Giacinto Cerviere_Antonio Sant’Elia: la mia prospettiva interiore

Ben presto lo scopo della Famiglia artistica di Milano, una volta scavalcata dal radicalismo dei futuristi e da questi svuotata del suo ruolo di avanguardia culturale italiana sostituendola con la nuova avanguardia da loro stessi impersonata, oramai di respiro internazionale, fu quello di prendere le distanze dal movimento marinettiano proponendo una ricerca di giovani talenti che fossero quanto più autonomi ed originali in grado di fronteggiare il lievitante potere culturale degli antagonisti. Così da raggruppamento avverso alle istituzioni artistiche la Famiglia passa ad essere denotata come punto mediano di raccolta di intellettuali ed artisti relativamente noti, innovativi ma misurati, progressivamente intimoriti dalle rumorose sortite degli ancora amici oramai futuristi.

Il dialogo continua con Boccioni e gli altri, sono sempre ben accetti nelle esposizioni “intime” annuali fino al 1911 che la Famiglia organizza verso fine anno quando la rottura tra i due gruppi si fa vistosa con la fondazione nella primavera del ‘14 di una terza formazione in cui confluiranno molti suoi associati, arrivando a rompere definitivamente col trapasso di Funi e Sant’Elia da Nuove tendenze al movimento futurista. Anche se gli Archivi del futurismo e Bruno Zevi fanno risalire la nascita di Nuove tendenze al 1912, senza però fornire prove, solo nel ‘13 in estate si comincia ad avere traccia dell’intenzione da parte di Dudreville di mettere in piedi un’alternativa convincente al modernismo estremo professato da Marinetti.

Alla seconda metà di agosto infatti risale una lettera spedita dall’artista di origine veneziana alla pittrice Adriana Bisi-Fabbri con cui la invita a prendere contatti con Ugo Nebbia per una sua possibile partecipazione alla manifestazione. Si sa inoltre mediante Nebbia che soltanto nell’inverno 1913-14 venne fondato il gruppo Nuove tendenze. In quella sorta di bando stampato e datato 20 marzo 1914 sottoscritto da Arata, Buffoni, Chiattone, Dudreville, Erba, Funi, Macchi, Nebbia, Possamai e Sant’Elia si allargava l’invito a partecipare alla mostra ad altri artisti i quali dovevano attenersi strettamente “all’enunciato programma” che richiedeva opere con “una visione personale moderna e originale” da spedire entro il 30 aprile.

Nuove tendenze intendeva qualificarsi come area di cerniera tra la cultura ufficiale e gli irriducibili futuristi divulgando il 20 maggio un volantino preannunciante la mostra nei locali della Famiglia artistica. Dudreville nelle sue memorie romanzate in cui compariva sotto lo pseudonimo ‘Leone De Martini’, si prese il merito di avere scoperto il talento di Sant’Elia all’interno dell’accademia di Brera. Scrisse che l’amico si era laureato a Brera da poco quando entrò in contatto con lui. La notizia è inesatta poiché Sant’Elia non concluse gli studi in accademia a Milano, come abbiamo già ricordato, bensì a Bologna. Nell’ultima città svolse l’esame finale direttamente senza attendere il naturale ciclo di studi. Negli anni ricordati da Dudreville il suo amico comasco era già in possesso del diploma rilasciatogli nei primi mesi del ‘13. Lo conobbe in quel periodo o al massimo a giugno nello studio di Arrigo Cantoni in cui ambedue collaborarono alle tavole del Concorso per la Cassa di Risparmio di Verona in piazza delle Erbe. Dudreville in primis profuse tutte le sue energie per la mostra di Nuove tendenze, lui fu il principale ispiratore assieme al critico Ugo Nebbia. Probabilmente non aveva esaurito l’amarezza nei confronti di Boccioni e dei futuristi per essere stato precedentemente escluso dal Manifesto dei pittori. Dudreville e Nebbia ottennero la consulenza del giornalista Decio Buffoni e dell’altro critico Gustavo Macchi oltre che dell’architetto Giulio Ulisse Arata. Tutti questi collaboratori di Dudreville alla fine non esposero ma continuarono a sostenere il gruppo per poter meglio divulgare la loro attività con una posizione più indipendente.

La Prima esposizione del gruppo Nuove tendenze fu inaugurata a Milano il 20 maggio e si concluse il 10 giugno nelle sale della Famiglia artistica in via Agnello 8. Al posto delle defezioni di Buffoni, Macchi e Arata vennero presentati Marcello Nizzoli, Alma Fidora e Adriana Bisi-Fabbri (quest’ultima tra l’altro moglie di Giannetto Bisi e cugina di Boccioni ritratta da quest’ultimo in un dipinto divisionista del 1907). I nove partecipanti alla collettiva furono in conclusione: i pittori Dudreville, Erba, Funi, Nizzoli e Bisi-Fabbri; lo scultore Giovanni Possamai; la decoratrice tessile Alma Fidora e gli architetti Chiattone e Sant’Elia. Di loro solo Nizzoli e la Fidora non provenivano da Brera. L’età media dei partecipanti era molto giovane, tra ventisei e ventisette anni, e si andava dalla ventenne Fidora alla trentatreenne Bisi-Fabbri. Sant’Elia nel ‘14 ne aveva ventisei, fu questa l’età in cui ottenne maggior successo. Lui, si può anche dire, riuscì a dare un’impronta di dignità avanguardistica alla mostra. Sorprese e catalizzò l’attenzione dei visitatori con le tavole della Città nuova e il Messaggio ambedue pubblicati nel catalogo.

Numerosi gli articoli che si interessarono all’evento tra cui quelli di Carfagna, Grassini Sarfatti, Lodovici e altri tra cui gli ex aderenti Buffoni e Nebbia. Anche Prampolini se ne occupò, il già futurista Prampolini che accusò il gruppo di giovani lombardi di avere plagiato le idee futuriste. Prampolini era stato anche autore di un Manifesto sull’architettura futurista del quale nel tempo si perse il ricordo, pubblicato nella sua parte finale nel gennaio del 1914, quindi prima del Messaggio santeliano, sul quotidiano romano “Il Piccolo Giornale d’Italia”. Le accuse di Prampolini comunque erano rivolte all’estetica sprigionata da Nuove tendenze in genere, ad iniziare dalla grafica del catalogo, e non certo al lavoro di Sant’Elia che del prampoliniano Manifesto dell’Atmosferastruttura non ne era probabilmente a conoscenza. Peraltro il Messaggio non ne seguiva gli indirizzi teorici ed era più denso di concetti. Il Manifesto dell’Atmosferastruttura si occupava della qualità atmosferica dell’architettura mentre il Messaggio attaccava con virulenza l’architettura del passato come tradizione stilistica, ed in questo sfoderava un comportamento più futurista. Gli unici punti che li accomunano potrebbero essere la volontà d’interruzione della mimesi naturale che ha accompagnato l’architettura dalle sue origini (ma questa era un’idea largamente condivisa in tutti i circoli colti delle avanguardie europee) e l’utilizzazione spettacolare degli ascensori che in Sant’Elia però non sono occultati ma panoramici.

C’è da dire che la discussione attorno all’esigenza di formulare un Manifesto architettonico era nell’aria tra i futuristi agli inizi del ‘14, come disse Carrà, tanto che anche Boccioni dopo la metà di marzo ne scriverà uno forse stimolato dai disegni che Sant’Elia espose alla Mostra degli architetti lombardi, e solo cinquantotto anni più tardi se ne avrà notizia dopo essere stato scoperto e stampato da Zeno Birolli. Nel complesso tutto il clima avanguardista milanese compreso il gruppo Nuove tendenze sentì di essere stato raggiunto in qualche modo dalle idee futuriste visti i loro travolgenti successi ottenuti in tutta Europa e persino in America e Asia.

Per confezionare i disegni della Città nuova per la prima volta Sant’Elia passò deciso dall’utilizzo del tratto manuale alla perfezione della linea retta usando il tiralinee con maggiore intensità e maestria rispetto ai Dinamismi, come per lasciarsi del tutto alle spalle il ciarpame eclettico, il Liberty, la Wagnerschule, per uniformarsi a quel ‘richiamo’ teso alla purezza geometrica della linea teorizzato in Italia da Boccioni e Marinetti: nel marzo 1914 il primo pubblicò Pittura e scultura futuriste (dinamismo plastico) e il secondo il Manifesto Splendore geometrico e meccanico.

Le tavole della Città nuova che Sant’Elia rese pubbliche a Nuove tendenze produssero uno turbamento estetico inaspettato. Furono così distillate nella loro purezza formale disegnandole e ridisegnandole più volte da meravigliare profondamente tutta la scena artistica milanese. Le prospettive prodotte erano di una modernità senza pari ancora oggi sostenibile. L’azione sovvertitrice di Sant’Elia fu completa, contemplò ed analizzò in termini rivoluzionari sia il piano teorico che quello progettuale. La mostra ospitò sedici dei suoi disegni, un gran numero rispetto agli altri lavori degli invitati presenti. In tal modo Sant’Elia egemonizzò di fatto la manifestazione.

Li aveva ottenuti da basi grafiche complesse e stratificate alla fine riportate su lucido solo nelle linee di costruzione principali e visibili create nell’ambiente più confortevole della sua nuova casa d’affitto di via San Raffaele ma in cui, ricorda Carrà, si entrava ancora a fiammifero acceso. Erano ossessioni visionarie sorte in penombra che gli provenivano da ricorrenti notti di lavoro. Luigi Russolo, che seguì passo dopo passo la genesi di quei disegni, dichiarò che l’amico “era un tormentato: incontentabile nei piccoli schizzi nei quali cercava la soluzione d’assieme dei suoi progetti. (…) Purtroppo per noi, molti di questi piccoli schizzi egli stracciava subito per conservare solo quello che aveva scelto per sviluppare in grande”. Aveva un modo di comporre, continua Russolo, rapido e sorprendentemente nel trovare, senza misurazioni particolari, precisi rapporti tra le masse, un procedimento potremmo dire implicito nell’origine massonica dell’architettura: “il suo occhio gli permetteva di trovare la proporzione, la metà, un terzo, una quinta parte senza prendere le misure, che poi, per scrupolo, qualche volta verificate, risultavano esatte.”
Sei di questi disegni esposti, (quelli che sul catalogo erano contrassegnati dai numeri 2, 3, 4, 5, 6, 7), erano tutte visioni parziali di una modernissima metropoli immaginaria.

Mettevano a fuoco organismi architettonici conclusi conformanti la ‘Città nuova’; un disegno della Stazione per aeroplani e treni (n. 1); un ottavo elaborato, La casa nuova, si osservava dalla facciata principale sul lato destro inclinata in senso orario e alta circa sedici piani (la n. 8); tre raffiguravano centrali elettriche che già Sant’Elia aveva saggiato in schizzi risalenti al ‘13 (nn. 9, 10, 11); per il resto si trattava schizzi di cui almeno due erano le basi grafiche della Città nuova (nn. 12, 13, 14, 15, 16). Il catalogo comprendeva non solo le riproduzioni di alcune opere degli artisti presenti in mostra ma anche saggi di Carlo Erba, Dudreville, Possamai, Funi e lo scritto teorico di Sant’Elia, non titolato, che passerà alla storia come il ‘Messaggio’, così venne battezzato dall’amico di Chiattone l’architetto svizzero Giovanni Bernasconi.

Nebbia, che ritoccò il testo del comasco (è risaputo che Sant’Elia avesse qualche difficoltà nella scrittura come nell’espressione verbale corretta, si narra che il suo linguaggio corrente fosse perfino un miscuglio di italiano e dialetto comasco), nell’introduzione al catalogo non citò mai il termine ‘futurismo’ pur premendogli di specificare sottesamente che Nuove tendenze fosse un movimento molto vicino, se non espressione, dei temi sviluppati dai futuristi. Lo stesso Nebbia, ricordiamo, era stato l’organizzatore della Mostra d’arte libera preparata dalla Casa del popolo di Milano e allestita nel Padiglione Ricordi. In quella mostra espose anche Boccioni (a cui venne sfregiato il quadro La risata), oltre a Carrà e Russolo. Pur avendo assimilato il linguaggio futurista e apprezzatone i valori estetici Nebbia nel ‘14 a Nuove tendenze tenta di insinuarsi tra i tradizionalisti e l’estremismo marinettiano con una ‘terza via’ sperimentale e nel contempo maggiormente conciliatoria con l’accademia.

Ma ormai era troppo tardi per le mezze misure. Il futurismo nel ‘14 è un movimento di importanza planetaria che trova di continuo simpatizzanti ed aderenti proprio per la sua carica dissacratoria ed aggressiva che rendeva materiale l’energia filosofica nietzscheana galvanizzando giovani artisti o intellettuali pure in età matura come Balla, Buzzi e Soffici. Solo tre tavole di Sant’Elia vennero stampate sul catalogo. Nonostante la crescita professionale e gli impegni di respiro europeo diedero una mano all’allestimento anche gli ancora amici futuristi Boccioni e Carrà (che già avevano avuto tra loro i primi dissapori a marzo) oltre a Russolo. Tale nota ci fa capire la stima di questi per alcuni partecipanti. Il clima di collaborazione era ancora stabile tra i due gruppi ma si incrinerà di lì a poco, nel momento in cui i futuristi porteranno prima Sant’Elia ed in seguito Funi nell’ampia orbita marinettiana.

[Giacinto Cerviere]

Antonio Sant’Elia. La mia prospettiva interiore, Edizioni Libria, 18,00 euro

[1] - P. Thea, “Nuove Tendenze a Milano”, in Nuove Tendenze. Milano e l’altro futurismo, Milano 1980, p. 8.
[2] - U. Nebbia, “I futuristi e il manifesto di Sant’Elia”, in L’Espresso, 9 dicembre 1956.
[3] - L. Dudreville, Il Romanzo di una vita, p. 81.
[4] - P. Prampolini, “Il gruppo ‘Nuove Tendenze’ plagiario del futurismo”, in L’Artista moderno, giugno 1914, pp. 217-218.
[5] - P. Prampolini, “Anche l’architettura futurista… E che è?”, in Il Piccolo Giornale d’Italia, n. 29, 29-30 gennaio 1914. La prima parte del Manifesto prampoliniano fu stampata quattro anni dopo: P. Prampolini, “L’ ‘atmosferastruttura’ basi per un’architettura futurista”, in Noi, n. 2-4, febbraio 1918.
[6] - U. Boccioni, Altri inediti e apparati critici, a cura di Z. Birolli, 1972.
[7] - L. Russolo, “Ricordo di Sant’Elia”, in La Martinella, XII, p. 10.

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