Daniela Lussana_Intervista Panza di Biumo

Richard Long
Giuseppe Panza di Biumo è uno dei maggiori collezionisti mondiali, ha raccolto ben oltre 2500 opere. E’ stata una figura fondamentale nella cultura artistica, con un intuito straordinario ha posto la sua attenzione alle tendenze artistiche contemporanee. La collezione Panza è ospitata in varie sedi: nella splendida Villa Menafoglio Litta Panza, che nel 1996 è stata donata al FAI, e nei più importanti musei internazionali quali il Guggenheim di New York, il Museo d’Arte Contemporanea (MOCA) di Los Angeles, il Museo Cantonale d’Arte di Lugano…

Chi è il Conte Giuseppe Panza di Biumo?

Sono nato nel 23, ho 85 anni e colleziono da 53 anni. La mia attività principale è diventata
il collezionismo, mi sono sempre impegnato con entusiasmo e passione a questa attività rivolta all’arte moderna e contemporanea.

Collezionare vuol dire investire o amare l’arte?

Non si può fare una buona collezione di arte contemporanea con l’idea di investimento. L’arte contemporanea è soggetta a grandi cambiamenti, fluttuazioni, è un’arte che molto spesso segue la moda e non cerca i valori fondamentali della vita umana, in questo caso sono cose che di solito hanno poca durata, possono durare decenni come in un momento essere dimenticate perché non sono cose che entrano nella sostanza del vivere. L’arte contemporanea, quella che ho seguito io, è un’arte che non ha audience, che ha pochissimi collezionisti, è un’arte difficile perché cambia il modo di fare arte. E’ un’arte proiettata nel futuro, è del futuro, non è molto interessata al presente, di conseguenza, per capirla bisogna abbandonare i vecchi schemi e rifarsi ad una visione diversa. Per questa arte è necessaria la lucidità mentale, bisogna capire qualcosa che non è ancora stato
fatto, che è nuovo e ha relazioni con il passato ma solo remote. Questi sono rapporti indiretti, si scoprono quando si entra nella sostanza di un’opera d’arte.

Dobbiamo riconoscerle questa apertura mentale da sempre…

Ho sempre comperato artisti che venivano disprezzati da altri. Quando compravo Rothko i direttori di musei mi dicevano che non era arte, che sbagliavo. Quando c’erano i Rauschemberg la gente si metteva a ridere e diceva che era arte fatta raccogliendo materiale dalla pattumiera.

Perché il collezionista deve Possedere un’opera e non gli basta usufruirne ad
esempio in un museo?

Non si tratta di possesso fisico ma intellettuale dettato dall’amore per le cose che si scoprono dentro un artista, sono relazioni ideali che si vengono a creare tra collezionista e l’artista che crea qualcosa di nuovo. Metà della mia collezione si trova in musei pubblici, visibile da tutti coloro che vogliono vederla, questa partecipazione degli altri su quello che ho scelto è per me una grande soddisfazione.

Lei è uno dei più importanti collezionisti e mecenati mondiali, come ha iniziato a
collezionare?

Ho deciso di collezionare tra il ‘55 e ‘56, non avevo mai comprato arte contemporanea prima di allora. Ero sempre stato molto interessato, fin da bambino, all’arte in genere, ho sempre studiato arte antica da solo perchè ho fatto studi di legge. Ero preparato intellettualmente a scoprire l’arte ma non praticamente perché non avevo ancora le informazioni necessarie per fare delle scelte, quindi mi sono messo a cercare tra le gallerie che c’erano allora a Milano, quelle che mi interessavano di più. Ho conosciuto un critico d’arte francese, Pierre Restany, che mi ha informato su quello che succedeva a Parigi. Sono andato a Parigi ad esplorare quel mondo che allora era ancora il punto centrale per l’arte, se uno voleva avere un’informazione completa sugli avvenimenti
artistici doveva andare a Parigi. Così attraverso questo processo di preparazione ho iniziato a scegliere e comperare, vedere quali erano le gallerie più interessate all’arte nuova, sentire le opinioni dei critici. Restany in quegli anni ’50 mi è stato molto utile, aveva un’ottima conoscenza dato che viveva a Parigi. Ha mai direttamente acquistato da un artista senza passare dalla galleria?
No, non ho mai comperato direttamente dagli artisti, se non che in quei rarissimi casi in cui l’artista non era ancora nel mercato e rappresentato da gallerie. Il 99% delle opere che ho comprato le ho prese tramite gallerie, quelle poche che si interessavano all’arte che mi interessava.

I suoi rapporti erano comunque anche con l’artista?

Si, certo. Nelle gallerie erano poche le opere d’arte e, siccome sono sempre stato un
vorace acquirente, non vi era materiale sufficiente per soddisfare il mio desiderio d’informazione, quindi era indispensabile andare nello studio dall’artista e vedere più opere. Le è mai capitato di intervenire in un progetto artistico proponendo la sua idea di produzione, dando consigli, indicazioni? No, sono sempre stato molto indipendente, ho sempre rispettato le scelte degli altri. Non mi sono mai inserito in qualcosa fatto dagli altri.

Negli anni ha fatto un acquisto sbagliato?

Mi è capitato poche volte, per fortuna, di sbagliare, o di illudermi che un artista fosse più importante di quanto pensassi. Sono tutti errori che poi ho cercato di correggere e quando non potevo correggerli li ho tenuti e non li ho mostrati in pubblico. Questo purtroppo succede. Io sono stato abbastanza fortunato perché pensando a quello che ho fatto in passato, dopo 40/50 anni, si può avere un giudizio obbiettivo sulle cose giuste e sbagliate.

Di cose sbagliate ne ho fatte pochissime. Non tutte le scelte che ho fatto hanno avuto un successo come Rothko o Rauschemberg o Klein. Vi sono artisti rimasti un po’ nell’ombra ma ho fiducia in loro perché nel periodo che li ho acquistati hanno fatto cose che a mio parere erano veramente valide. Purtroppo il mercato è sempre un interrogativo. Vi sono artisti che sono fortunati, altri che lo sono meno. Ad esempio in questi ultimi otto anni ho comperato molto attivamente delle opere di Alfonso Fratteggiani (artista italiano che abita nei pressi di Perugia), un artista che fa solo monocromi ma lavora in un modo completamente diverso da tutti gli altri artisti. Utilizza la pietra serena, un materiale molto pesante ma che ha qualità molto speciali: ha un colore grigio neutro che non influisce sul colore che si applica; avendo delle piccole cavità sulla sua superficie, premendo con un dito il pigmento allo stato puro viene assorbito dalla pietra restando visibile nella sua purezza totale. Non esistono quadri fatti con il pigmento puro, perché è una polvere finissima che non sta attaccata alla superficie, se viene un pò d’aria vola via e quindi è intrattabile.

Fratteggiani ha scoperto questa possibilità creando qualcosa di unico. Alla mostra che abbiamo fatto con altri pittori di luce e colore a Buffalo (USA) la sua stanza ha avuto un grande successo ed ora vende molto in America. Questo è stato un successo rapido. Altri artisti, altrettanto bravi, hanno avuto poco successo pur essendo di grande qualità.

Parliamo di mercato. Cosa mi dice del mercato dell’arte italiana? Confrontato con quello estero?

Il mercato italiano é ristretto, più ristretto rispetto a quello estero dove vi sono maggiori scelte. Qualche volta quello italiano è un pò provinciale, valorizza gli artisti italiani, cosa giusta, ma che dovrebbero anche confrontarsi con quelli stranieri. E’ solo attraverso il confronto che si valuta il valore ideale ed intellettuale di un’artista, rimanere dentro i confini del paese è un rischio, bisogna avere il coraggio di uscire e confrontarsi. Il problema dell’Italia è proprio questo: essere confinati dentro uno spazio ristretto mentre in America, o altre città d’Europa, vi è molto più scambio d’informazione e giudizi. E’ molto utile per gli artisti stessi.

E’ quindi per questo motivo che la sua collezione ha una forte presenza di nomi stranieri?

Dipende dalla fortuna, dalla situazione. Prima di mettermi a collezionare ho fatto un lungo viaggio dell’america del nord, lì ho avuto la sensazione che questo paese, quasi 50 anni fa, stava vivendo un nuovo rinascimento intellettuale. Questo grande spazio vuoto con libertà, indipendenza ed autonomia, rispetto al passato, aveva le energie che vivevano intrinseche nella società americana, che è poi fatta dalla fusione di tante culture, questo creava un melting pot molto favorevole allo sviluppo delle migliori capacità. Ho avuto questa intuizione quando ho iniziato a collezionare, il mio interesse si è concentrato sull’America che ha avuto artisti di notevole valore. Anche oggi ritengo che vi siano artisti di ottima qualità, purtroppo seguendo una linea intellettuale essenziale e seria, non di esibizionismo, hanno poco successo di mercato, ma quando finirà questa moda esibizionistica credo che le cose cambieranno.

Parlando di ricerca le chiedo perché investire proprio in ricerche sulla luce? Cosa la rapisce in un lavoro di luce?

La luce è una cosa molto importante, tutti gli artisti da sempre hanno cercato di dare l’illusione della luce mettendo in contrasto colori scuri e chiari. Nel mondo primitivo più remoto la luce era una cosa importante. Quando si vanno a vedere questi cerchi di pietre che sono stati fatti in Scozia ed Inghilterra, sulle colline con l’orizzonte libero in tutte le direzioni si vede solo la luce. La luce nelle giornate limpide è una cosa meravigliosa difatti è l’origine della vita. In tutta la vita è necessaria la trasformazione della luce, della sua energia in una sostanza che ci nutre e quindi è fonte della vita. E’ una cosa di una potenza incredibile, per questa ragione mi sono interessato agli artisti della luce.
Il primo che ho acquistato era Dan Flavin nel 1966 poi sono stato a Los Angeles, perchè sapevo che c’erano artisti che utilizzavano la luce per fare arte e così mi sono impegnato in questa ricerca.

Lei è stato uno dei pochi che ha dato fiducia a Dan Flavin quando questi era
sconosciuto e le sue opere incomprese…

Tutti si mettevano a ridere quando vedevano i tubi fluorescenti, dicevano che fare arte con i tubi fluorescenti che sono un prodotto industriale che si compra in un negozio per elettricisti, era una cosa stupida. Invece Dan Flavin è stato un grande artista e l’ho capito subito che lo era. Bisogna saperlo esporre, non si può mettere un Flavin in una stanza con altre cose, ha bisogno di essere solo, in una stanza bianca, allora la luce diventa la sua opera d’arte. Non è importante la composizione delle lampade fluorescenti, quello che è importante è questo spazio che diventa animato, che diventa vita, uno spazio dove si entra e si vive.

A che punto è arrivato James Turrell con il Roden Crater?

È a buon punto, metà dei lavori sono realizzati. Sarebbe visitabile già metà del lavoro, che ritengo la parte più importante, ma vi è ancora l’altra metà dei lavori in corso. Ci vorrà ancora qualche anno prima che siano completati. Non è ancora aperto al pubblico perchè Turrell vuole aprirla quando è tutto completato. Sarà aperto al pubblico in modo limitato, se non erro circa 25 persone al giorno, è uno spazio dove si entra per vivere, meditare, riflettere, per vedere la bellezza del cielo ed i fenomeni celesti, un posto che ha una potenza espressiva magnifica… il luogo dove si trova il Roden Crater è di una bellezza speciale.

In questa opera, come in molte altre, dobbiamo riconoscere l’importanza del suo intervento quale mecenate. Ad oggi il mecenatismo è poco diffuso ed i giovani artisti si trovano spesso nella difficoltà di realizzare le loro ricerche. Cosa consiglierebbe ad un artista che cerca il suo mecenate?

A volte questi rapporti tra artista e collezionista non sono prevedibili, sono fenomeni che succedono ma attraverso certi canali. Se un artista espone in una galleria dove ci sono affinità tra le scelte della galleria e la sua opera è più facile che trovi una persona che si interessa del suo lavoro. Questi incontri però sono imprevedibili ma canalizzati in una direzione se l’artista sa scegliere una galleria che ha simpatia per il suo lavoro e tramite essa essere in contatto con i collezionisti interessati.
Serve quindi anche un bel po’ di fortuna. Nella vita la fortuna è importante ma bisogna saperla riconoscere, a tanta gente capita ma non la sa utilizzare. Bisogna anche applicare il cuore e la mente per applicare al meglio la fortuna.

Come vede l’artista di oggi? E l’arte di oggi?

Ci sono due tipi d’arte: quella ufficiale che il collezionista medio compera e che ha successo di mercato, poi c’è l’arte che non piace e che non ha successo di mercato ma avrà successo dopo 30-40 anni ed andrà a finire nei musei dopo così tanto tempo. Oggi il mercato si è molto allargato aumentando di 10 volte rispetto al mercato di circa 50 anni fa, tanta gente si butta a comperare arte contemporanea senza sapere cosa compra e senza capire che spesso questo mercato è manovrato da dei poteri. Questo mercato, che è divenuto enorme proprio perché sono nati una quantità di collezionisti che una volta non c’erano, attraversa i rischi di una cultura che non ha radici intellettuali e che presto o tardi, non so quando, finirà con l’essere dimenticata, verranno altre mode che supereranno queste.

Può farmi dei nomi di giovani artisti che ritiene validi nella loro ricerca?

Oggi continuo a collezionare Sonia Costantini, un’artista che vive a Mantova, Alfonso Fratteggiani che compero da otto anni, Sean Shanahan vive in Italia ma è di origine irlandese, fa quadri monocromi molto belli. Un’altra artista che ho collezionato si chiama Susan York, fa piccoli cubi di grafite, un nero molto affascinante.

Quindi lei ha ancora oggi contatti con i giovani artisti? Come può un giovane artista presentarsi a lei per mostrarle la sua ricerca?

Attraverso gallerie, oppure attraverso amici che hanno comprato sue opere e me le mostrano, se è buono ed interessa anche a me prendo contatti con l’artista.

Lei quindi sta continuando a collezionare?

Si, anche se oggi meno. Ho più di mille opere in deposito al porto franco di Chiasso in attesa di essere esposte o date in via definitiva ai musei. Non posso, visto che poi sono vecchio, lasciare troppo lavoro incompiuto ai miei figli che si occupano della collezione. Quando mi relaziono con gli artisti questi mi dicono che il loro fare arte è una “necessità”.

Lei, in questi anni di convivenza con il mondo artistico, ha scoperto cosa è questa “necessità”?

La capisco perfettamente, difatti io non chiedo mai ad un artista “cosa vuoi dire?” “perché hai fatto quelle cose?”. Se sono abbastanza intelligente tutto quello che vuol dire l’artista lo capisco guardando i quadri che fa. E’ assolutamente inutile che l’artista mi spieghi quello che vuole fare, cosa pensa ecc. Spesso gli artisti non sanno esprimersi ed usano come mezzo d’espressione l’arte e non la parola. Mi piace conversare con l’artista ma parliamo di altre cose e non di quello che sta facendo.

…gli stessi artisti spesso rimandano ai critici per un commento dell’opera…e purtroppo spesso i critici non capiscono l’opera…e quando la commentano è solo per parlarne positivamente in recensioni ottime.

Quello che è cambiato in questi anni, dal passato, è che una volta c’erano opinioni diverse, c’erano polemiche e la gente discuteva acerbamente sui giornali. Questa è una cosa molto utile perché si capivano le opinioni diverse. Oggi invece sono tutti d’accordo, tutto va bene, tutto è bello, tutto è da capire, tutto funziona, non si discute niente, nessuno dice di no, sembra di essere entrati in paradiso. Che è più inferno che paradiso.

“Ricordi di un collezionista” da cosa è nata l’esigenza di scrivere il libro?

Diverse persone mi hanno chiesto perché non scrivevo di quello che ho fatto e della mia vita interessante. Un’esperienza molto lunga, di parecchi decenni. Mi hanno detto che sarebbe potuto essere utile agli altri, con questa considerazione mi sono messo a scrivere.

[Daniela Lussana]

L’intervista è stata realizzata per conto della rivista Spruzz_scene del contemporaneo di cui Daniela Lussana è curatrice.