Alessandro Lanzetta_In ricordo di Renato Nicolini
È dura parlare di Renato Nicolini pensando che non c’è più. È quasi impossibile immaginare di non rivedere la sua faccia gentile, con quel sorriso delicato e ironico che sempre anticipava commenti geniali ma sempre semplici e gentili. Insomma, lievi.
La leggerezza, infatti, è sempre stata la sua “cifra”, il suo modo d’essere come intellettuale e scrittore, come architetto, come artista di teatro, come politico e anche, presumo, come professore di Composizione Architettonica in una realtà di frontiera come quella di Reggio Calabria.
Anche in questa occasione ha mostrato la sua educata gentilezza lieve, andandosene in punta di piedi, in una Roma agostana rovente e deserta. Una Città da lui veramente amata, raccontata e spiegata in molti saggi, libri e articoli, ma, soprattutto, trasformata in un luogo più bello, accogliente e - come lui -gentile, con la famosa operazione politica e culturale dell’Estate Romana. Quell’evento di pura invenzione progettuale trasformò interi pezzi di Roma in spazi pubblici, favorendo la riappropriazione di una comunità stremata e impaurita dagli anni bui del terrorismo. Da quel momento il centro storico e altri luoghi abbandonati diventarono qualcosa che tutti i cittadini potevano vivere, utilizzare, da scrivere e riscrivere a proprio piacimento. L’estate romana è stata, quindi, una grande opera pubblica che, cambiando la percezione della città, ha trasformato come pochi altri eventi spaziali la disciplina e la cultura della progettazione architettonica e urbana.
Ho avuto modo di conoscere e frequentare Renato Nicolini in molte fasi della mia vita, direi in molte età e in molte posizioni diverse. Posso testimoniare che il suo modo di approcciare e confrontarsi con la gente è sempre stato lo stesso: gentile, divertente, disponibile e anche curioso.
Da adolescente lo incontrai varie volte ad assemblee o dibattiti dei movimenti studenteschi della sinistra romana, che non erano mai teneri con i dirigenti del PCI. Era la fine degli anni ottanta, la «svolta» di Occhetto e nell’occasione di un’assemblea in un liceo gli fu chiesto quale nome dovesse prendere il partito. Ci pensò un attimo, e rispose: «direi DC, Democrazia Comunista». Scoppiò un divertito applauso, e lui, quasi imbarazzato, distolse lo sguardo e si girò verso di me, un ragazzino sconosciuto, dicendomi sottovoce: «bella cazzata, eh?». Anni dopo lavorai a Massenzio Cinema, l’unica sua creatura sopravvissuta negli anni grotteschi delle giunte democristiane della fine degli anni ’80. Nicolini veniva spesso, durante e dopo gli spettacoli si fermava a chiacchierare fino a tardi con noi, semplici lavoratori. Cassieri, strappa biglietti, proiezionisti, sorveglianti e qualche cinefilo irriducibile. Più recentemente l’ho rincontrato all’università, in gruppi di ricerca e convegni ritorvando, un’altra volta ancora, la stessa disponibilità e cordialità. Scherzava e si confrontava con le persone, giovani ricercatori o professori, nella stessa identica maniera di quando ero uno studentello di liceo o uno strappa biglietti di Massenzio Cinema.
Insomma, Nicolini è stato un grande Intellettuale e Artista, un bravo Architetto e Professore, un geniale politico, ma soprattutto una persona gentile e disponibile.
È stato un grande uomo di sinistra, un vero Comunista italiano.