Alessandro Busà_La variabile tempo nella forma della città: le vicende del Palast Der Republik a Berlino
“East German History was embodied by the Palace of the Republic, itself a complex historical document”
Brian Ladd, The ghosts of Berlin (1997)
Lo scenario urbano è testimone vigile dei cicli della Storia, poiché nella sua fissità le vicissitudini della scena umana vengono registrate attraverso il tempo: la città è palinsesto dove convivono le stratificazioni di epoche diverse, e le sue architetture sono monumenti e testimoni del passaggiodel tempo, di storie brevi e millenarie, come ricorda Aldo Rossi nel suo L’architettura della città: “l’architettura, documentando i gusti e i costumi di generazioni, eventi pubblici e tragedie private, fatti vecchi e nuovi, è il palcoscenico fisso e immutabile degli eventi umani (…). E’ sufficiente osservare i diversi strati della città che ci vengono mostrati dagli archeologi; essi ci appaiono come un eterno, primordiale tessuto vitale, un immutabile modello.
Chiunque ricordi le città europee dopo i bombardamenti dell’ultima guerra conserva un’immagine di edifici sventrati ove, in mezzo alle rovine, frammenti di luoghi familiari rimanevano in piedi, con i colori delle carte da parati sbiadite, i panni stesi per aria, i cani che abbaiavano, insomma una trasandata intimità di quei luoghi. E sempre vi potevamo riconoscere le case della nostra infanzia, stranamente invecchiate, presenti nel flusso storico della città.” Immagini di simile plasticità e straordinaria profondità temporale sono leggibili nei tessuti urbani di grandi città storiche come Roma o Berlino. Fellini e Pasolini hanno mitizzato il fascino di Roma anche nelle impressionanti rovine del vecchio acquedotto romano circondati dai palazzi popolari della ricostruzione degli anni ‘50.
Se la millenaria profondità storica di Roma, per la sua remota distanza temporale si mostra al romano naturalmente ricomposta in un unicum armonioso, a Berlino un’ancora recente e tormentata storia di orrori, bombardamenti, tabulae rasae e traumatiche ricostruzioni ha ridisegnato una mappa urbana dannata, segnata da ferite e cicatrici.
Luoghi come la Spandauer Vorstadt in Berlin Mitte hanno il potere di rivelare fatti e misfatti della recente storia tedesca attraverso la lettura del loro tessuto urbano; l’insediamento nei primi del 1700 di una comunità ebraica in quell’area di piccole case dimesse e stretti vicoli dietro ad Alexanderplatz; la decadenza sociale verso la fine dell’Ottocento, quando l’area si popolò di quella varia umanità fatta di artisti, criminali e prostitute descritti da Döblin in Berlin Alexanderplatz; gli sventramenti nel vecchio ghetto ai primi del Novecento e le visioni dei Moderni della Repubblica di Weimar; la dissoluzione della comunità e lo sterminio fisico con i pogrom e le deportazioni naziste negli anni Trenta e Quaranta; l’abbandono e il degrado di questa area ai margini delle colossali pianificazioni del nuovo centro nella Berlin Hauptstadt der DDR; l’occupazione delle case nei primi anni selvaggi dopo la caduta del Muro ed i sogni di una generazione; la ricostruzione e la trasformazione nell’indiscusso right address della Neue Mitte della gentrificazione e del terziario. “Questo luogo è altrettanto saturo di macchie come la stessa storia tedesca, e rivela come nessun altro luogo a Berlino le ferite e le cicatrici di una più che centenaria Stadterneuerung” (Bodenschatz, 1995).
Per questo, secondo Benjamin “ogni strada è un’esperienza vertiginosa. La strada conduce il flaneur verso un tempo svanito”, e l’intera città costituisce per lui “una narrazione epica”. Fa uso della parola epica, e non lirica, in quanto le strade non rievocano in lui reminiscenze personali nel dominio della memoria intima, ma memorie e saghe di luoghi, uomini e fatti a lui sconosciuti.
Luoghi berlinesi come il Marx Engels Forum e la stessa Schloss Platz, con le rovine del Palast der Republik oggi in demolizione per controversa decisione del Bundestag, sono palcoscenici della Storia di un burrascoso Novecento. Questi luoghi potrebbero essere definiti con le parole di Benjamin luoghi della vertigine, per la loro capacità di proiezione verticale attraverso stratificazioni successive di tempi lontanissimi. Ad esempio nel Marx Engels Forum, ove la medievale Marienkirche proietta le sue guglie neogotiche (del 1790) sullo sfondo dei Rathauspassagen di era socialista; o poco più ad ovest sulla Spreeinsel, dove le volute ioniche dell’Altes Museum schinkeliano si misurano con il monstrum prodigioso d’acciaio e vetro ambrato del Palast der Republik: ma questo straordinario edificio, un tempo la Volkshaus per eccellenza della Berlino socialista, è destinato a concludere qui la sua storia breve quanto complessa.
Dopo due anni di invenzioni che lo hanno trasformato nell’attrattore artistico più straordinario d’Europa, esso ha richiuso gli occhi nel gennaio 2006 nonostante l’impegno delle forti iniziative civiche sorte per preservarlo. Svuotato dagli artisti e intellettuali che per la prima volta gli avevano assegnato un nuovo ruolo, al di là del suo significato politico di un tempo e al di là del bene e del male, è tornato nuovamente ad infestare la città come un peso della storia, una presenza spettrale, una rovina di acciaio in demolizione. Ma proprio come una “haunted city”, Berlino è secondo Brian Ladd una città destinata a non liberarsi facilmente del peso della storia e delle memorie passate: “Cos’ha di speciale Berlino? Certamente non la sua bellezza o lo stato di preservazione delle sue architetture. Berlino affascina piuttosto come città di gesti audaci e sorprendenti incongruenze, di fermento e di distruzione. E’ una città i cui edifici, rovine e vuoti urbani gemono oppressi dal fardello di memorie dolorose.”
La demolizione del Palast der Republik è dunque espressione di una strategia di rimozione delle tracce storiche indesiderate che David Midgley descrive parlando di “topografia della memoria”, strategia le cui metafore e i cui paradigmi hanno modellato finora il dibattito teoretico e politico sulla città, come anche l’immaginario collettivo della città stessa. In tale dibattito è ravvisabile un’azione selettiva che ha indiscutibilmente assegnato diverso status e significato alle diverse categorie storiche stratificatesi nel palinsesto urbano, onorandone alcune (quel cosiddetto preussischer Stil, che si ispira a una tradizione del sobrio palazzo berlinese per uffici che va da Schinkel a Behrens, le immagini purificate di ruggenti anni ‘20 senza Nazismo e senza Comunismo), e rimuovendone altre (la tradizione delle Mietskasernen, la ricostruzione sotto il regime comunista).
Questo processo di selezione documenta un’incapacità di lettura della città nella sua profondità temporale: quantunque la permanenza del passato nelle forme della città presente si possa manifestare anche attraverso sovrapposizioni ardite, contorni irregolari e caos stridenti, come nel caso di Berlino, la sensibilità e profondità storica dovrebbero permettere di ricomporre questi contrasti in un unicum armonioso. Berlin Mitte nella sua configurazione attuale è caratterizzata da un tessuto urbano fatto di contrasti, di un overlapping inaspetttato di edifici di epoche, stili e pregi diversi, che costituiscono un vero e proprio archivio delle memorie storiche a cielo aperto. Il Palast der Republik fa parte di questo “Palinsesto”, riconfermando il fascino irrazionale e quasi surreale di questa Landschaft urbana. Ma la sua rimozione, aspramente contestata dai berlinesi, è destinata ad essere ricordata come episodio fortmente significativo: secondo Ladd “edifici e monumenti spesso sopravvivono agli esseri umani che li hanno creati. Il modo in cui queste strutture vengono percepite, trattate e ricordate getta luce su una identità collettiva (…).”
Se Roma è città eterna, perché ha ricomposto la vertigine temporale emulsionando in un unicum spaziale le stratificazioni delle diverse epoche (romana, rinascimentale, barocca, ottocentesca, fascista), dimostrando la generosità culturale di unificarle e metabolizzarle in un’inarrivabile armonia, Berlino continua a leggere nella sua mappa laceranti ferite e complessi di colpa . La politica di sviluppo urbanistico dalla caduta del muro ad oggi è la metodica applicazione di una volontà di regolarizzazione del caos, di rimozione di segni storici dolorosi o inaccettati; documenta un tentativo di livellamento di quella “vertiginosa profondità temporale” che a Berlino, più che altrove, è fonte di fascino e di spavento.
Alessandro Busà è architetto laureato alla TU Berlin e co-fondatore del Bündnis für den Palast, comitato per la preservazione del Palast der Republik
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