Jean Louis Cohen non c’è più. Uno dei più importanti storici dell’architettura, noto per i suoi studi su Le Corbusier e il Costruttivismo russo, la cui scomparsa lascia sgomenta la comunità internazionale dell’architettura. Amante dell’Italia, numerose sono le pubblicazioni tradotte in italiano, i convegni e i progetti di ricerca a cui ha partecipato. Recentemente era stata pubblicata sulla webzine archphoto.it una conversazione tra lui e Gregorio Carboni Maestri dal titolo Architettura e Italia. Politica e contesto. “Ho iniziato a studiare architettura nel 1967 a Parigi- afferma Cohen- non all’École des Beaux-Arts, che mi spaventava un pochino, poiché era un universo apparentemente caotico, e anche abbastanza reazionario…sono andato all’École spéciale d’architecture, una scuola privata, creata come attrattiva moderna da Viollet-le-Duc…Ero abbastanza centrato su quello che era il mio principale interesse: il lavoro di Jean Prouvé, le conferenze che faceva a Parigi…Mi sono laureato nel 1973, che è una data già abbastanza storica. Una tesi di laurea che è stata peraltro interessante. Il titolo era un po’ naif, se ci penso retrospettivamente: Y-a-t’il une pratique architecturale de la classe ouvrière?“.
Proprio le sperimentazioni dell’autodidatta Jean Prouvé sono al centro della sua direzione, nel 2014, del padiglione francese alla Biennale di Architettura di Venezia. Lo spettatore viene condotto in quattro ambienti “Jacques Tati e Villa Arpel: oggetto del desiderio o di ridicolo?”, “Jean Prouve’: immaginazione costruttiva o utopia?”, “Pannelli pesanti: economie di scala o monotonia?”, “Grandi complessi: una cura per l’eteretopia o luoghi di solitudine?”. Cohen ci mette in guardia dalle contraddizioni del moderno partendo dalla edilizia speculativa del dopoguerra, dimostrando come Prouvé avesse interpretato efficacemente il tema centrale della prefabbricazione delle facciate degli edifici. Cohen, un fuoriclasse della storia dell’architettura con la sua ironia, come quella volta in cui lo intervistati, nel 2009, nella sua casa parigina su Le Corbusier. Parlavamo di insiemi residenziali e in particolare delle Unité d’habitation che Corbu aveva costruito in Francia come modello abitativo del dopoguerra, mi aveva fatto notare che la storia era diversa da come veniva narrata.
“Il modello non si sviluppa solo dalle idee di Le Corbusier…la prima unité è la casa Narkomfin di Ginzburg a Mosca costruita tra il ’28 e il ’29 con molte idee di Le Corbusier, in termini formali i pilotis, la finestra orizzontale, il tetto piano…un edificio corbusiano costruito molto prima dei progetti di Le Corbusier”. In questo suo modo di fare critica si percepiva la sua passione per indagare e non fermarsi alla superficie delle storie degli architetti, proseguito anche sugli sperimentatori del Costruttivismo russo come Leonidov, o più recentemente sul de-costruttistiva Frank Gehry e sulla figura di un altro grande storico, Bruno Zevi.
Emanuele Piccardo
9.8.23