Emanuele Piccardo_Il fallimento del concorso
Il concorso di architettura nasce con l’obiettivo di confrontare sullo stesso tema una pluralità di voci che interpretano un luogo seguendo le differenti sensibilità. Alla fine solo uno sarà il vincitore. In Italia negli ultimi anni i concorsi si sono moltiplicati vertiginosamente, basta visitare uno dei portali piu accreditati, Europaconcorsi, per capire quanto il fenomeno sia diventato un fatto di “costume” nelle trasformazioni urbane attuate dalle pubbliche amministrazioni dagli esiti spesso discutibili. Purtroppo però è ancora la Francia ad avere il primato, punto di riferimento in materia di concorsi dall’era Mitterrand, presidente mecenate (anni 80-90 del novecento). La Defense, la Trés grand Bibliotheque sono solo due degli esempi più significativi di concorso indetto dal pubblico per passare, successivamente, alle ZAC della Paris Rive Gauche (la zona di Bercy), dove il tema era le unità residenziali nella nuova zona di sviluppo della città.
Il concorso dovrebbe, in teoria, essere uno strumento democratico che assegna al progetto più meritorio il premio, ossia la costruzione di un’architettura ma anche mettere in evidenza lo stato della migliore e più innovativa ricerca architettonica.
Questo non avviene mai soprattutto nei concorsi pubblici di grande dimensioni come Stazione TAV Roma Tiburtina, TAV Firenze, Fiera di Milano nuova e vecchia, Europan, dove l’intreccio politica-economia ne condiziona, più dell’architettura, l’esito finale.
Un’esile speranza rimane nei concorsi minori dove gli interessi in ballo non hanno cifre a sei zeri, ma anche in questo caso sono poche le eccezioni.
Le giurie composte, in entrambi i casi, da cordate in stretto rapporto con i partecipanti, orientano il giudizio a scapito dei progetti migliori e di conseguenza si attua una continua e deplorevole proliferazione di lobby fino ad arrivare, nei casi più estremi, a strutture di scambio bene organizzate. Non è dunque solo un problema politico, ma si attua una pianificazione degli esiti a scapito della qualità architettonica. Tutto questo nuoce all’immagine dell’architettura italiana, in una sorta di forma autolesionistica, così anche i giovani si integrano perfettamente nel sistema di lobby, senza provare ad attivare forme di contestazione.
La scarsa opportunità di costruire un’architettura fagocita le partecipazioni numerose ai concorsi e le conseguenti aspettative negli architetti disattese poi dai risultati.
Ci aiutano a comprendere il fenomeno, le teorie darwiniane che prevedono una selezione naturale operata dall’ambiente, in questo caso “ambiente” è sinonimo di lobby.
L’ignoranza culturale delle Amministrazioni, l’incapacità dei critici di architettura e dei committenti nel valutare i progetti contribuiscono a escludere coloro che essendo estranei ai giochi di potere non avranno mai la possibilità di vincere.
Ma i problemi non finiscono qui! La recente storia della Loggia degli Uffizi introduce il tema della costruzione dei progetti vincitori, è assurdo che Isozaki come gli svizzeri Diener & Diener, autori dell’ampliamento della GNAM di Roma, abbiano avuto problemi per rendere effettivo l’esito del concorso pubblico a cui hanno partecipato. A Firenze a causa di una campagna denigratoria di Sgarbi, adducendo motivazioni di bellezza dell’intervento con cui si può anche concordare ma non si può certo affermare che non si debba realizzare l’intervento.
Nel caso romano i fanfaroni dell’architettura nostrana hanno contestato il progetto svizzero ampiamente oltre il 90′, per usare un linguaggio calcistico, difendendo ad oltranza l’ala progettata da Luigi Cosenza, che dovrebbe essere demolita nell’ampliamento della GNAM. Nulla di irreparabile per il concorso, esistono due possibilità: non partecipare oppure combattere per cambiare le regole. Non partecipare significa rivolgersi direttamente ai committenti, pubblici e privati, per farsi affidare l’incarico diretto alla luce del sole senza false illusioni. Lottare, invece, consente di contrastare in varie forme l’esito del concorso impegnandosi a infondere una nuova e più etica cultura dell’architettura e non dei giochi di potere che determinano solo il degrado culturale e sociale del sistema Italia.
[Emanuele Piccardo]