Erika Guarneri_Città professanti
Che la potenza comunicativa dello spot ipermoderno stesse nella capacità di abbattere i confini dello spazio e del tempo, era stato avvertito ormai da tutti. Ma la nuova campagna pubblicitaria della Telecom rappresenta un emblema del caso.
Il progetto di Spike Lee, regista dello spot, è ambizioso: inserire lo straordinario potere carismatico del memorabile Mahatma Gandhi in una dimensione mediatica attuale e globale. Un Gandhi che scavalca virtualmente le pareti della sua capanna per imporsi ed integrarsi con la grandiosità degli ambienti metropolitani e dei suoi pubblici.
Senza entrare nel merito etico di una campagna pubblicitaria che investe drasticamente sull’impatto emotivo del pubblico utilizzando l’immagine e il messaggio del profeta, è possibile analizzare gli elementi di quella che potremo definire comunicazione architettonica, dove le realtà urbane ritratte dallo spot contengono irresistibili tecnologie contemporanee come se queste ultime non potessero fare a meno di far presa su quegli spazi, di inserirsi in essi ed interagire con loro.
L’annuncio pubblicitario veicola il binomio architettura-mezzo di comunicazione, partendo dall’idea che un’opera architettonica possa costituire sede o canale di divulgazione dell’informazione. Non a caso il primo scenario nel quale il Mahatma viene proiettato è una Times Square anni ‘40 in cui la facciata di uno dei suoi grattacieli diventa la parete per un maxischermo.
Anche quando non è un prospetto dell’edificio ad ospitare il mezzo comunicativo, abbiamo l’impressione che il binomio non possa essere sciolto: la staticità dei personaggi, la loro disposizione teatrale di “freeze”, i riferimenti che fanno intuire il luogo in cui essi si trovano, servono anche in questo caso a porre in risalto la relazione sovracitata. È ciò che succede in una Roma rivisitata dove Gandhi appare sul display del cellulare di una coppia di fidanzati seduti dinanzi ad un Colosseo accuratamente ripulito da qualsiasi riferimento attuale - sono assenti, infatti, le impalcature e le reti che ostruiscono i primi due ordini di arcate per via dei lavori di ristrutturazione -; lo stesso avviene a Londra, all’interno di un ufficio dalla cui finestra è possibile intravedere l’House of Parlament ed in cui quattro personaggi osservano l’asceta tramite un monitor LCD;
si continua con un caotico mercato cinese dove un uomo ascolta le parole di pace attraverso l’uso di un auricolare; e ancora nello spazio sconfinato di un’Africa modernizzata in cui una tribù è informata grazie all’invenzione del computer portatile; per tornare nei canoni della scena iniziale dove una folla smisurata è al cospetto dell’immagine del Mahatma proiettata su uno schermo gigante che si erge nella Piazza Rossa, a Mosca, tra le inconfondibili cupole della Chiesa di San Basilio.
L’intero spot cresce sulla scia di questa combinazione forte, ma altrettanto sottile nelle sue rappresentazioni. Da un lato l’amore universale, l’uomo canuto, ricurvo su se stesso che raggiunge la sua capanna, la sua posizione iconica, il suo volto. Dall’altro la civiltà, i suoi tratti d’identità segnati da opere architettoniche monumentali, dall’imponenza degli ambienti metropolitani, dall’accoglienza delle mura domestiche o dalla semplice comunione di individui. Il plus sta nella nuova forza dei mezzi, della loro capillarità che ridimensiona il mondo e lo fa diventare un villaggio globale. Ci sono qui i presupposti per aspirare al prototipo del media-building, la nuova filosofia di architettura urbana che proietta inevitabilmente nel futuro degli agglomerati urbani, degli edifici, degli spazi in generale. Come afferma Philip Jodidio, “la tecnologia sta trasformando il modo in cui gli edifici vengono progettati e costruiti […], è parte integrante della natura del progetto”. Il bisogno, spesso indotto, di informazione immediata e capillare è un meccanismo inevitabile proprio della società della comunicazione.
Così come la parete domestica ospita lo schermo televisivo al plasma, svalorendo i contenuti della parete stessa, altrettanto prepotentemente un maxischermo (simile a quello dello spot) potrebbe appropriarsi dell’attrattività degna della struttura architettonica su cui è posto?
Vero è che l’architettura deve rispecchiare la società del suo tempo e quella contemporanea abbiamo definito essere una società della comunicazione, ma è anche vero che questa stessa architettura non può manifestarsi come mero supporto mediatico.
Sulla scia del messaggio di Telecom insinuiamo la nostra provocazione: “Se avesse potuto comunicare così, oggi che architettura sarebbe?”.
[Erika Guarneri]
Si ringrazia Telecom Italia|Ufficio Stampa eventi per aver dato il consenso all’utilizzo gratuito delle immagini dello spot.