Gli architetti fin dall’antichità sono stati al servizio del potere non sempre democratico, spesso espressione di dittature non certo un fenomeno riconducibile al Novecento. Architetti, pittori e scultori hanno avuto committenti Papi, Duchi, Principi, che facevano uso della tirannia e della guerra nello stesso modo in cui Putin ha conquistato il potere nell’ex URSS.

Le città per potersi sviluppare hanno sempre avuto bisogno dell’architettura per definire la struttura politica di una società. Qualche anno fa, in un discutibile libro, Le Corbusier veniva considerato sostenitore dei dittatori Stalin e Mussolini, confondendo il bisogno estremo di trovare occasioni per poter realizzare la Ville Radieuse con l’appartenenza alla ideologia fascista. Niente di più falso. Ma Le Corbusier almeno ha avuto il merito di cambiare radicalmente il modo di abitare di cui oggi ne godiamo i benefici. Il discorso è diverso se guardiamo agli architetti contemporanei sempre pronti a diventare “amici” dei tiranni, Putin o Xi Jiingpin, solamente per ottenere più profitto non per costruire architetture che possano cambiare la vita delle persone ma per celebrare il proprio ego e quello dei loro committenti. Le architetture realizzate in Cina e Russia dai big dello star system architettonico sono operazioni di facciata, per distogliere l’attenzione dai problemi in cui versano le società, spostando il gioco su altri piani. Ma gli architetti si dividono in due categorie, quelli che agiscono silenziosamente in ogni stato, senza distinzione tra dittature e democrazie, mirando unicamente al profitto e quelli che dichiarano senza ipocrisia di lavorare per il mercato. Alla prima categoria appartengono Massimiliano Fuksas, Herzog&De Meuron, Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Norman Foster, alla seconda c’è un solo protagonista: Rem Koolhaas.

I due profili instagram di Herzog & De Meuron e Norman Foster

D’altronde Koolhaas il suo cinismo lo ha sempre dichiarato, applicato e rinnegato come avviene nella recente ricerca sulla campagna (Countryside A report, 2020) come luogo da abitare nel futuro. Dal teorico del Junkspace e delle metropoli afro-asiatiche un bel triplo salto ideologico, ma preferibile alla ipocrisia dei sopracitati colleghi “archistar”.

L’architettura intesa come materializzazione di un pensiero che si fa oggetto, forma, funzione linguaggio, non appartiene al modo in cui oggi gli architetti costruiscono, insomma costruiscono un palinsesto per giustificare interventi improbabili. Soluzioni uguali e consolidate, forme sinuose, facciate come pelle di un essere vivente, facciate verdi, che ne omologano l’esito estetico e costruttivo senza poterle definire architetture necessarie. Quello a cui assistiamo è lo sproloquio di parole, significanti e significato che poi non si percepiscono nella lettura dell’architettura contemporanea. Per questo troviamo ancora interessanti le innovazioni di Yona Friedman, Buckminster Fuller, Frei Otto, le sperimentazioni dell’architettura radicale, del TeamX, Paolo Soleri ecc…essenzialmente per paura di rischiare, preferendo il comfort del deja vu.

In alternativa assumono sempre più valore, a volte con ragione a volta no, pratiche nuove ma antiche come le costruzioni in paglia, terra cruda, legno, mattoni, in Africa e in Latinoamerica. Siamo sempre più disorientati mentre siamo affascinati da pratiche di architettura sociale progressiste, fatte per le comunità più povere e abbandonate che non si riescono a replicare in Italia e in Europa per colpa della burocrazia. Così per seguire l’onda del politically correct, dopo le Biennale di Baratta dove l’essere umano è stato messo al centro del progetto di architettura (si vedano le edizioni di Aravena e Sarkis) anche il Pritzker Prize si adegua. In questo caso il premio viene dato con merito a Diébédo Francis Kéré, grande architetto africano che ha basato la sua poetica sul concetto di “architettura povera”, con materiali non sofisticati, a basso impatto, che riesce a costruire architetture necessarie. Ora tutti applaudono al premio quando fino a ieri osannavano Herzog&De Meuron e Koolhaas. Come si fa presto a cambiare idea, senza coerenza ma con opportunità mutanti. Non si può dunque prescindere da un principio universalmente noto, ovvero che una buona architettura sia tale per la compartecipazione di una committenza responsabile e di una altrettanto capacità progettuale dell’architetto. Tuttavia si dovrebbe cambiare paradigma, non agendo esclusivamente per il profitto senza pensare ai contesti in cui si va ad operare. In questo senso sono ipocrite le dichiarazioni di Foster e Herzog&De Meuron sui loro canali instagram, dove informano i loro fan sulla sospensione dei lavori in Russia, come se prima non conoscessero un contesto non democratico e privo dei diritti civili fondamentali.
E’ il mercato bellezza!

Tuttavia l’unico coerente, cinico ma lucido, anche a costo di essere contraddittorio, caratteristica che appartiene all’essere umano, rimane sempre Rem, l’olandese volante.

Emanuele Piccardo

29.3.22

Immagine di copertina: Zaha Hadid Architects, Rublyovo Arkhangelskoye, Smart City, Russia 2018-in corso