Eleonora Giovene_Abbatimento vs. recupero
Le Vele di Scampia sono divenute nel corso degli anni sinonimo di degrado e di emarginazione, simbolo insieme al Corviale di Roma, allo Zen di Palermo e ad altri “mostri” metropolitani, del modo superato di concepire la città, e di cui si è richiesto da più parti negli ultimi anni la demolizione (Lucien Kroll, Massimiliano Fuksas, ecc). Contemporaneamente contrastanti sono stati i giudizi dati su questi edifici e molte voci si sono alzate a loro difesa, poiché rappresentano interventi ricchi di implicazioni sperimentali che si sono posti come modello alternativo per la crescita della città.
Parlare di queste realtà non è assolutamente facile, poiché come dice l’architetto Giorgio Muratore a proposito del Corviale “non è facile sottrarsi ai tanti luoghi comuni di una sottocultura dell’informazione e del linguaggio politico correnti che ne hanno fatto, insieme ad altre grandi iniziative di edilizia economica e popolare, realizzate nei decenni appena trascorsi, l’occasione privilegiata per scontate e globalizzanti scorciatoie comunicative” (Muratore, 2002, p. 25). Si tratta di realtà particolarmente complesse e con molti problemi, che non possono essere affrontati con la soluzione semplicistica della demolizione con una carica di dinamite: “abbattere non è un gesto di potenza, ma di impotenza… è una resa!” (Piano, 2005).
Le Vele, come il Corviale, restano, comunque, un manifesto/documento della cultura architettonica italiana, un modello sicuramente non ripetibile, ma nato su delle basi ideologiche e culturali che nulla hanno a che vedere con il “mare” di edilizia di cui sono tormentate le periferie delle città italiane, che necessitano di un serio ma anche innovativo programma di riqualificazione.
Ma, contemporaneamente, ci si può chiedere: ha senso conservare comunque un “errore”? La risposta allora può essere oggettiva (abbattiamolo!) oppure soggettiva (dando ascolto alle “voci di dentro”).
Infatti, negli ultimi anni proprio “dal basso”, dalla popolazione e dalle associazioni, è nata la reazione più importante; è questo il caso del riscatto del Corviale. Il Contratto di Quartiere rappresenta l’istituzionalizzazione della volontà di riqualificazione espressa degli abitanti, che, a fronte di chi ne auspicava la demolizione, hanno maturato, grazie al contributo del Laboratorio Territoriale e del progetto Immaginare Corviale, una sorta di riappropriazione. “In realtà Corviale è prima di tutto uno spazio di vita e un contenitore di esistenze”, in cui ciascuna delle seimila persone che ci vivono ha diritto a vivere nel migliore modo possibile, senza patemi, senza traumi, senza inutili fatiche o assurde vessazioni (Nieri, 2004, p. 5). Si è raggiunta cioè una “autocoscienza sociale, che si è sostanziata nel legame affettivo degli abitanti con il (non) luogo che abitano” (Senaldi, 2006, p. 27).
Come detto in premessa, questi ambiti periferici se, da un lato, sono luoghi ad “una dimensione”, dall’altro, hanno un’anima, mille anime, che li attraversano, quelle delle persone che ci vivono, che, anche se sopite, possono essere risvegliate e diventare il vero motore della rinascita. Al loro interno si trovano risorse ambientali, economiche e umane, nonché potenzialità culturali e creative, anche inconsapevoli.
Questo significa iniziare un processo di appropriazione e conquista della propria identità, aiutando gli abitanti, prima di tutto, a credere nella reale possibilità di attuare un processo di riscatto.
Esiste, quindi, la possibilità di individuare una serie di problemi e di possibili percorsi di riqualificazione che, nell’affrontare tali ipotesi, considerino tutte le variabili e le possibili alternative, dimostrandosi una soluzione ecologicamente più significativa rispetto all’abbattimento e costruzione ex novo, ovvero ulteriore consumo di suolo e di energia. “Come la medicina si orienta sempre più verso interventi conservativi e cure dolci, l’architettura deve orientarsi al recupero, per ripristinare i legami vitali con il contesto e stimolare le difese immunitarie dell’ambiente, le sole in grado di produrre un paesaggio abitabile” (Cavallari, 2001, p. 19). Ripartire, quindi, dall’esistente, anche deteriore, per assicurare la continuità col passato, attraverso una critica radicale che non sia accademica, ma vissuta.
Non è questa la strada intrapresa per le Vele di Scampia. Diversa è la loro storia, ma comunque è ancora possibile sognare di progettare un futuro differente considerando l’ipotesi della loro riqualificazione, sia funzionale che fisica. In questo caso non si tratta di ripartire solo dalla popolazione ma, prima di tutto, dalla classe politica e dirigenziale la quale ha deciso (e attuato quasi completamente) il loro abbattimento. Più volte a Napoli la classe politica si è riferita alla questione delle Vele in modo superficiale, ignorando una serie di informazioni storiche, ignorando anche il dibattito critico, che negli ultimi anni si è svolto intorno a queste architetture, continuando a far finta di credere che all’abbattimento delle Vele corrisponda una miracolosa redenzione di questo ambito periferico. Come sarebbe più lungimirante e innovativo un atteggiamento che consapevole di ciò che accade in Europa, prendesse in considerazione l’alternativa della riqualificazione, scommettendo su un processo che vede non nella dinamite ma nella cultura della riqualificazione la strada per lo sviluppo della città.
Non si tratta di gestire un’emergenza, ma di realizzare concretamente una riqualificazione integrata, considerando significative le Vele per la salvaguardia stessa della memoria storica del quartiere, in cui gli elementi fondamentali possono essere identificati con: l’integrazione della complessità delle relazioni interne (vecchie e nuove) con il circostante tessuto urbano e sociale; una rimodellazione di qualità (rispettosa del progetto originale); la definizione di servizi ed infrastrutture; la partecipazione della popolazione, in modo che sia parte attiva del processo, aiutandola a divenire comunità.
Ripensare questi frammenti di città come luoghi che, con la loro storia, le loro risorse, possono essere investiti dal cambiamento, trasformandoli da problema in parti vive da cui ripartire, creando le condizioni per permettere a queste zone urbane svantaggiate di essere accoglienti rispetto a nuovi fenomeni economici e sociali, diventando i luoghi strategici per lo sviluppo complessivo della città, lavorando sulla qualità dei luoghi e sulla qualità delle relazioni, attivando flussi e scambi verso l’esterno. L’intento principale dovrebbe essere quello di considerare gli ambienti periferici, la loro riqualificazione ed il rapporto con il resto della città, nell’ottica di un processo culturale, sociale e tecnologico innovativo che investe il territorio nel suo complesso in modo olistico, realizzando trasformazioni concertate e condivise.
Questo ultimo punto è fondamentale in quanto le azioni di trasformazione dello status quo di un luogo devono superare resistenze, difficoltà, conflitti tra i diversi attori che vivono il territorio; il momento delle scelte del progetto necessita dell’approccio valutativo, in quanto capace di minimizzare i conflitti cercando di trovare soluzioni condivise (Fusco Girard e Nijkamp, 1997). Ma, contemporaneamente, ridare importanza e centralità al progetto architettonico, in quanto capace di tradurre in realtà le istanze ambientali, economiche e sociali alla base dell’intervento di riqualificazione.
[Eleonora Giovene di Girasole]
Riferimenti Bibliografici
Cavallari L. (2001) (a cura di), “Metodi e Strumenti”, in Lucien Kroll. Ecologie urbane, Angeli, Milano (opera originale, Kroll L. (1996), Bio, psyco, socio/eco. Ecologies urbaines, l’Harmattan, Parigi).
Fusco Girard L., Nijkamp P. (1997), Le valutazioni per lo sviluppo sostenibile della città e del territorio, Angeli, Milano.
Muratore G. (2002), “Salviamo Corviale?”, Area, n. 61.
Nieri L. (2004), “Presentazione”, in Martini M., Parasacchi A. (a cura di ), Intervista a Corviale. L’esperienza di un laboratorio per lo sviluppo locale e la partecipazione, Comune di Roma, Roma.
Senaldi M. (2006), “Il Corviale immaginario”, in Gennari Santori F., Pietromarchi B. (a cura di), Osservatorio Nomade. Immaginare Corviale, Mondadori, Milano.
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