Emanuele Piccardo_Il viaggio di Le Corbusier

L’Italia di Le Corbusier è la mostra, a cura della storica Marida Talamona, in scena al MAXXI che racconta l’importanza del belpaese nella formazione del giovane architetto svizzero. Era il 1907 quando Le Corbusier entrava nella Certosa del Galluzzo, sulle colline di Firenze, fondata da Niccolò Acciaiuoli nel 1341, per studiare la complessità spaziale delle celle, impregnando la mente dei principi architettonici dell’Età dell’Umanesimo. Questo luogo mistico sarà determinante quando Le Corbusier, il non credente, progetterà nel 1953 il Convento domenicano de La Tourette, nei dintorni di Lione. Qui la pianta della Certosa verrà ripresa nella creazione dei chiostri, con le superfici vetrate disegnate dal compositore musicale Yannis Xenakis, e nella disposizione perimetrale delle celle, restituendo la stessa monumentalità dell’esempio fiorentino. Le Corbusier nel suo viaggio iniziatico ritorna più volte in Italia per apprendere dall’architettura romana e rinascimentale i principi su cui fonderà la sua poetica, espressa nel 1927 nei Cinq Points de l’architecture (pilotis, plan libre, facade libre, toit-jardin, fenetre en longeur). In particolare nel 1911 quando, durante il Voyage d’Orient attraversa Germania, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Yugoslavia, Romania, Turchia, Grecia e Italia. Le sue fotografie, scoperte dallo storico Giuliano Gresleri, ritraggono luoghi significativi: dal tempio del Partenone al Bosforo, dalle case di Pompei al Michelangelo architetto della Basilica di San Pietro, delle quali un corposo numero è presente in mostra, purtroppo però, solo con stampe digitali non originali. Dimostrando ancora una volta la scarsa considerazione per la fotografia, ridotta a banale riproduzione, nonostante questa disciplina abbia consentito la conoscenza dell’opera corbuseriana, non solo per mano del suo autore, ma a partire dal grande lavoro svolto dal fotografo Lucien Hervé.
La frequentazione dell’Italia consentirà a Le Corbusier di elaborare numerosi progetti che proporrà ai gerarchi fascisti, agli industriali e ai politici, con una grande produzione di disegni e schizzi ma che, sfortunatamente, non vedranno mai la luce. In questo senso la mostra, grazie ad un allestimento povero, con pareti di tavole di legno, ideato da Umberto Riva, ne restituisce la cronologia dei viaggi, soffermandosi con più dettagli sui progetti realizzati nel 1962 per il Centro di Calcolo Olivetti a Rho, per la produzione del primo computer a dispetto della potente IBM, per la Chiesa di Bologna, grazie all’interessamento di Giuliano e Glauco Gresleri e alla lungimiranza del Cardinale Lercaro (inserita in un ampio progetto di nuove chiese delle quali fu costruita solo quella di Alvar Aalto nell’appennino bolognese) e infine per l’Ospedale di Venezia del ‘65.
Si potrebbe affermare che l’incapacità a rendere moderno lo Stato era già evidente ai tempi di Corbu se, nemmeno lui con la sua forza, riuscì a convincere Mussolini ad affidargli il progetto delle città di fondazione e Olivetti a commissionargli la nuova sede della fabbrica ad Ivrea. In questo senso è interessante la corrispondenza tra i due per interposta persona, l’ingegnere Aldo Magnelli (designer della prima macchina portatile Olivetti, la MP1), che l’11 gennaio 1935 scrive a Corbu che “Maintenant Olivetti qui possède un peu de terrain dans un tres joli endroit, desiderait se faire une petite villa et voudrait avoir un des vos desseins […] La maisonette -prosegue- doit avoir huit chambres (living-room, salle à manger, bureau, trois chambres à coucher, cuisine, menage, bains, etc.)” […]. Nella conseguente risposta positiva (datata 22 febbraio 1935) alla richiesta di progettare la “petit villa” Le Corbusier, pur rendendosi disponibile, si autocandida a progettare la città industriale e gli alloggi per gli operai. Olivetti risponde che al momento la villa non si fa e che la fabbrica la realizzano Figini&Pollini. Uno smacco per Le Corbusier che nella contro-risposta, questa volta inviata a Magnelli, pur di convincere il possibile committente, enfatizza l’amicizia, reale, con i suoi jeunes confrères ma rivendica la sua esperienza che il duo di architetti italiani a suo avviso non hanno. Così Corbu per tutta la vita propose progetti visionari di città, realizzati in parte e per frammenti nelle sue architetture. In questo senso Brasilia, realizzata dagli allievi Lucio Costa e Oscar Niemeyer, insieme a Chandigarh, capitale del Punjab, progettata da Corbu stesso insieme all’onnipresente cugino Pierre Jeanneret (il cui ruolo fu fondamentale in ogni progetto, figura ancora tutta da rivalutare), rappresentano gli unici esempi realizzati.

Il MAXXI che dovrebbe essere l’istituzione di riferimento per l’architettura contemporanea dimostra una scarsa sensibilità verso ciò che si progetta oggi, senza nulla togliere alla mostra in corso. Evita di affrontare questioni calde come la crisi economica e il ruolo dell’architettura.
Diversamente dalla mostra Foreclosed: Rehousing the American Dream, curata da Barry Bergdoll al MoMa, sulla ridefinizione del sogno americano applicato al tema della casa, causa della crisi determinata dalla speculazione immobiliare. Invece il museo, inaugurato due anni fa, non prende posizione e fa apparire la mostra L’Architettura del Mondo, sul tema stantio delle infrastrutture, in corso alla Triennale di Milano, come unica esposizione contemporanea di architettura in Italia. Il paradosso è che sia a Milano che a Roma sono gli stessi compagni di merenda, Ferlenga e Ciorra, a gestire un triste panorama architettonico nel più becero buonismo veltroniano, di cui la nomina alla presidenza del MAXXI della sua “mamma” Melandri, ne rappresenta l’esempio lampante.

[Emanuele Piccardo]