Caterina Iaquinta_Educare all’educazione
Darcy Lange, Study of Teaching in Four Oxfordshire Schools, UK, 1977
Peter Garwood, history class, Banbury School
…e vogliono con tutta la forza e con tutti i mezzi
a disposizione fare e fabbricare soldati
in previsione di tutte le guerre planetarie che
potrebbero scoppiare in futuro…
Antonin Artaud, Pour en finir avec le jugement de Dieu, 1947
Antonin Artaud in una delle sue ultime azioni pubbliche, una trasmissione radiofonica del 1947 Pour en finir avec le jugement de Dieu, tornava a sottolineare la necessaria costruzione di un “corpo senz’organi” per la costituzione di identità liberate da vincoli e da giudizi imposti dal pensiero dominante. Questa formula, nata nella teoria teatrale, si trasforma successivamente, nel pensiero di Artaud, in un vero e proprio programma di resistenza ad una società il cui sistema produttivo di lì a poco avrebbe inglobato e pilotato le esistenze servendosi innanzitutto dei sistemi educativi e formativi, in particolare quelli vigenti negli Stati Uniti. Nel 1980, quando Gilles Deleuze e Felix Guattari pubblicano Milles Plateaux. Capitalisme et Schizophrénie, non a caso dedicano un’intera sezione del testo proprio a “Come fabbricarsi un corpo senz’organi”. Riprendendo le parole che Artaud pronunciò nella trasmissione radiofonica, si dichiarano anch’essi a favore della costruzione di un tale corpo, svincolato dalle funzioni, dagli obblighi, dai giudizi. Sostengono cioè un corpo libero, non fabbricato per esistere nei “corpi della guerra e del denaro”, ma al di fuori dei sistemi di potere e di dominio, in cui i processi educativi si pongono come strumenti essenziali per la formazione di società anti-autoritarie in opposizione ai regimi di produzione post-fordisti. Il progetto Learning Machines. Art Education and Alternative Production of Knowledge curato da Marco Scotini e presentato nello spazio espositivo del campus NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, si articola a partire da questo problema: da come avviene e quali obiettivi si pone la formazione di individui all’interno di meccaniche di apprendimento non allineate a quelle dominanti, per indagare alcuni fondamentali esempi di pratiche alternative di produzione del sapere, di sistemi educativi in rapporto all’allievo. Esperienze in cui l’arte è presentata nel suo duplice aspetto di disciplina da insegnare o dalla quale partire per costituire un programma di apprendimento.
Realizzata in un momento di particolari tensioni legate all’ambito della gestione del sapere accademico e universitario che ha visto levarsi le voci degli studenti in tutto il Paese, l’esposizione ha focalizzato il suo obiettivo nell’intenzione di ricostruire una prospettiva all’interno della cosiddetta knowledge-based economy contemporanea in cui, come sottolinea Marco Scotini, “la figura dello studente ha subito un profondo mutamento. Non è più una forza-lavoro in formazione quanto un lavoratore a tutti gli effetti, per cui la conoscenza che egli produce si traduce automaticamente in merce fittizia”. Attraverso la pratica curatoriale risulta allora possibile indagare il fenomeno educativo fino a proporre una meta-riflessione sulla formazione in cui la funzione di una mostra sul tema dell’educazione è quella di potenziare, fino a metterlo in crisi, il carattere della “lezione” fine a se stessa, composta attraverso schemi preordinati. Il display espositivo diventa in quest’occasione un modello di un possibile corso sull’educazione, accompagnato da una visita guidata che spiega la presenza dei sistemi educativi esposti, che agiscono dall’interno guidando il pubblico e facendolo partecipare a una sorta di lezione/epifania dei modelli d’apprendimento presentati. In questo modo il display e la pratica curatoriale si pongono come parte attiva nei processi culturali rinviando, anche formalmente, a quella dimensione involontaria di organizzazione dello spazio in cui sulle pareti sono disposti i differenti contributi all’interno di una classe scolastica: immagini fotografiche, disegni, diagrammi matematici, carte geografiche, libri.
Nell’analisi dei sistemi educativi secondo tale logica performativa restano centrali per la comprensione delle pratiche attuali e più sperimentali alcuni autori fondamentali. Gilles Deleuze con l’esperienza d’insegnamento presso l’Università di Vincennes (la parola “professare” tratta da L’Abécédaire, 1988), i contributi fondamentali di Joseph Beuys con l’esperienza della Free International University (Dusseldorf, 1977), Stephen Willats e le prime applicazioni della cibernetica nell’ambito dell’apprendimento oltre alla pubblicazione della rivista “Control” (1965), Darcy Lange che dal 1976 in Inghilterra nelle scuole di Birmingham e Oxfordshire, introduce il mezzo video come strumento critico per l’analisi e lo studio dei meccanismi di apprendimento e della ricezione da parte degli studenti (Work Studies in School, 1976-1977), e il lavoro svolto dal 1981 da Tim Rollins and K.O.S. nelle scuole del South Bronx (New York), nella proposta dell’attivazione di un programma che metteva al centro le potenzialità creative dei giovani di colore come integrazione agli schemi e ai sistemi comportamentali e sociali. Afferma Tim Rollins nel 1968: “Il grande problema della scuola tradizionale è che essa pone gli studenti in un costante stato di preparazione. […] Io parto da una premessa differente. Invece di educare costantemente i ragazzi a divenire artisti, perché non preoccuparsi di incoraggiarli ad essere artisti adesso?”
LEARNING MACHINES. ART EDUCATION AND ALTERNATIVE PRODUCTION OF KNOWLEDGE
a cura di Marco Scotini
coordinamento convegno: Andris Brinkmanis
coordinamento mostra: Caterina Iaquinta, Elvira Vannini
coordinamento film screening: Rinaldo Censi
progetto allestimento: Luca Macrì
coordinamento progetto allestimento: Michele Aquila, Luca Poncellini
responsabile supporto tecnico: Andrea Aloisio
coordinamento editoriale: Paolo Caffoni
graphic design e immagine coordinata: Tommaso Garner
le fotografie dell’allestimento sono di: Romina Aliaj, Leonard Regazzo, Flavio Mancinelli, Alberto Monti