Luca Mori_Cronache italiane 2003
Le cronache italiane di quest’estate hanno portato alla ribalta il tema delle periferie, consegnando alle masse un termine abusato convenientemente riconfezionato e depurato di tutti gli aspetti più problematici e profondi.
Quando a Rozzano, nel cosiddetto interland milanese, è avvenuto l’ennesimo scellerato fatto di sangue sullo sfondo dei quartieri dormitorio, l’iniziale silenzio dell’intellighenzia architettonica italiana ha datto spazio a dichiarazioni dissennate da parte di amministratori provinciali e giornalisti al grido unanime “Abbattiamo le periferie!”.
Anche La Repubblica se ne è fatta portavoce; Michele Serra ha fatto notare che la classe dei sapienti ha snobbato il problema lasciando alla voce di amministratori rozzi ed ignoranti l’onere di affrontare questo tema assai arduo e delicato. Come se il problema fosse quello di eliminare una realtà fisica e non quello di ricostruire un tessuto sociale.
Poi l’autunno ci ha regalato il condono edilizio, a conferma di questo processo di degenerazione amministrativa.
Oggi questo provvedimento suona come il rivelarsi della vera faccia dell’Italia, quella che si arrangia e tira a campare, che scarica il barile delle responsabilità ed imbonisce la folla ottenebrata.
Case che sorgono nella notte o che riemergono dai campi come in Sicilia: il nostro paese continuerà ad essere ferito se non vi saranno cambiamenti strutturali e sociali, altro che abbattere le periferie.
Come la spieghiamo questa cosa ai nostri giovani, alle nuove leve di futuri architetti, come li preserviamo dal cinismo e dalla durezza di fronte ad una realtà del lavoro che li vede sempre meno tutelati e riconosciuti?
L’Architettura, se vogliamo salvare questa parola, non è quella delle riviste patinate e distante dalla quotidianità, l’architettura è mille altre cose, è un modo per osservare con occhio critico gli spazi in cui viviamo tutti i giorni, le realtà con cui ci confrontiamo; ma deve essere un modo per intervenire
sulla realtà con i privilegi della complessità e dell’adattamento, nella coscienza che nessuna soluzione può essere quella definitiva.
Non si tiene conto del fatto che uno degli obiettivi principali dell’architettura contemporanea è proprio quello di intervenire negli interstizi, dare risposte “chirurgiche” a realtà complesse.
Si guardi ad esempio al lavoro di Boeri con Multiplicity, ad iniziative come USE o ad approcci sperimentali come quello degli MVRDV.
Esiste un’Italia che crede nella speculazione teorica, nella ricerca, propone nuove chiavi di lettura ma non ha nessun legame reale col mondo delle istituzioni, nessun riconoscimento.
E’ un sistema a comparti stagni dove chi fa le leggi non possiede gli strumenti e spesso le doti conoscitive per operare, e chi invece ne è dotato è bloccato dalla burocrazia.
Un cambiamento può arrivare solo dal basso, da un mutamento nelle abitudini e nelle esigenze della gente che dovrebbe riuscire ad evadere dal vicolo cieco degli stereotipi offerti dai media.
Forse Manfredo Tafuri oggi assumerebbe una posizione ancora più negativa nei confronti delle possibilità del progetto. Ma oggi la realtà sociale è molto mutata da allora, si affacciano nuovi scenari (la globalizzazione, internet, la comunicazione totale) che se da un lato possono confermare lo scacco di chi non ha il potere ma lo subisce, potrebbero anche dare più forza alla voce delle masse, favorire lo sviluppo di una coscienza autonoma, ecologista e realmente democratica.
Il dissenso oggi fortemente presente nei “movimenti” ma assente dagli schermi televisivi deve potersi esprimere in primo luogo per le strade ma anche sfruttando le nuove tecnologie in modo creativo e propositivo.
Internet possiede ad esempio grandi potenzialità come mezzo di documentazione e verifica sul territorio di quelle esigenze sociali e strutturali di cui architettura ed urbanistica storicamente si fanno portavoci.
Il sogno è quello di un’architettura per le masse, anche di un’architettura “minima”, fatta di piccoli interventi a costo controllato che comunque garantiscano uno standard qualitativo sufficiente.
Il problema è ancora quello di una scollatura tra il paese reale e quello dell’università e dell’editoria.
Una nuova identità per l’architetto è possibile e va perseguita affrontando i reali problemi che la contemporaneità ci pone e non falsi miti.