Davide Borsa intervista Sergio Bonriposi
Marco Dezzi Bardeschi alla Cascina Cuccagna di Milano racconta il progetto di restauro dell’edificio
Davide Borsa intervista Sergio Bonriposi, presidente consiglio direttivo del “Consorzio Cantiere Cuccagna”.
D: Come giudichi l’esperienza del progetto alla luce dell’idea della libera iniziativa e della sussidiarietà di cui si fa un gran parlare: il privato cittadino, anche impegnato nel sociale, come incontra le possibili declinazioni della libera impresa nella gabbia delle corporazioni e dei poteri pubblici che ne presidiano tutti i passaggi cruciali?
R: L’esperienza della Cascina Cuccagna è un esempio molto raro di realtà che si uniscono spontaneamente per realizzare un’impresa nel contempo economica, sociale e culturale: un’impresa che nasce del tutto autonoma, promossa da un’aggregazione di cittadini del quartiere e da associazioni e cooperative che appoggiano il progetto nella sua fase costitutiva. Il salto importante che caratterizza questa esperienza è di essere passata da un ideale sociale e culturale, che costituisce l’ispirazione di molti progetti analoghi, ad una impresa vera e propria, accettando la sfida di affrontare una spesa di oltre 3 milioni di euro, partendo da un capitale zero.
D. Su quali agevolazioni strutturali e su quali straordinarie si può contare per chi volesse ripetere o seguire il vostro esempio?…
R: Non esistono agevolazioni e aiuti di sorta. Il principio fondatore è una risoluta volontà di un gruppo che ritiene di sobbarcarsi la responsabilità di mettere in azione ogni sforzo e ogni rapporto possibile per ottenere i finanziamenti necessari (collette, donazioni, elargizioni, prestiti, bandi, sponsor…) per raggiungere lo scopo. Non abbiamo nessuna formula magica da proporre, solo un duro lavoro quotidiano di ricerca di contributi finanziari, per proseguire i lavori. Il gruppo promotore deve essere cosciente dell’ impegno che l’attende e deve sentirsi in grado di affrontarlo.
D. Quale ruolo di spinta e di incentivo avete avuto dagli uffici comunali cultura, sociale, edilizia e statale sovrintendenza, per la vostra iniziativa?
R. Non vi sono stati particolari elementi di stimolo provenienti da enti pubblici. Gli enti pubblici stanno gradualmente abbandonando la passata politica di intervento diretto, che aveva i suoi limiti ma anche un bagaglio di ottime realizzazioni, per delegare, a causa delle ristrettezze finanziarie, impegni e oneri sul privato e sul privato sociale. Ma sono tuttora sprovvisti di strumenti per captare ciò che di buono avanza nella società per favorirlo e sostenerlo; manca un’idea nuova e propositiva volta ad un incontro con forze nuove capaci di contribuire concordemente a progetti significativi. In un certo senso avviene il contrario: è la Cascina che opera costantemente per interessare e coinvolgere istituzioni e assessorati regionali, provinciali e comunali alle diverse iniziative. Una considerazione analoga va espressa anche nei confronti dei privati, restii, salvo qualche grande impresa multinazionale, a investire in progetti sociali significativi volti a migliorare il tessuto e la coesione sociale.
D. Quale apporto dalla collaborazione con l’università e se consideri questo un aspetto straordinario…
R. Con l’ Università ci sono stati continui rapporti nell’impostazione del Progetto Cuccagna e successivamente nell’elaborazione di progetti specifici, particolarmente nel campo agro-alimentare. Saltuariamente diversi professori partecipano a nostri incontri culturali (ad es. nel campo sociale). L’apporto della università è stato comunque fondamentale: infatti tutto è partito da una ricerca per una tesi di laurea.
D. E per quanto riguarda lo sviluppo del progetto di riqualificazione e valorizzazione e le scelte conseguenti?
R. Invece di adeguare gli spazi alle funzioni abbiamo adattato le attività e le esigenze alle logiche del luogo, guidati dal principio del massimo rispetto nei confronti della testimonianza storica. Questo ci ha anche consentito un potenziamento della forza di comunicazione dei nostri contenuti, anche dal punto di vista emozionale ed estetico e di riconsegnare alla città una “immagine agricola” identitaria, in cui tutti ci possiamo riconoscere, portare il sapore e l’atmosfera, ma anche i valori di una cascina direttamente nel cuore della città, da cui la definizione di contadino urbano.
D. Nello specifico vi siete assunti la responsabilità, notevole per qualsiasi committente, di un progetto che sia al contempo culturalmente e socialmente avanzato, sostenibile economicamente ed esemplare dal punto di vista dei criteri metodologici e delle conseguenti scelte tecnologiche e formali
R. In questo caso la collaborazione col Politecnico di Milano è stata una straordinaria opportunità di sperimentazione ed attuazione del nostro programma, attraverso l’esperienza e il rigore del prof. Marco Dezzi Bardeschi per il progetto architettonico di conservazione e riuso e il prof. Giancarlo Chiesa per gli impianti e la sostenibilità ambientale, assieme alla meticolosa cura dei restauratori impegnati nel recupero di tutte le superfici, dettagli e parti che compongono l’edificio, restituendoci una straordinaria esperienza della presenza e dell’uso dell’edificio attraverso la sua storia secolare fino ad oggi.
D. Mi avevi parlato di un esempio torinese, a proposito di Cascine e sviluppo sostenibile, come modello di “buongoverno”….
R. A Torino sono state ristrutturate alcune cascine con un grande apporto del Comune e coi finanziamenti europei del progetto URBAN. Le associazioni sono state chiamate in un secondo tempo a gestire strutture ristrutturate con soldi pubblici. Si tratta dunque di un modello molto diverso.
D. Come siete riusciti e quanto vi manca ancora per chiudere il conto economico, anche se già a questo punto si può parlare di successo dell’iniziativa
R. Dopo aver speso oltre 2,5 milioni di euro, mancano all’apertura 600.000 euro e 1 milione di euro per concludere tutto. Abbiamo in corso diversi rapporti finalizzati a procurare le risorse mancanti. Siamo fiduciosi di realizzare il risultato, anche se si vive costantemente nella speranza. Gli impegni sono molti e attendiamo con fiducia la conclusione per poter pervenire ad una gestione per così dire “normale”.
D. Come e quanto è stato importante l’apporto degli abitanti e la loro idea di tutela e di memoria del luogo nello sviluppo del progetto?.
R. Gli abitanti sono stati interessati in vari modi. Quando siamo riusciti ad aprire la cascina la gente è arrivata numerosissima. Alcuni gruppi attivi (gli orti, la lettura, i volontari “contadini urbani” ecc.) vedono la partecipazione di persone del quartiere. Anche le sottoscrizioni hanno avuto adesioni locali significative. Certo si può auspicare molto di più; appena la Cascina sarà aperta il radicamento nel quartiere sarà uno degli scopi principali da perseguire.
D. Veniamo all’attualità: bisogna trovare gli ultimi fondi, per concludere questa straordinaria esperienza, anzi, per iniziarla….. I temi dell’EXPO, Nutrire il Pianeta, Energia per la vita, sembrano fatti apposta per valorizzare questa realtà…
R. Non c’è stato fino adesso l’adeguata considerazione della nostra esperienza e specificità culturale e il suo riconoscimento come luogo esemplare rispetto ai contenuti di EXPO. Fino adesso abbiamo avuto visite e contatti, ma nella sostanza solo riconoscimenti informali e risposte interlocutorie a cui è mancato poi il riconoscimento ufficiale, da parte dello stesso ente, con il conseguente mancato finanziamento per gli ultimi lavori. I ritardi nell’ultimo lotto di lavori sono dovuti anche al fatto di non essere stati riconosciuti come “punto” EXPO di rilevanza cittadina, cosa su cui contavamo. Ricordo che la nostra esperienza è partita ben prima, anticipando i temi dell’attuale dibattito, ed è inserita per di più anche nel Piano Cascine Expo, un progetto a cura di Multiplicity.lab del Diap Politecnico di Milano, con la collaborazione di Coldiretti, Consorzio Sir, Slow Food, Vita, Centro Studi PIM e Comune di Milano.