Costa+Sanguinetti_L’architettura dello spettacolo

Chiude il 2 giugno la mostra di Jean Nouvel alla Triennale di Milano.
Ex “enfant terrible” dell’architettura transalpina e oggi progettista tra i più noti dello star system, Nouvel presenta opere più o meno recenti in questa rassegna proveniente dal Centre Pompidou di Parigi.
Esposizione faticosa, secondo una recente tendenza di questi eventi; i progetti sono illustrati con pochissimi disegni tradizionali, nessun plastico, diapositive, proiezioni, filmati in un labirinto buio. Il primo ambiente (che espone tutta la produzione) e la sorpresa abbagliante dell’ultima sala (dove conviene soffermarsi a consultare più comodamente i progetti sui computer a disposizione) valgono da soli per tutto l’allestimento.
Architetture determinate da una forte ricerca sulla materia, necessaria perché Nouvel sostiene che sullo stesso spazio si possono costruire cose belle o pessime, e allora l’unica distinzione possibile è nella costruzione stessa… luce, trasparenze, riflessioni, profondità ingannevoli… questa è la materia che ci viene presentata.
Senza farsi ammaliare troppo, cercando pazientemente tra le opere, soprattutto tra quelle probabilmente considerate minori, si scopre come Nouvel lavora nelle aree che la post-modernità ci sta consegnando: ex-industrie, quartieri periferici per la forza lavoro, capannoni, cementi e metalli che formano paesaggi corrosi… tutto questo viene rielaborato nei suoi progetti.
Recuperi di spazi portuali dove tutto il preesistente ha lo stesso valore e informa i nuovi edifici; residenze economiche che si riscattano con ambienti inconsueti, dove i segni della costruzione sono rimarcati dai colori degli artisti; facciate come superfici informali; interni dove le tracce del passaggio del tempo non sono “degrado” da cancellare, ma vengono integrate nel nuovo; tutti questi interventi ci fanno capire come si possa lavorare a cavallo tra memoria e futuro per introdurre vita in luoghi desolati, germinazione di attività, come un virus nel corpo solo apparentemente morto di tanta parte delle nostre città. Non la tabula rasa proposta dai programmi di riqualificazione degli amministratori igienisti, ma la conservazione/moltiplicazione dei segni che abbiamo a disposizione, per sollecitare e favorire la vita dell’architettura.
Così si arriva “…par dérivations successives à une re-création régénération que personne n’aurait imaginé possible. Ce processus de fabrication des villes… permet d’avoir ce “trop”, ce superflu qui est indispensable et improgrammable, il provoque du trop, trop grand, trop haut, trop sombre, trop laid, trop raide, de l’imprévu, du radical.”1
E se si comprende l’imprevisto nel progetto, gli usi successivi non saranno sottomessi dalla rigidezza dell’architettura.
Nouvel, però, va ancora oltre e, non accontentandosi di raccogliere materie e immagini preesistenti nei luoghi, arriva a una sorta di mimetismo, giocando con edifici camaleonte che vorrebbero sparire nel contesto, confondendosi nella vegetazione; allora l’imprevisto diventa il crescere degli alberi a formare le facciate degli edifici, spingendo il dualismo artificio/natura fino a costruire finte colline cavernose abitate da impiegati e turisti.
Da una parte, colpi di genio per trasformare la città contemporanea, dall’altra, giochi di immagini, illusioni ottiche…
Invenzioni vere o semplice fatuità? Entrambe. E anche questo è “trop”.

[Andrea Costa, Debora Sanguineti]
studenti presso la Facoltà di Architettura di Genova

ass412@hotmail.com

(1) Jean Baudrillard, Jean Nouvel, “Les objets singuliers. Architecture et philosophie”, éditions Calmann-Lévy, Paris, 2000.

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