Emanuele Piccardo_Frei Otto tra utopia e tecnologia

Frei Otto
Frei Otto, Stadio olimpionico di Monaco di Baviera, 1969-72

L’ecologia, l’etica e la tecnologia sono i tre grandi temi che Frei Otto ha affrontato nei suoi progetti attraverso la sperimentazione sui materiali e le forme derivanti principalmente dalla natura e dagli studi sulla biologia. Con la sua opera ha scritto pagine importanti della storia dell’architettura degli ultimi cinquant’anni. Bruno Zevi, nel libro “Storia dell’architettura moderna”, lo colloca insieme a Soleri e Buckminster Fuller nella sezione “Utopia e Futuribili”. “Utopia è termine ambiguo -scrive Zevi- applicabile in senso rigoroso forse soltanto ad alcune scenografie dell’Archigram Group. Per il resto, si tratta di ipotesi concrete, riguardanti un domani paurosamente vicino, che urge predisporre per evitare incalcolabili catastrofi”. Proprio questa attenzione allo studio degli scenari urbani futuri sono alla base della relazione tra Otto, Soleri e Fuller ma anche l’etica e la capacità di immaginare un mondo migliore generato dall’operato dell’architetto.

L’opera di Otto non è il risultato di una creazione singola, di un unico pezzo come accade oggi nella logica dell’architettura globalizzata, ma è l’espressione di un disegno unitario che coniuga ricerca teorica sull’idea di città e sperimentazione tecnologica sulle potenzialità dei materiali, come dimostrano gli studi sulla città antartica e ancora quelli sulle strutture pneumatiche gonfiabili. Con la sua architettura egli vuole contribuire a migliorare le condizioni di vita delle persone affinché si possa arrivare a formare una società più equa attraverso modalità di occupazione dello spazio differenti dalla tradizione.
Ciò può avvenire con l’ausilio di elementi architettonici, le tensostrutture, ossia tende in teflon e acciaio pre-tese, che disegnano una città di vuoti in cui le maglie reticolari si intrecciano e formano un tessuto urbano aereo e smaterializzato e dove il dettaglio tecnologico non è mai superfluo.

Le tensostrutture nascono dall’osservazione degli accampamenti nomadi in condizioni climatiche estreme e dalla sperimentazione continua e ossessiva che Otto compie sui materiali per sfruttarne al massimo le possibilità tecnologiche e statiche ottenendo condizioni di leggerezza e trasparenza.

Frei Otto è uno straordinario sperimentatore la cui influenza è evidente sia nell’architettura radicale, laddove gruppi come gli inglesi Archigram ed i fiorentini Ufo hanno preso in prestito tensostrutture e strutture gonfiabili, che nell’architettura di Renzo Piano (l’esponente più interessante dell’hi-tech), il cui riferimento è evidente in molte sue architetture grazie al tramite di Peter Rice, ingegnere di Ove Arup e consulente dell’architetto genovese, che ha collaborato con Otto a molti progetti.

L’uomo riuscirà a riconsiderare il rapporto con l’ambiente naturale e in quale modo condizionerà il progetto della città del futuro? Questa attenzione per l’etica porterà a definire nuovi scenari relazionali affinché si crei una società più aperta ed equa? Quanto la tecnologia può contribuire al raggiungimento di questi obiettivi?
La capacità di sperimentazione dimostra quanta distanza ci sia tra Otto e i contemporanei impegnati più ad operazioni di marketing auto-promozionale che alla ricerca di un’autonoma idea di architettura. Nell’affrontare la ricerca di Otto non si può dimenticare l’importanza data alla città che lui studia nel 1953 collocandola in un contesto climatico estremo in cui assembla sia le strutture pneumatiche gonfiabili sia le tensostrutture; qui è inserito lo studio della città antartica ripreso in uno studio successivo, nel 1971, realizzato insieme a Kenzo Tange e Peter Rice.

Una cupola gonfiabile reticolare racchiude la città e i suoi abitanti evidenziando la relazione tra la ricerca di Otto e quella di Bucky Fuller che, nel 1964, realizza la cupola geodetica per l’Expo di Montreal (1967).
“L’abitante del globo terrestre -scrive Ann Rita Emili in Buckminster Fuller e le neo avanguardie- si colloca secondo Fuller, all’interno di un’entità chiusa, sferica, legata alle leggi generali di un sistema più ampio che la contiene.” Questo ci fa comprendere come a partire dalla terra anche l’architetto tedesco ne riproduca la sua forma sferica con la funzione di proteggere le persone che stanno sotto, evidenziando la leggerezza della struttura quale principio fondativo del suo fare architettura.

Otto persegue incessantemente l’invenzione com’è evidente nella numerosa produzione di disegni, schizzi, plastici in cui verifica e controlla tutti i dettagli con la stessa maestria di Leonardo quando progetta le macchine belliche, le fortificazioni e le chiuse.
Questo rimane il suo insegnamento fondamentale la capacità di far dialogare i materiali con l’uomo e la natura cercando il cambiamento affinché l’architettura possa essere un’arte utile e mai superflua.

[Emanuele Piccardo]

Frei Otto nasce a Siegmar in Sassonia nel 1925, studia architettura alla TU di Berlino laureandosi nel 1952, anno in cui fonda il suo ufficio. Nel 1961 incontra Johann-Gerhard Helmcke, professore di biologia e antropologia al Max Planck Institute, che sarà fondamentale per i suoi studi sulla biologia applicata alle costruzioni. Viene incaricato di progettare il padiglione della Germania per l’Expo ‘67 di Montreal. Parallelamente all’attività progettuale elabora una ricerca teorica espressa attraverso la pubblicazione, avvenuta in due fasi nel ‘62 e nel ‘66, dei due volumi “Tensile Structures. Design, Structure and Calculation of Buildings of Cables, Nets and Membranes”. Nel 1968 gli viene commissionata una delle sue opere più conosciute: le coperture per le strutture sportive realizzate in occasione delle Olimpiadi di Monaco di Baviera. Numerosi i premi che riceve tra i quali si ricorda la Medaglia d’oro dell’associazione degli architetti tedeschi (1982), la Medaglia d’oro del Royal Institute of British Architects (2005) e il Praemium Imperiale della Japan Art Association (2006).