Emanuele Piccardo_Biennale ailati
Luigi Ghirri
Italia Ailati era il nome che Luigi Ghirri aveva dato a un suo lavoro fotografico che raccontava un’Italia nascosta, poco appariscente, quotidiana, marginale. Inconsapevolmente il neo curatore del padiglione Italia alla prossima Biennale di architettura veneziana, Luca Molinari, ha intitolato “Ailati. Riflessi dal futuro” il tema del padiglione. “Ailati- afferma Molinari-lancia quindi una visione dell’architettura come arte civile, attenta alla realtà e alla gente, capace di produrre soluzioni per una società inquieta, in profonda trasformazione, spaventata dal futuro ma che dall’architettura dovrebbe essere provocata a vivere con più attenzione e coraggio gli spazi della contemporaneità”.
Scorrendo l’elenco degli invitati si fa fatica a rintracciare l’architettura intesa come arte civile ed etica basta pensare alle intercettazioni e alle indagini che nell’anno 2009-2010 hanno visto protagonisti alcuni dei selezionati alla Biennale. D’altronde se L’espresso la settimana scorsa titolava “Il casino delle libertà” senza remore si può affermare che la prossima sarà “La biennale delle libertà” in cui tutto è concesso e permesso almeno nel contesto italico. Se avessi pronosticato e chiuso dentro una busta sigillata i nomi degli invitati al padiglione italiano avrei azzeccato gran parte degli architetti. Infatti si ritrovano un po’ i soliti noti: Metrogramma, Gambardella, Ma0, Archea, C+S, 5+1aa, Scandurra, Servino, Pellegrini,Navarra, Labics… e poi i vari Piano, Fuksas, Gregotti, Purini…Un discorso a parte merita Cino Zucchi, erede della tradizione architettonica italiana, il migliore e il più serio della sua generazione che è riuscito ad attualizzare le ricerche di Gardella e Caccia Dominioni dimostrando ancora la loro validità. Altre eccezioni nel minestrone cucinato da Molinari, sono il gruppo Obr di Paolo Brescia e Tommaso Principi, eredi della bottega di Piano, capaci di “uccidere” il proprio maestro ed elaborare una ricerca autonoma. E inoltre Vincenzo Latina, scoperto da Fulvio Irace e lanciato da Italo Lupi,che anche la nostra rivista ha contribuito a far conoscere fin dal 2002, anno in cui Archphoto organizzò una biennale off allo IUAV; infine i tamassociati che lavorano su tematiche sociali e sostenibili come ad esempio nel progetto dell’ospedale di Emergency in Sudan.
Questi architetti, come molti altri all’interno del padiglione e in Italia, lavorano nel silenzio senza cercare la ribalta del palcoscenico senza, come si dice dalle mie parti, “fare il passo più lungo della gamba”. Allora non stupiscono le contraddizioni di Molinari quando parla di “visione” e “futuro” senza avere nessun riscontro nelle ricerche di alcuni selezionati. Una visione implica il ritorno alla ricerca dell’utopia realizzata. Ailati è la riproposizione di architetti che hanno avuto il loro apice all’inizio degli anni duemila in concomitanza con la Triennale curata dallo stesso Molinari. Al centro del cui operare non si avverte la necessità di scoprire nuovi architetti che fanno ricerca ma di consolidare il mercato dell’architettura. Quali possibilità hanno gli architetti, i critici, i fotografi, di emergere dalla lateralità di cui parla Molinari? Che ruolo svolgono le istituzioni nel fornire un accesso ai luoghi deputati alla diffusione dell’architettura (MAXXI, Triennale), dove poter sperimentare e verificare le proprie ricerche?Questi sono i temi che si devono affrontare per uscire dallo stallo, presunto o reale, del sistema “architettura/Italia”. Si parla di futuro in Italia 2050 e tranne Ian+ (micro-utopie, Goethe’s House, Housescape, nuove ecologie dei sistemi viventi) non riscontro in Gambardella, Marc, Ma0, Rota, Servillo ecc… riflessioni sull’immaginare il futuro alla maniera di Soleri, Archigram, Otto, Fuller, Metabolisti giapponesi…Sono assenti le teorie e le visioni di architetture future che implicano una diversa concezione della società. In questo deja vu rendo merito a Boeri di essersi inventato “ossigeno italiano” almeno rappresenta una occasione per gli architetti e non, attraverso l’autocandidatura, di far conoscere le proprie ricerche. Prima di ogni Biennale si ha sempre la speranza che il curatore del padiglione italiano riesca a raccontare le pieghe dell’architettura nostrana che non sono composte solo dai sempreverdi ex giovani, o dagli eterni maestri. Il critico e curatore di architettura dovrebbe compiere un lavoro sul campo, visitando gli studi, seguendo i progetti invece, ancora una volta, si fanno selezioni alla scrivania. E’ una questione di approccio, mentalità, cultura del curatore che è chiamato a rappresentare l’Italia attraverso sì l’individuazione di un tema ma con un fil rouge tra il tema e la ricerca dell’architetto. Diversamente non si potrà scrivere nessuna storia contemporanea dell’architettura italiana.