Massimo Canevacci_L’immaginazione esatta di Oscar
Oscar Niemeyer, Museo d’arte contemporanea, Niteroi
Acho que a arquitetura tem que criar espanto (stupore), criar surpresa, é feito a obra de arte, a obra de arte se caracteriza quando ela provoca emoção e surpresa.
Oscar Niemeyer
A ottobre, sono andato alla biennale di São Paulo due volte. Le cose d’arte che mi hanno colpito di più sono state, di nuovo e sempre, i nastri sinuosi di concreto attraverso cui Oscar Niemeyer ha immaginato si dovesse salire ai piani superiori. La flessuosità curvilinea di queste scale senza gradini sembra sospendere chi ci cammina sopra in un paesaggio immaginario che promette meraviglie inimmaginabili. La stessa sensazione, accentuata per essere all’aperto di fronte a una delle baie più belle del mondo, ho avuto nel salire altri nastri bianchi nel museo di arte contemporanea a Niteroi. Quel senso di ebbrezza che, penso, debbono provare i bambini quando dilatano gli occhi l’attimo prima di ricevere i balocchi attesi.
Oscar appartiene a una visione del marxismo occidentale. Un genere di sinistra che non si sottometteva al diktat “realista” di Mosca, ma che sperimentava visioni determinate da una immaginazione esatta. Erano le relazioni tra le arti sperimentali che liberavano i presenti/futuri dalla monotonia del passato. Questo tipo di marxismo, per il quale egli sempre si definì comunista, sta veramente agli antipodi (anche in senso geografico!) sia del vetero-comunismo alla rifondazione, sia delle banalità qualunquiste tipo “tra destra e sinistra non c’è più differenza”. Le differenze ci sono e sono enormi: sono le visioni liberate di un’arte che mescola visione del pubblico come altro, una percezione repubblicana fondata sullo stupore verso architetture che dislocano le percezioni tradizionali, le spostano e fanno salire sui nastri curvilinei dell’innovazione estetica. Un pubblico soggettivizzato non collettivo. Oscar Niemeyer partecipò attivamente a un movimento che trasformò la teoria critica in immaginazione esatta. In questo senso, è un erede-continuatore delle opere di Benjamin e Adorno, di Bloch e Marcuse. Un marxismo della speranza anche per chi non è data più speranza.
Mi sono rattristato profondamente per la morte di Oscar Niemeyer. Una tristezza composta da una strana leggerezza euforica. Fin dal mio primo viaggio il Brasile, parlo del 1984, ho amato questo architetto umanista, insieme agli altri due suoi compagni di viaggio: Lucio Costa e Burle Marx. Anche senza intendere nulla di architettura, il Memorial da America Latina, sempre a São Paulo, mi sembrava una pittura spaziata, in cui il surrealismo visionario di Mirò si incrociava con la sua architettura flessuosa. Un Memorial vicino alla mobilità della musica piuttosto che alla solidità della scultura. Gli interni, dedicati alle arti popolari o sperimentali, sono eleganti e quasi lussuosi. Un lusso pubblico. Si è accolti in quegli spazi con deferenza: essere cittadini che adempiono a una decisiva funzione politica: godere il bello e apprendere le arti. Per questo chiamai il Memorial Mirò-meyer, un mix tra il surrealismo del pittore catalano e l’immaginazione dell’architetto carioca.
Oscar Niemmeyer (nato a Rio de Janeiro) aveva qualcosa di affine al paulista Oswald De Andrade: l’antropofagia. Le avanguardie europee arrivarono rapide e subito infiammarono le Americhe Latine, trovando un terreno già autonomamente fertile. Là i giovani artisti furono smossi dalle esperienze surrealiste, futuriste, dadaiste – ma non le copiavano. Cioè non riproducevano quegli stili o codici: li antropofagizzavano. L’antropofagia - da stigma selvaggio che gli europei affibbiarono ai nativi - fu rivendicata come arte del deglutire selettivo. L’antropofagia non era più una fame “rituale” di carne umana: ma un appetito mirato, sensibile e delicato, teso a scegliere le parti corporali più saporite per digerire in modo creativo l’altro e non un ingurgitare indifferenziato o indigesto. I sapori, i colori, le parti del corpo che venivano imbandite per essere incorporate erano scelte sulla base di strategie culinarie estetico-politiche. Gli antropofagi modernisti – cioè la grande avanguardia brasiliana degli anni 20-30 - diventavano così degli artisti basati su una estetica della selettività: essi si “scambiavano” i sapori e i saperi delle carni, mentre ciò che non piaceva era “vomitato”. L’artista antropofago non è un “primitivo” che divora qualsiasi pezzo di carne esotica, bensì un interprete costruttivista che sceglie, rimastica, sputa e deglutisce il bolo dai sapori estetici “impossibili”.
Oscar Niemeyer è la parte carioca (cioè non paulistana) di questa tradizione antropofagica. Come ogni discepolo che si rispetti, nessuno tradì di più e meglio il suo maestro inziale, Le Corbusier. Il suo comunismo si distendeva nell’euforia del bello e del pubblico. Le sue opere sono state indirizzate essenzialmente all’arte per le persone, mai al consumo di massa tipo shopping center. È una cosa su cui riflettere. La sua architettura sviluppa il pubblico, afferma la bellezza in quanto cosa pubblica, favorisce la cittadinanza come inclusione all’arte: questo è il senso della sua opera culturale. Il consumo in quanto tale (non certo l’aumento dei consumi delle fasce povere, cui era sensibilissimo) lo vedeva come regressione monotona priva di quello che scopre e inventa il bello. E il bello nelle opere d’arte favorisce dislocamenti percettivi, stupore di moduli mai visti prima, ascese verso nastri che conducono chi sa dove. Per lui (e per me), il marxismo è il bello-che-disloca, non il realismo-che-monotona. È lusso-calma-voluttà, non certo il realismo collettivo che infesta i seguaci del “partito”. La relazione tra estetica e politica disvela la sua architettura umanista. Lo stupore nel vedere le sue opere deve essere affine a quello che i fiorentini vissero scoprendo la cupola del Brunelleschi.
Oscar Niemeyer,Copan, São Paulo
Oscar Niemeyer,Copan, São Paulo
Sarebbe interessante comparando due opere su cui Emanuele Piccardo è sensibile: il Copan di São Paulo e il Corviale di Roma. Fiorentino e Niemeyer. Quest’ultimo non ha mai immaginato un palazzo collettivo, con un piano comune e desolato, senza rifiniture, puro concreto brutalista adeguato a un realismo squadrato e senza soggettività. Il Copan continua a muoversi curvo al centro di São Paulo, con le aree per il consumo decetrato e vissuto in basso, in modo che le pratiche di socializzazione (ristoranti, negozi, anche il cinema purtroppo mai realizzato come il teatro) trovassero spazi di libertà condivisa. Un consumo micrologico creativo. Non ha le geometrie euclidiane collettivistiche di Corviale, più affini di quanto si sia disposti ad ammettere al Mall di Victor Gruen. L’essere comunista di Oscar indirizza l’estetica verso i dettagli rifiniti, gli ascensori eleganti, le porte intarsiate, gli scalini colorati: tutto al Copan è una bellezza che – si spera – diventerà patrimonio della città e così si potrà preservare e in parte restaurare. Il suo movimento sinuoso disegna quella che è la seduzione artistica che l’architettura può sviluppare. Il concreto non è usato nel senso dei blocchi brutalisti-tayloristi, come spesso nella stessa São Paulo è norma. In questo senso Oscar è carioca, ha la visione sottolineata da tanti - oltre che da se stesso - sulla sensualità del corpo femminile e delle isole della baia di Rio de Janeiro. Il corpo di Corviale è neutro. Corpo sessuorepresso.
Mario Fiorentino, Corviale, fotografia di Emanuele Piccardo
Per i 90 anni di Oscar, così scrisse quel genio musicale di Chico Buarque, già studente di architettura: “Depois larguei a arquitetura e virei aprendiz de Tom Jobim. Quando minha música sai boa, penso que parece música do Tom Jobim. Música do Tom, na minha cabeça, é casa do Oscar”. L’architettura è affine alla musica: e quella di Oscar Niemeyer si incrocia con i suoni ondulati di Tom Jobim e di Chico Buarque. Per il suo funerale “non credente”, la banda ha suonato una musica di Pixinguinha e l’Internazionale. Un pastore protestante – accanto a uno cattolico e un ebreo - ha intonato una celebre canzone di Dorival Caymmi. Pixinguinha e Caymmi sono poco conosciuti in Italia, mentre l’Internazionale … Era presente un architetto italiano che aveva lavorato tanto con e per lui, Giorgio Veneziani, 86 anni. Ci sarebbe dovuto essere Domenico De Masi che - per fare l’auditorium di Ravello, un regalo alla città di Oscar – ha dovuto lottare dieci anni contro gli imbalsamatori di Italia “nostra” (cioè loro).
Massimo Canevacci, antropologo, dopo aver insegnato Antropologia Culturale, Arti e cultura digitale all’Università La Sapienza di Roma, oggi è Visiting Professor all’Università di Rio de Janeiro. Grande studioso del Brasile, nazione in cui vive attualmente, ha innovato l’antropologia attraverso il suo approccio transdisciplinare.