impervio, fattori economici e questioni burocratiche, condizionarono non poco il progettista trentenne, nonché l’esecuzione e l’opera finale.
All’epoca, il giovane architetto si trovò alle prese con questo particolare tema e occupato - oltre che da altri incarichi - dal concorso per Palazzo del Littorio a Roma.
Questo progetto non rappresentò l’occasione per riprodurre e interpretare un aspetto della vita, quanto ridurne la complessità. Terragni elaborò diverse proposte abbastanza differenti, in una sequenza d’idee, considerazioni e alternative tipiche del suo approccio. L’iter progettuale fu travagliato e complesso quanto più semplice appare oggi il risultato. “Un masso preistorico scavato da una scala per renderlo percorribile”; una sepoltura “degna di un antico soldato romano. Visto dall’alto, ricordava un corpo disteso al suolo, con le braccia spalancate”.
Il monumento appare sicuro, ben poggiato, solido, massiccio.
Nelle giornate di sole la luce accentua rugosità e volumetrie. Foschia, nebbia, nuvole rivelano la patina del tempo, i rifacimenti, i ritocchi recenti, le imperfezioni dei giunti.
Oggi, non lontano, vi è una curiosa intelaiatura di legno eretta dai contadini. La costruzione scheletrica appare incerta e precaria. Si muove leggermente, quando soffia il vento.
Questi due “oggetti” - presenze solitarie - nella loro contrapposizione caratterizzano l’atmosfera.
Il monumento (”oggetto” in se, radicato nella memoria collettiva dei questi luoghi ma sconosciuto ai più) evoca diverse sensazioni e pone delle domande a chi lo osserva. Chi deve ricordare? Perché è li? Chi lo ha voluto? Chi e perché lo ha costruito? Rispondendo a queste domane, lentamente, si capisce anche un’Architettura… Chi osserva e ascolta, partecipa di infinite vite altrui.
[Filippo Forzato]
©copyright archphoto-Filippo Forzato