Eugenio Battisti, storico dell’arte e dell’architettura, è nato a Torino cento anni fa il 14 dicembre 1924. Si era laureato in Filosofia all’Università di Torino nel 1947 con Anna Maria Brizio e a Roma nel 1953 si era specializzato con Lionello Venturi. Il suo modo di studiare l’arte ha consentito alle giovani generazioni di critici di formarsi. Su tutti ricordiamo il critico e curatore genovese Germano Celant. Nel 1962 Eugenio Battisti prende la cattedra all’Istituto di Storia dell’Arte all’Università di Genova. “Arrivato a Genova- ricorda Battisti- per una generosa rinunzia in mio favore da parte di Pasquale Rotondi della supplenza ch’egli teneva sulla cattedra della rimpianta Giusta Nicco Fasola, mi trovai subito immerso in un ambiente vivacissimo[…]”. Ambiente che in quegli anni era composto da figure come il pittore Eugenio Carmi, che dal 1956 al 1965, è responsabile dell’immagine coordinata per l’industria siderurgica Cornigliano-Italsider portando l’arte contemporanea in fabbrica. Ma insieme a lui ci sono Paolo Minetti, che fonderà nel 1972 la Galleriaforma, lo scenografo Lele Luzzati, il poeta visivo Rodolfo Vitone. Ma gli effetti immediati della presenza di Battisti a Genova sono ” i legami che riesce a stabilire con alcuni gruppi che esistevano già- come ricorda Sandro Ricaldone- o che si stavano formando in quel momento come il Gruppo Studio di Sampierdarena in cui c’era Rodolfo Vitone, Luigi Tola, Guido Ziveri e tanti altri…facevano all’epoca un’arte abbastanza vicino a quella dei napoletani, post surrealista con inserti di oggetti[…]Altre due cose importanti che avvia Eugenio Battisti sono il Marcatrè a cui lui da una forma su sollecitazione d Vitone e Tola che volevano fare una rivista di tipo interdisciplinare e avevano contatti con Umberto Eco e Sanguineti. Battisti riesce a organizzare un progetto piuttosto interessante, sia all’inizio quando la redazione, per i primi cinque numeri viene fatta dalla redazione genovese, sia quando passa a Lerici che lo porterà avanti fino al 1969″.


Marcatrè, i primi numeri pubblicati da Rodolfo Vitone, Archivio Emanuele Piccardo

Nel 1960 le gallerie d’arte a Genova sono due: Rotta e San Matteo. Entrambe presentano lavori tradizionali sul paesaggio e nulla fa presagire il cambiamento che avverrà negli anni successivi grazie anche all’arrivo di Battisti, vero innovatore dello sterile dibattito genovese. Sul fronte delle istituzioni pubbliche ne la Società per le belle arti ne il Circolo della Stampa fanno proposte aggiornate dell’arte. Invece sul fronte della comunicazione si segnala la rivista “Genova”, pubblicata dal comune dove, dopo un periodo di recensioni scritte da Emilio Riva sulle mostre cittadine di scarso interesse e senza uscire fuori dal contesto locale, a novembre del 1961 il registro cambia grazie agli interventi puntuali critico Germano Beringheli, grande sostenitore dell’arte contemporanea, che pubblica anche per il quotidiano Il Lavoro nuovo. Dobbiamo aspettare il 1963 per constatare una certa effervescenza con la fondazione della galleria La Polena di Edoardo Manzoni e Rosa Leonardi, e poi della nascita della cooperativa Il Deposito il 3 settembre, costituita nel borgo marinaro di Boccadasse, levante genovese, da Eugenio Carmi, Flavio Costantini, Lele Luzzati, Kiky Vices Vinci, Achille Perilli, il critico Bruno Alfieri, il fotografo Kurt Blum e il grafico e designer Germano Facetti. Il Deposito prende il nome da un ex deposito di carbone e fin dall’inizio assume il ruolo di apripista grazie alla presenza di Dorfles, rimanendo attivo dal 1964 al 1968; successivamente anche Paolo Minetti, che nel 1972 fonda Galleriaforma, si unisce al gruppo diventando direttore della galleria. La mostra inaugurale Sedici quadri blu è curata proprio da Gillo Dorfles con opere di Getulio Alviani, Max Bill, Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Enrico Castellani, Marc Chagall, Piero Dorazio, René Duvillier, Lucio Fontana, Sam Francis, Gottfried Honegger, Achille Perilli, Paul Raclé, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato, Victor Vasarely.
L’arrivo di Battisti per insegnare all’Università determina una forte spinta all’innovazione e al dibattito che si manifesta con la creazione della rivista Marcatrè, nata da una intuizione del poeta visiva Rodolfo Vitone come confermano le sue parole:

“Mi ricordo che Battisti era al mare… lo raggiungo e gli dico che vorrei fare una rivista e gli domando se lui può dirigerla ma lui mi disse: Vitone lascia perdere…riviste ce ne sono tante, però quello che avevo in mente era un pò diverso e gli ho spiegato come doveva essere Marcatrè e allora lui mi ha detto è una bella idea allora la facciamo. Io insieme a Tola ed altri andavamo a seguire le sue lezioni all’università, ma noi avevamo trentacinque anni e di fronte avevamo ragazzi di 17-18 anni, ma Battisti era compiaciuto che noi adulti lo andassimo ad ascoltare. Poi lo portavamo in giro nelle osterie e alla sera la discussione continuava e lui era entusiasta”. Vitone fu l’editore della rivista per cinque numeri, dal novembre 1963 al marzo-aprile 1964, poi passò alla casa editrice romana Lerici. Innanzitutto è interessante evidenziare il sottotitolo “Notiziario di cultura contemporanea”, che dimostra l’attenzione multidisciplinare, tra arte, architettura, musica, cinema, semiologia, sociologia, letteratura e teatro. Con l’editore Lerici c’è un salto di qualità con la grafica e l’impaginazione fatta prima da Giulio Confalonieri e poi da Magdalo Mussio. Le grandi iniziali DIS per indicare disegno industriale o SP per indicare spettacolo o ancora UT per utopia, al pari di usare una stampa monocroma nera o rossa dove testi e immagini sono dello stesso colore, la collocano come una rivista sperimentale di avanguardia figlia del periodo storico degli anni sessanta e della controcultura di matrice americana.

“Il Marcatrè nasce con un programma assai modesto ed elastico, d’informazione – scrive nel primo editoriale Battisti. Anni fa si parlava della coincidenza di critica e di storia, cioè della necessità di storicizzare un giudizio prima di pronunziarlo; oggi il problema pare proporsi in termini quantitativi: come necessità di sospendere ogni affermazione e giudizio prima di aver raggiunto un grado di conoscenze estensive e comparato attorno ai fatti che si vogliono esaminare”.

Il Marcatrè “ vuole essere pettegolo-continua Battisti-curioso, paradossale, istintivo, mutevole. E poiché, data la sua mensilità, è una risposta quasi immediata a ciò che accade, vuol suggerire problemi, più che risolverli, mira cioè a rispettare quella complessità che è caratteristica, sempre, d’una cultura in movimento”.

Marcatre 50/55, numero dedicato al convegno Utopia e/o Rivoluzione (Torino, 25-27 aprile 1969), Archivio Emanuele Piccardo

Marcatrè 50/55, Architecture Principe (Claude Parent, Paul Virilio), Archivio Emanuele Piccardo

Tuttavia ci sono alcuni numeri della rivista che sono sublimi per qualità dei contenuti e aderenza al dibattito in corso negli anni sessanta come, ad esempio il numero triplo 11-12-13 (1965), il 37-38-39-40 (maggio 1968) con l’intervista a John Cage, il testo di Michael Kirby, autore del noto Happening (tradotto e pubblicato da De Donato nello stesso anno) e gli Urboeffimeri del gruppo radicale UFO. Sarà il numero 50/55 del 1969 quello che tiene insieme i due pensieri critici dominanti dell’Utopia e della Rivoluzione, presentando gli esiti del convegno Utopia e/o Rivoluzione dal 25 al 27 aprile 1969 al Politecnico di Torino organizzato da un gruppo di lavoro composto da Graziella e Pietro Derossi, Adriana Ferroni, Aimaro Oreglia d’Isola, Riccardo Rosso, Elena Tamagno. In quella occasione partecipano al dibattito Paolo Soleri, Architecture Principe (Claude Parent, Paul Virilio), Archigram, Yona Friedman, Utopie Group, Archizoom. Questo dimostra la forza di Marcatrè nel diventare un eco della sperimentazione culturale in atto sia in Italia sia nel mondo.

Marcatrè 41/42, UFO, Urboeffimero n. 5, Firenze, aprile 1968, Archivio Emanuele Piccardo

Ritornando al rapporto tra Battisti e Genova, si evidenzia come le lezioni all’università abbiano lo scopo di “estendere la discussione e la fruizione dell’arte contemporanea” attraverso conferenze in cui veniva scelto più l’oratore del soggetto (Maurizio Calvesi, Nello Ponente, Renato Barilli, Enrico Crispolti solo per citarne alcuni) e stabilire visite di allievi e docenti delle università vicine, Pavia e Pisa. Vi è anche l’intenzione di costituire con l’Istituto di Storia Medioevale e Moderna dell’Università di Genova una sezione dell’Ecole des Hautes Etude della Sorbona, insieme a collaborazioni con università a Bruxelles e all’Aia. La sua intensa attività didattica e di motivazione culturale nella periferica Genova, poco aperta istituzionalmente parlando al contemporaneo, lo portò a organizzare una serie di mostre nel Teatro del Falcone, di proprietà del ministero dei beni culturali, un anteprima di quello che sarebbe dovuto diventare il Museo Sperimentale d’Arte contemporanea che venne creato formalmente con un atto il 23 dicembre 1963.
La critica d’arte e curatrice Emanuela De Cecco nella sua tesi di laurea sul Museo Sperimentale discussa presso l’ateneo genovese, descrive bene tutte le fasi di questo travagliato progetto. L’obiettivo è raccogliere le opere degli artisti su invito o segnalazione del comitato direttivo. “Il comitato direttivo- scrive De Cecco-pensava con ogni probabilità di potere sistemare stabilmente le opere nel teatro del Falcone, prolungando il permesso che aveva ottenuto dall’allora Sovraintendente ai Monumenti Armando Dillon”, il quale nel frattempo era stato sostituito e un permesso temporaneo non era una garanzia per la nascita del museo in maniera permanente. La città fu fredda nell’accogliere la proposta di Battisti, soprattutto per l’opposizione di Caterina Marcenaro, la direttrice dell’ufficio belle arti del comune di Genova e così il Museo pensato da Battisti troverà casa a Torino, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna.

Ma qual’è l’eredità che Battisti lascia a Genova?

Gordon Matta-Clark, A W-Hole House, Galleriaforma, 24 novembre 1973, collezione privata.

Innanzitutto il cambiamento culturale, una apertura verso il nuovo e il contemporaneo che vede i suoi frutti nelle nuove gallerie, in particolare quelle più sperimentali che non a caso sono influenzate dalla personalità di Germano Celant, allievo di Battisti. Si tratta di Galleriaforma (1972) di Paolo Minetti ed Emilio Rebora e la Samangallery (1974) di Ida Gianelli. Queste due gallerie hanno il merito di portare il meglio dell’arte americana a Genova. Molti artisti americani scelgono l città ligure come prima tappa europea per i loro lavori e le relative mostre. Questo avviene sia nelle prime mostre di Galleriaforma con Record as artwork (opere di Warhol, Dubuffet, Dine, Rosenquist, Rauschenberg, De Maria ed altri) curata da Celant, ma soprattutto con Robert Morris e Gordon Matta-Clark che realizza il suo primo lavoro “legale” e la sua prima mostra europea il 24 novembre 1973. La Samangallery, che inizia la sua attività nel novembre 1974, si differenzia da Galleriaforma per usare gli spazi urbani dove due grandissime artiste Laurie Anderson e Maria Nordman realizzano due significativi lavori. Questo dimostra una certa attitudine di Genova nei confronti dell’arte, sia da parte dei galleristi sia dei collezionisti che si perderà lentamente. Una dimensione sperimentale che si conclude con la nascita del Museo di arte contemporanea Villa Croce nel 1985, nato dopo la stagione eroica delle gallerie d’arte genovesi grazie al progetto politico del centrosinistra e dall’assessore alla cultura, il semiologo Attilio Sartori.

Emanuele Piccardo

14.12.24

La fotografia di copertina ritrae la galleria Il Deposito a Boccadasse, Genova.

Questo testo è stato scritto in occasione della conferenza “Eugenio Battisti sperimentare l’arte tra Genova e Torino” organizzata dall’associazione culturale plug_in e dalla Galleria d’Arte Moderna di Torino per celebrare il centenario dalla nascita di Eugenio Battisti (Torino 14 dicembre 1924-Roma 17 ottobre 1989), a cui hanno partecipato Elena Volpato, conservatore collezioni GAM, Eugenia Battisti, storica dell’arte; Giorgina Bertolino curatrice e storica dell’arte.