Anna R. Emili_L’etica del New Brutalism
Parallel of life and art, 1953
Tra rinnovamento e ritorno al passato
Nel secondo dopoguerra, l’Inghilterra, pur avendo contribuito in maniera determinante alla vittoria sul nazismo, è un paese al collasso. Sul fronte interno, il razionamento del cibo e le città pesantemente bombardate pongono problemi gravi di ordine sociale. All’esterno, si assiste al progressivo disfacimento del suo impero: nel 1947, l’India ottiene l’indipendenza e l’anno successivo il paese perde il mandato sulla Palestina. E così mentre gli Stati Uniti e l’URSS diventano sempre più delle superpotenze mondiali, l’Inghilterra è costretta a ridimensionare il suo ruolo internazionale e a dover ricostruire faticosamente una propria identità.
Tra le tante iniziative politiche, economiche e sociali che emergono in quel periodo, qui ci interessa sottolineare, per il loro profilo urbanistico e architettonico, due importanti leggi parlamentari : l’Education Act del 1944, che estende a quindici anni l’obbligo scolastico, e il New Town Act del 1946 che promuove un programma edilizio che prevede la costruzione di ben duemilacinquecento scuole nell’arco di un decennio, nonchè la nascita di dieci New Towns basate sul modello della città giardino e con una popolazione prevista che avrebbe dovuto oscillare tra i ventimila e i sessantanovemila abitanti. Queste due iniziative sono importanti perchè, da un lato, aprono al progetto di architettura un interesse verso i temi della scuola e della città, e, dall’altro, pongono in evidenza un modo di progettare in perfetto stile neo-georgiano, i cui riferimenti risalgono all’architettura ufficiale dello stato assistenziale svedese gia da tempo operante in Inghilterra.
Il Nuovo Empirismo scandinavo rappresenta per l’establishment culturale inglese un modo per rispondere alla cultura del Contemporary style e per ritrovare una identità perduta attraverso espedienti nostalgici in grado di recuperare una tradizione culturale annientata dall’evento bellico . In termini architettonici, infatti, questo stile, considerato dai suoi fautori il più idoneo alla rappresentazione della politica britannica, incoraggia la progettazione di tetti a falda, di muri in mattoni, di grandi finestre squadrate con il telaio in legno. Non a caso torna di moda anche il concetto di pittoresco, la cui regola fondamentale vede nel rispetto del genius loci la massima espressione.
Il cosiddetto people detail diviene ben presto il vocabolario comune degli architetti della sinistra della London Country Council, difeso da critici come Nikolaus Pevsner che, insieme ad altri intellettuali, cercano di affidare a questa cultura, di fatto conservatrice, un ruolo progressista e moderno.
Per altri critici dell’architettura, però, come Kennet Frampton un simile atteggiamento nasconde non solo un compromesso ma una vera e propria sottomissione a tutto quello che la vita sociale e intellettuale britannica rappresenta in termini di mediocrità e di provincialismo. Ma gli strali della critica non provengono solo da alcuni settori dell’ architettura. Anche il mondo dell’arte, del teatro, della letteratura e del cinema reagiscono a questo tentativo di riportare indietro le lancette della storia.
In questo contesto fortemente segnato dal conflitto tra rinnovamento e ritorno al passato, si forma il pensiero rivoluzionario del Neo Brutalismo fondato da Alison e Peter Smithson nel 1954.
Il termine Neo anteposto a Brutalismo non ha alcun riferimento a un movimento precedente: è solo un modo provocatorio per denunciare i linguaggi ancora improntati sul sentimentalismo del secolo precedente, dal Neo Empirismo al Neo Umanesimo, dal Neo Liberty al Neo Realismo. Il nuovo movimento auspica, innanzitutto e in maniera perentoria, il totale e assoluto rifiuto del Neo Empirismo scandinavo e provoca una violenta polemica sullo stile : l’attacco è rivolto contro Nikolaus Pevsner , non solo per aver difeso la cultura tradizionale inglese e aver auspicato un suo contributo preponderante all’architettura moderna, ma soprattutto per aver cercato di dimostrare l’impossibile, e cioè che anche nell’architettura di Le Corbusier si trovano le ragioni per utilizzare il metodo pittoresco che proprio per la sua irregolarità rappresenterebbe, sempre secondo Pevsner, “la vera e nuova essenza della cultura britannica” .
Il manifesto del Neo Brutalismo: La Scuola Secondaria di Hunstanton nell’Hertfordshire
Alison e Peter Smithson, Scuola Secondaria di Hunstanton, 1949-54
La volontà di imitare un edificio come l’IIT di Mies Van der Rohe assume, per gli Smithson, un duplice significato: da un lato, ironico nei confronti della cultura tradizionale inglese rivolta, come è, all’utilizzo passivo dei linguaggi esistenti; dall’altro, rappresentativo poichè concepisce l’Istituto miesiano come un vero e proprio contenitore di elementi significanti e strumentali al Brutalismo. Nella scuola di Hunstanton (1949-54) questi aspetti raggiungono condizioni estreme.
Linguisticamente è, dunque, possibile affermare che tra i due edifici esistono molte similitudini: questo avviene in termini di spazialità e di utilizzo dei materiali e degli impianti. Tuttavia, come è nella logica del Brutalismo, esistono anche delle profonde differenze, apparentemente invisibili, ma ben evidenti se si osserva l’edificio di Hunstanton nei vari dettagli. Proviamo ad elencarle. Innanzitutto, mentre l’Istituto IIT obbedisce ad una richiesta di stretta economia che induce l’architetto a servirsi, per forza di cose, di muri portanti in mattoni, struttura in cemento armato o scheletro in metallo, tamponamenti in mattoni o vetro; Hunstanton si presenta invece come un vero e proprio manifesto con forte carattere ideologico e intellettuale. Gli Smithson utilizzano con estrema libertà i vari elementi architettonici e in modo ancora più grezzo ed elementare del complesso miesiano.
Alison e Peter Smithson, Scuola Secondaria di Hunstanton, 1949-54
Il solaio di copertura e il pavimento, caratterizzati da lastre prefabbricate, il cemento ruvido mantenuto a vista, i muri composti dagli stessi mattoni, sia all’interno che all’esterno dei vari ambienti, lasciano trasparire una costruzione immaginata come un non-finito, un’opera estremamente elegante e priva di ornamenti e decorazioni. Gli impianti si manifestano con la stessa chiarezza e semplicità della struttura e dei materiali: “per materie grezze si intende l’esibizione schietta e quasi arrogante , non solo di cemento, vetro, acciaio e mattoni, ma anche di fili elettrici e tubature degli impianti , in modo che l’edificio dichiari esattamente come e cosa è, senza diaframmi formali “ . Non esiste, come nel complesso di Mies, una ricerca specifica sul dettaglio: gli Smithson assemblano i loro elementi standardizzati con voluta modestia e semplicità. Come scrive Peter Rayner Banham “questo edificio è una rappresentazione architettonica delle regole tradizionali della psicologia britannica” . Non è d’accordo Nikolaus Pevsner: nei suoi innumerevoli interventi, non comprendendo appieno il carattere dell’edificio, considera manierista l’atteggiamento degli Smithson e allude spesso all’estremismo geometrico di Hunstanton finalmente represso dall’architettura gotica e dal rinascimento britannico. Più in generale, infatti, quello che la critica locale rimprovera a questa scuola sta nel rappresentare l’importazione di uno stile puramente straniero. Altri, come ad esempio Philip Johnson, apprezzano invece il fatto che, attraverso Hunstanton, il mondo architettonico ha individuato un nuovo stile e un nuovo modo di fare architettura, e in un articolo su “Architectural Review” lo stesso Johnson afferma che “gli Smithson partono da una architettura formalista e composta per tornare verso una anti-architettura” alla maniera di Adolf Loos che si chiama Neo-Brutalismo” .
Alberto Burri, Grande legno, 1959
L’etica As Found
Oltre ai riferimenti teorici basati sui principi di Wittkower e di Colin Rowe, un ulteriore aspetto sembra definire il pensiero brutalista, ed è la continua ricerca di un’etica. “Noi consideriamo l’architettura come il risultato immediato di un modo di vivere”, scrivono gli stessi esponenti del Brutalismo e lo esprimono attraverso il termine fondamentale dell’ As Found Al di là di un problema estetico, questo atteggiamento diventerà l’unico vero filo conduttore del pensiero brutalista e accompagnerà le molteplici scelte linguistiche utilizzate soprattutto dagli Smithson nel corso della loro ricerca progettuale.
As Found significa molte cose: è innanzitutto un procedimento che accomuna diverse discipline, come l’architettura, l’arte, il cinema, la fotografia, il teatro, con lo scopo di individuare un filone di ricerca che stabilisca, rispetto alla tradizione, nuove forme e nuovi linguaggi. Il termine, probabilmente ideato da Alison e Peter Smithson, linguisticamente è un aggettivo che vuol dire portare a condizioni estreme le cose, con l’intento di invertire il disinteressato piacere degli intellettuali inglesi nei confronti del rinnovamento introdotto dall’America, di fronte al quale l’Inghilterra risponde con la volontà di mantenere una tradizione per molti aspetti vulnerabile. As Found è, come affermano più volte gli Smithson, una ricognizione percettiva della realtà. E’ soprattutto un comportamento politico, ma è anche un attitudine antiutopica, un modo diverso di intendere la realtà e l’ordinario, non secondo concezioni idealistiche e astratte, ma secondo appunto il metodo As Found .. Nasce durante l’esibizione di Parallel of Life and Art, organizzata nel 1953 dagli Smithson, Eduardo Paolozzi e Nigel Henderson all’Istituto di Arte Contemporanea a Londra (ICA).
La mostra consiste in una larga esposizione di fotografie e immagini varie disposte senza una logica precisa. Alcune ritraggono siti archeologici, altre feticci e maschere etniche, altre ancora parti anatomiche del corpo umano o immagini impresse ai raggi X o ancora ingrandite al microscopio, tutte rigorosamente deformate e sgranate. Ancor prima di Parallel of Life and Art, Nigel Henderson (dal 1947 fino al 52) realizza una serie di foto scattate all’interno del quartiere Bethnal Green con sua moglie Judith, antropologa, che svolge una ricerca partendo dalle teorie del sociologo Richard Peterson che ha svolto un lavoro sul campo nelle aree emarginate di Londra. Vengono poste in evidenza immagini di impalcature caratterizzate da teloni strappati e lacerati, dettagli di materiali vari e lasciati grezzi, rudimentali e spontanee textures, porzioni di edifici contaminati da murales, chiazze di petrolio nelle strade. Le opere trovano un nuovo linguaggio nel popolo della strada, nella realtà sociale, nel linguaggio della materialità e della spontaneità per certi versi esprimono emozioni che affondano in un mondo repulsivo e magico al tempo stesso. Ciò che interessa Henderson sono i segni di vita lasciati e impressi nelle strade dagli individui metropolitani dell’est londinese, concepiti come un qualcosa di espressionistico, di informale.
“Lavorare sui segni colti all’interno del paesaggio metropolitano” afferma lo stesso Henderson ”è come confrontarsi con alcuni aspetti del lavoro di Tapies, Burri e Jean Dubuffet” con una cultura che fa dell’ordinario un elemento straordinario.” Lo stesso Eduardo Paolozzi inizia gia dal 1944 a recuperare oggetti ordinari trasformandoli in opere d’arte. Nello stesso tempo, il Free cinema, propone film e documentari che criticano la società esistente e colgono gli aspetti più ordinari e più comuni all’interno della società offrendoli come opportunità per una nuova cultura. Nel Kitchen Sink, così come nella letteratura degli Angry young men, si mette in primo piano la realtà di tutti i giorni osservata e raccontata all’interno di luoghi particolari come ad esempio lo spazio domestico.
Arte brut come beton brut
Ma l’estetismo socio-antropologico, espresso nella mostra Parallel of Life and Art trova, come diretto e più importante riferimento, il culto anti-artistico di Dubuffet. L’artista si pone contro lo sviluppo industriale per sondare terreni in cui l’emarginazione diventa l’elemento fondamentale per narrare, con semplicità e lealtà, un lavoro di introspezione e di rivolta interiore che molto spesso precipita nella follia. L’espressione Art brut, coniata da Dubuffet, rimanda ad un arte primitiva nel senso del recupero di un’etica andata perduta. La risposta è una sensuale ed esotica realtà in cui la semplicità e la naturalezza vengono espresse attraverso l’utilizzo di una pittura libera contrassegnata da colori estremi. Beton brut come Art brut: Dubuffet (art brut) cerca la materia oltre il linguaggio: “il linguaggio è anch’esso materia” afferma l’artista “e come tale, duttile, impressionabile, suscettibile a corrompersi”. È un impasto di immagine e materia con tutti i suoi equivoci, i doppi sensi le distorsioni. La pittura non rappresenta, non comunica, è esistenza allo stato puro. Anche per Antoni Tapies il sostenitore di Art autre la materia è muro, è cemento come impronta dell’esistenza, come sinonimo di libertà. Per Alberto Burri della Corrente Informale la realtà diventa identificazione estensiva di materia. Riportare questi aspetti all’interno della disciplina architettonica cosa vuol dire se non affidare all’edificio ordinario nuovi valori e nuovi significati rispetto alla tradizione?
Jean Dubuffet, La mer de peau, 1959
Nell’utilizzo del cemento armato o di altri materiali lasciati allo stato grezzo, utilizzati dagli esponenti del Brutalismo, si ritrova questa poetica. Scopriremo termini come sincerità, verità, emotività, espresse attraverso il materiale e la tecnologia nel progetto di Hunstanston, così come nell’Università di Sheffield. Il Brutalismo coglie quei criteri secondo cui, come scrive Dubuffet, “l’arte è illuminazione veggenza e la si trova soprattutto dove nessuno la cerca e l’aspetta” . Le foto realizzate da Henderson lasciano emergere accadimenti quotidiani, spesso invisibili agli occhi di molti. La ricerca sul principio del dettaglio degli Smithson ha lo scopo di rivelare un elemento fondamentale della costruzione, tradizionalmente celato agli occhi dell’osservatore. Ma il Brutalismo coglie anche le scelte linguistiche e rappresentative di Dubuffet, le forme-non forme che ritraggono folli ed emarginati della società ritratte dall’artista che ben si confrontano con le foto deformate e sgranate presentate in Parallel of Life and Art e poi in This is Tomorrow, commentate da Henderson, da Palozzi e Smithson, in cui vengono evidenziate ”scene di violenza e vedute distorte o antiestetiche della figura umana e tutte presentano una forte sgranatura che è chiaramente considerata dai collaboratori come una delle loro principali qualità”. Per Kenneth Frampton c’è decisamente qualcosa di esistenzialista in una mostra che insiste nel vedere il mondo come un paesaggio di decadenza di guerra e di malattia.
Quasi come se sotto quei strati di cenere fosse possibile ancora trovare tracce di vita. Lo stesso Henderson a tale proposito afferma “mi sento felice in mezzo alle cose oltraggiate, gettate casualmente dalla vita con ancora intorno l’effervescenza della vita”. Con la dichiarazione ”sono felice di essere un uomo comune” , Dubuffet cerca di riabilitare i valori accantonati, umiliati dall’accademia e dalla cultura tradizionale. Qualsiasi essere umano non intossicato dalla cultura accademica è potenzialmente un creatore di arte o, almeno, nel senso di una espressione originale e anticulturale. Art brut è l’esaltazione di un arte anonima, composta da artisti segregati e folli.
Nella malattia mentale si ritrova il pensiero selvaggio. E’ così che Dubuffet come i brutalisti offrono nuovi mezzi di indagine per una realtà più totale. La ricerca della provocazione, dell’ironia o meglio del contraddittorio drammatico è vista come fonte per una nuova libertà e un nuovo principio di vita.
Dubuffet vive momenti di forte contraddizione alla fine degli anni Cinquanta e abbandona la sfera naturalistica e antropologica per entrare in quella tecnologica, un mondo non più fatto di materia e di istinti, ma di oggetti. I brutalisti, in maniera diversa, lo seguiranno. Come altre correnti europee anche il Brutalismo verrà inglobato all’interno degli obiettivi culturali di una società di massa e i suoi impulsi e i suoi metodi le si adatteranno.
Anna Rita Emili, architetto, è ricercatrice all’Università di Camerino, Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno. Fonda nel 1998 altro_studio, affianca alla ricerca sul tema della residenza, la pubblicazione di saggi su alcuni architetti o movimenti affini alla sua ricerca progettuale. L’estratto che pubblichiamo è all’interno del libro, edito da Kappa, “L’architettura del Neo Brutalismo. Puro e semplice”.