Emanuele Piccardo_Finalmente Maxxi!
Il primo museo italiano di architettura e arte contemporanee, MAXXI, dopo dodici anni e sei governi, tra concorso e cantiere, è stato inaugurato e aperto al pubblico.
Un museo finalmente maxxi, che consente, attraverso la dimensione degli spazi, una percezione contemporanea delle opere degli artisti siano esse video, installazioni ambientali o performance. Il nuovo spazio interpreta il flusso dei visitatori creando, con rampe sinuose, vere e proprie promenades architecturales avvolgenti come la sua creatrice: l’architetto anglo-iracheno Zaha Hadid. La ricerca dell’Hadid si concentra sulla de-costruzione dello spazio e sulla de-strutturazione del linguaggio creando forme pure in cemento armato a vista. In questo suo modus operandi non sono estranee le ricerche attuate dalla neo-avanguardia italiana degli anni sessanta che, tra le altre, definiva la teoria dello spazio del coinvolgimento. Ciò che accade al Maxxi. Qui l’architetto gioca sul disorientamento temporale e spaziale, in cui l’architettura diventa uno straordinario contenitore con il quale curatori, artisti e architetti si devono confrontare con abilità e intelligenza. Questa sarà la vera sfida, anche se dalle prime impressioni l’oggetto architettonico ben sopporta l’igloo di Merz e l’installazione Widow, in pvc nero, di Anish Kapoor, contraddicendo chi pensa che il museo debba essere il cubo bianco, neutro e anonimo.
Costruito nel quartiere Flaminio, dove è già presente l’Auditorium di Renzo Piano, il MAXXI è la conclusione di un progetto complessivo che riguarda le grandi opere pubbliche romane iniziate dall’amministrazione Rutelli e dall’allora ministro della cultura Veltroni. Il Flaminio diventa così un parco architettonico con le preesistenze del Villaggio Olimpico (1958-60) progettato da Moretti, Libera, Cafiero, Luccichenti, Monaco; lo stadio, opera dell’ingegnere Pier Luigi Nervi, e una interessante carrellata della tipologia abitativa della palazzina romana del dopoguerra lungo la via Flaminia.
Il nuovo museo nasce in un contesto sociale attraversato dagli scandali sulle opere pubbliche del G8 alla Maddalena in cui il ruolo dell’architetto è pesantemente degradato ad affarista senza scrupoli.
Potenzialmente il MAXXI allinea il nostro paese alle altre nazioni europee come l’Inghilterra (Tate Modern) e la Francia (Beaubourg), nella completa assenza della politica incapace di usare l’architettura per realizzare un progetto politico di società e di Stato. Diversamente da quanto fece Mussolini con le città di fondazione, Adriano Olivetti con il progetto comunitario e Fanfani con il Piano Ina-Casa .
Cinque sono le mostre inaugurali: Spazio, Geografie italiane, Gino De Dominicis, Luigi Moretti, Kutlug Ataman. Tra le più interessanti Spazio a cura di Ciorra, D’Onofrio, Pietromarchi e Scardi. Qui artisti e architetti si confrontano sul concetto di spazio ma, ancora una volta, è l’artista ad avere la meglio riflettendo con maggiore efficacia sul tema. Esempi significativi sono la stanza di cuoio e marmo di Penone e l’installazione figurativa (fotografie) spaziale di Pino Pascali. Ciò pone una questione non secondaria sulla capacità/incapacità dell’architetto nella riflessione teorica con un ingrediente base del progetto quale è lo spazio.
Diversamente da Luigi Moretti, architetto fascista dalle grandi abilità teoriche e progettuali, per anni estromesso dalla storiografia ideologizzata di sinistra, fondatore della rivista Spazio, sperimentatore dei rapporti tra architettura e matematica, testimone di quel legame trasversale tra arte e architettura a cui tendono le finalità del museo. Un discorso a parte merita “Geografie italiane. Viaggio nell’architettura contemporanea” curata da Casciato, Ciorra, Guccione, che rappresenta in modo disomogeneo, per temi e architetti selezionati, l’Italia degli ultimi cinquant’anni suddivisa per temi: Città, Ingegneria, Paesaggio, Concorsi, Patrimonio, Design, Landmark, Museo, Protagonisti, Next, Media. Le perplessità si riferiscono ad alcune categorie e alle scelte attuate come accade in “Protagonisti” dove i selezionati sono figure discutibili del panorama architettonico italico come Gregotti e Portoghesi. Assenti importanti personaggi come Giancarlo De Carlo, fondatore della rivista Spazio&Società, Vittoriano Viganò, padre del brutalismo italiano, la neo-avanguardia radicale che ha generato la corrente de-costruttivista di Tschumi, Hadid,Libeskind. Parallelamente in “Next”si registra una continuità con le scelte di Luca Molinari per il padiglione italiano alla Biennale di Venezia, con la selezione di sette architetti che partecipano a entrambe le manifestazioni: un esempio di monopolio culturale. Infine nella categoria Media, oltre alle riviste classiche (Abitare, Domus, Casabella, Lotus, Controspazio, Il Giornale dell’Architettura), si evidenzia la totale assenza dell’editoria digitale, nonostante la testimonianza visiva di Marco Brizzi, fondatore di Arch’it.
Considerazioni che impongono una seria riflessione sul significato di rappresentare l’architettura italiana nel contesto di un museo che ambisce a confrontarsi con grandi istituzioni come Pompidou e Citè de l’architecture, laddove i personaggi scomodi, come nel recente caso della mostra a Claude Parent, non vengono estromessi dal dibattito.
Il MAXXI potrà diventare un luogo della produzione culturale se investirà risorse intellettuali nell’elaborazione di progetti mirati alla formazione della cultura contemporanea nella società civile, evitando operazioni astratte solo per specialisti.