Andrea Costa+Debora Sanguinteti_Post monument
Yona Friedman, trasfigurazione in marmo del progetto utopico “Ville Spatiale” 1959-60
History, Present, Around, Architecture, sono le sezioni della XIV Biennale di scultura di Carrara che si e tenuta dal 26 giugno al 31 ottobre 2010, dedicata al ruolo attuale del monumento, macchina della memoria. History presenta una successione di opere legate al linguaggio classico e monumentale adottato durante gli anni trenta in Italia, oltre che installazioni sul tra monumenti e ideologie. Present indaga le possibili letture odierne dei monumenti e del loro ruolo, presentando inoltre alcuni linguaggi
contemporanei della scultura. Around distribuisce opere negli spazi pubblici della città. Architecture
legge la tendenza ad accomunare gli involucri degli edifici all’arte plastica. La memoria risulta essere il tema dominante che si legge nella rassegna.
La memoria di avvenimenti storici, con i monumenti e le loro periodiche sostituzioni a seconda della propaganda del periodo. La memoria della città stessa, con la presentazione delle opere all’interno dei laboratori per la lavorazione del marmo, un tempo fiorente, oggi abbandonati.
La memoria di idee politiche che hanno influenzato in passato grandi masse di popolazione e che sono oggetto delle installazioni suggestionate dagli ideali anarchici; ideali ancora rappresentati a Carrara, ma apparentemente destinati a un crescente oblio, fino a diventare, appunto, memorie.
Le opere di maggior interesse sono dislocate in vari punti della città, in prevalenza negli ex laboratori. Antony Gormley in uno di questi spazi affascinanti e pieni di tracce del lavoro materiale colloca due delle sue figure che, abbandonato il rugginoso ferro, esemplificano l’attualizzazione della lavorazione del marmo; figure alla maniera dell’arte plastica tradizionale, ma formate da una geometria di evidente derivazione informatica, come avviene nella moderna lavorazione del marmo: figure tradizionali prodotte dal controllo numerico.
In alcune opere il tema della memoria è declinato in maniera evidente: Giorgio Andreotta Calò dedica la
sua opera alla memoria dei lavoratori caduti nelle cave, e lo fa rischiando, cavando e trasportando un
blocco di marmo fin dentro la ex chiesa delle Anime, con una suggestiva installazione di materia grezza
negli spazi spogli restaurati ma non finiti.
Rossella Biscotti recupera dagli archivi libertari alcuni testi e ce li presenta con i caratteri da stampa in
piombo, obbligando ad una decifrazione faticosa e solitaria dei proclami destinati in origine ad una ampia divulgazione. Yerbossyn Meldibekov e Nurbossyn Oris presentano la memoria di recenti fatti storici, le statue innalzate, abbattute, sostituite, mascherate nei paesi ex URSS, con la sequenza di immagini dei luoghi reali trasformati dai vari momenti della propaganda in luoghi di nuovi simboli, sfondo della vita quotidiana. Altre opere sono ubicate nelle piazze oppure in spazi della città più nascosti; nella piazza Alberica Rirkrit Tiravanija installa una pedana e uno schermo in marmo dove riunirsi e proiettare filmati; il monumento come semplice gradino per sedersi, supporto muto per la vita quotidiana, apparentemente spogliato della sua retorica.
Paul McCarthy si inserisce nella tradizione che vorrebbe stupire e colloca una gigantesca shit nel corso davanti all’Accademia di Belle Arti: notevole la resa materiale del travertino scuro e della realizzazione; abbastanza trascurabile, solo un pochino divertita, la reazione delle persone. Ubicata nel seminterrato delle scuole Saffi, razionale esempio di architettura civica ottocentesca, la deludente sezione Architecture, dove trova posto una infilata di grottesche deformazioni che ricoprono grossi edifici dove il ruolo collettivo dell’architettura fatica a ritrovarsi. Anche qui la memoria: dei grattacieli decorati primi novecento nella torre di Gehry e delle forme dell’architettura utopica degli anni 60-70 nel municipio di MVRDV.
Comunque, grandi progetti ma non sempre grandi architetture. Yona Friedman trasfigura in marmo le sue utopie urbane dense di vuoti e comunicazioni ricavandone suggestive forme; al contrario degli altri progetti dove l’architettura nasce come una scultura, qui la resa plastica nasce dall’idea della città.
Liu Jianhua ci riporta alla realtà, simboleggiando la crescita urbana attuale con pile di fiches da gioco: le architetture precedenti vengono materializzate nella loro vera e nascosta sostanza, i movimenti economici. Memoria infine presente anche nel coacervo di sale e opere della Accademia, dove nell’evento parallelo
dedicato all’arte povera, l’arazzo di Alighiero Boetti ci ricorda equilibri politici e divisioni nazionali ormai
superati, dei quali restano in parte, i monumenti reinterpretati nelle installazioni sparse per Carrara.
[Andrea Costa+Debora Sanguineti]
Liu Jianhua