Domenico Cogliandro_La città e il suo riflesso

Fotografia di Giò Botta

Ci sono stati due libri che mi hanno particolarmente affascinato, quando li lessi, anni fa. Ognuno dei due portava con sé un’eredità di fascino e di mistero, fascino per le attese (cosa ci sarà dietro questa cosa?) e mistero per le scoperte (e se questa cosa non è quella che sembra?).
Quei libri, uno di Bontempelli (La scacchiera davanti allo specchio) e l’altro di Carroll (Attraverso lo specchio), avevano un solo elemento in comune, apparentemente. La lettura di ogni libro impegnava, ha impegnato e impegnerà, il lettore in maniera differente: da una parte la prosa del primo novecento italiano e dall’altra la poesia dell’ottocento inglese; da una parte un narratore puro, e dall’altra una sorta di pedagogo; da una parte lo sdoppiamento dell’identità, e dall’altra l’intromissione in una realtà altra. Ho letto Bontempelli in unica soluzione, ho letto Carroll a più riprese. Quello che ricordo maggiormente dei due libri è il rapporto infantile tra il personaggio principale e la figura-specchio posta davanti. Lo stesso rapporto che Umberto Eco profila bene quando scrive che lo specchio è un fenomeno-soglia, che marca i confini tra immaginario e simbolico. Fra i sei e gli otto mesi il bambino si confronta con la propria immagine riflessa nello specchio. In una prima fase confonde l’immagine con la realtà, in una seconda fase si rende conto che si tratta di una immagine, in una terza comprende che l’immagine è la sua. In questa assunzione giubilatoria dell’immagine il bambino ricostruisce i frammenti non ancora unificati del proprio corpo, ma il corpo è ricostruito come qualcosa di esterno…, indicando nella visione infantile quel che di originalità dinanzi all’estraneo e al familiare che solo i bambini sanno avere.

Giò Botta ha capito, a mio parere, che gestire un fenomeno-soglia può aprire nuove strade alla conoscenza del rapporto di simmetria inversa tra ciò che lo specchio riflette e la realtà in quanto tale acquisita dai sensi. Il lavoro che propone sulle riflessioni urbane è un aspetto della sua ricerca intorno al concetto di regressio ad unum, all’unità individuale in cui la familiarità con la scoperta, con una apertura (heideggeriana) verso il proprio e verso l’altro, assume come funzioni di una medesima operazione le fasi di conoscenza del sé ricordate da Eco. Botta, in un gioco di inversione identitaria (come vuole il libro di Carroll), immagina di essere un adulto e sa che la maniera giusta per affrontare la questione della ricerca visiva, senza doversi sobbarcare il peso delle teorizzazioni barthesiane, è quello di affrontare l’immagine riflessa per come si pone naturalmente.

Per cui, nell’artificio della costruzione lessicale di ogni singolo fotogramma, oppone alla simbolicità dello specchio-oggetto l’iconicità dell’oggetto-riflesso, trasfigurando l’idea di contenitore che riflette e assorbe immagini (come mirabilmente ricorda Bontempelli) nell’apparenza ordinaria di una pozzanghera d’acqua o di una macchia d’olio. E così agendo denuncia (riprendendo l’idea portante dei due libri) che normalmente, ma noi non ce ne accorgiamo, la città-superficie propone continuamente patine in cui essa stessa riflette parti di sé, assumendo una sorta di coscienza dell’immagine riflessa.

Quello che non vediamo, però, ha due facce e Botta ce lo fa intendere attraverso il fuoco sul riflesso. In un aspetto è la città che sta oltre il suo specchio pronta, alla minima increspatura o al passaggio d’una ruota, a cambiare configurazione, a trasformarsi temporaneamente in altro: in una ibridazione della forma o soltanto in una vibrazione. L’altra faccia nascosta ha a che fare con la città che sta sotto la macchia d’acqua, quella che traspare dietro lo scatto del fotografo, irraggiungibile e, per questo, libera da ogni classificazione: è la città che la ricerca di Giò Botta sta cercando di svelare provando, oltre l’immagine e oltre le immagini, a distrarre dal riflesso la patina superficiale per scoprire, anche per un solo attimo, il corpo nudo di una cosa che il bambino ha sempre immaginato possibile.

[Domenico Cogliandro]

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