Omaggio a Edoardo Sanguineti
Archphoto pubblica, in omaggio alla scomparsa dello scrittore Edoardo Sanguineti, un testo scritto per Marcatre n. 14/15 dal titolo “Risemantizzazione del reale” (1965), nell’ambito dell’inchiesta a Napoli.
Dirò anzitutto che non so parlare di Napoli in tono neutro e distaccato, come qui si richiede, naturalmente: da molti anni quello che accade in questa città, sul terreno delle arti figurative, mi è troppo caro perchè io possa tentare un discorso che sia del tutto sciolto da affetti. Comunque, fatta questa premessa, confesserò almeno che Napoli è ancora oggi, per me, in primo luogo, la città del Gruppo 58, e cioè la città di Biasi, di Del Pezzo, di Di Bello, di Fergola, di Luca, di Persico. Certo, Biasi è ormai a Parigi dal 1960; e a Parigi è Del Pezzo, dopo un buon periodo milanese; e Fergola, dopo un biennio parigino, opera a New York. Ma la linea attiva di ricerche continua a svilupparsi in quella medesima direzione che fu decisa, essenzialmente, e dopo già ricca maturazione, sette anni or sono. E lo sa bene chi ha visto da Guida, poniamo, la mostra recente di Bugli, Paladino e Stefanucci. Anzi, da quest’anno, si deve aggiungere, ai nomi già noti, quel gruppo “Operativo Sud 64″ (Carlini, Dentale, Diodato, Gennaro, Pattison, Piemontese, Rubino), che ha tenuto la sua prima collettiva, in gennaio, alla Minerva: perché, a parte ogni altra considerazione, il programma di una “risemantizzazione del reale” è una nuova formula per un progetto che ha radici ben solide, in questo terreno napoletano.
Nè gli artisti che ora operano fuori della città si sono mai distaccati da essa completamente: anche in sede di cronaca minuta, Biasi è tornato al Centro, tra novembre e dicembre, con una grossa mostra, e con un suo libro teorico (”Restaurazione e rivoluzione”); Fergola, nella stessa galleria, ha esposto in febbraio tutto un gruppo di sue tempere recenti.
Ma la vicenda napoletana, si capisce, è assai più ricca e complessa, se pensiamo che ha il suo vero principio nel ‘53, con l’incontro milanese di Baj con Biasi e Colucci, e il ponte nucleare così gettato tra Milano e Napoli: quel ponte che poi passerà attraverso il manifesto “per una pittura organica”, quello di Albisola Marina, sino appunto al “Manifeste de Naples”, del ‘59.
Napoli è forse il centro più veramente vivo di cultura figurativa che oggi esista in Italia, e può vantare questo suo primato, a mio giudizio, da parecchio tempo: è vero il resto della penisola non pare avvertire il fatto, ma bisogna dire che il peggio è toccato, e tocca, nel caso, al resto della penisola.
E’ ovvio che il Gruppo 58 e la sua poetica non esauriscono la cultura napoletana: e qui voglio ricordare, tra gli “indipendenti”, almeno un Pisani. E vi saranno certamente altre forze. Ma Luca e i suoi amici, ancora attualmentesono senza dubbio quanto di più vivo si possa incontrare, sul terreno della pittura, in questa città: e chiunque ha sperimentato il grado di calore e di tensione cui giunge a Napoli la polemica culturale, sa che difficilmente si ritrova altrove, in Italia, qualcosa di simile. Il che comprova come l’avanguardia artistica napoletana, ora giunta alla seconda generazione, abbia basi di passione e di intelligenza estremamente concrete.
Per non disperdere le notazioni, giova forse indicare, in riassunto, quella rivista intorno a cui si è raccolta, dal ‘59, ogni cosa viva di Napoli, e non di Napoli soltanto, e cioè “Documento Sud” oggi attivo come “Linea Sud”. Il che mi permette anche di non trascurare il nome di una giovane che da tempo collabora accanitamente, anche come interprete critico, al lavoro dei suoi amici pittori, Steliomaria Martini. “Linea Sud”, d’altra parte, è buon titolo, e buona indicazione di tutta una condizione di lavoro e di problemi: perchè bisogna ricordare che gli artisti napoletani mirano, in primo luogo, a modificare concretamente, con ostinata pazienza, la situazione culturale della città, senza sfuggire ai problemi immediati che li circondano (e la cosa tocca ormai da vicino anche il problema dell’architettura, per quel che so), con una fedeltà che una volta si sarebbe detta commovente a quelle che sono le ragioni precise anche storiche e politiche della loro Napoli.
Quanto poi a ciò che è specifico della cultura figurativa di Napoli, ebbene, chiunque conosce la “Scuola di Napoli” sa quanto questa pittura, proprio come dicevo ora, sia pienamente radicata, ferocemente radicata, proprio nella sua stessa , forza di eversione, al suolo in cui si sviluppa: caso quasi unico, oggi, in Italia. E caso che ha permesso ai napoletani di inventare, assai naturalmente, parecchi anni or sono, una loro pittura “pop” dove “pop”-caso unico al mondo-indicamente veramente ciò che è “popolare”, l’orizzonte intiero della mitologia locale, aulica e volgare, dotta e folkloristica. E basterà pronunciare, per tutti, il nome di Persico.
L’incidenza della cultura artistica napoletana, sul piano nazionale ed europeo, è stata, sino ad oggi, estremamente scarsa. E’ vero che “Documento Sud” era legato a tutta l’avanguardia europea e americana: ma erano tempi in cui l’avanguardia era ancora arditamente clandestina, a Napoli come altrove. Scartando le linee dell’astrattismo e dell’informale, non ebbe fortuna: il primo rumore fu sollevato così intorno ai napoletani in esilio, e talvolta ne compromise la qualità. Di qui nasce quello che vorrei definire come “il paradosso di Napoli”. Oggi che il cordone sanitario intorno a questa città sta finalmente cadendo, ci si accorge che i prodotti della “Scuola di Napoli” stanno, con tutta naturalezza al centro del dibattito e della stessa storia artistica italiana degli ultimi anni, e non già per affrettato aggiornamento, ma, precisamente all’opposto, per lungo e meditato processo.
Qui sono nate, per dire tutto in poche parole, tutte le linee direttrici della “nuova figurazione”: qui, e a Milano, presso Baj e i nucleari. Domani, di conseguenza, Napoli potrà essere facilmente minacciata da un eccesso di fortuna.