Tempi difficili e periodi di transizione possono rivelarsi momenti creativi. E tutti i tempi difficili richiedono scelte coraggiose e impegno intellettuale. La recente pandemia provocata dal Corona virus non solo mette in gioco le nostre vite, ma ci obbliga a modificare le nostre abitudini, oltre che a ripensare la vita pubblica e gli spazi delle nostre città. Quali mezzi abbiamo per affrontare l’emergenza? Come l’architettura può contribuire? Cosa significa questo in termini di pianificazione urbana e territoriale? Se i mezzi per aggredire il problema vanno ritrovati nella tecnologia e nella scienza medica (lavoro a distanza, monitoraggio dei soggetti in quarantena tramite tracciamento gps, condivisione ed elaborazione informatica dei dati statistici, controllo del territorio tramite droni, sperimentazione farmacologica, ricerca medica, ecc.), il contributo dei cittadini è affidato al senso civico nel rispettare le misure temporanee imposte dalle autorità.
La risposta architettonica e urbanistica attiene invece alla ricerca dell’igiene.
A seguito delle epidemie di colera sprigionatesi dal 1830 in poi, radicali cambiamenti si sono succeduti nelle più importanti città europee. In fondo è proprio la storia della città contemporanea che è stata agitata dalla promozione di migliori condizione di igiene pubblica e privata. In aggiunta, la storia stessa dell’architettura moderna è caratterizzata dal tentativo di migliorare gli standard abitativi e igienici. Le origini dell’urbanistica moderna, come ci ha insegnato Leonardo Benevolo nei suoi libri (1), sono drammaticamente segnate dall’emergere di due tendenze, entrambe volte a migliorare le condizioni di vita e di lavoro negli ambienti urbani, evitare il diffondersi delle malattie e limitare l’inquinamento ambientale provocato dai fumi delle fabbriche e dai miasmi fognari. La prima tendenza è quella dei cosiddetti socialisti utopisti (Robert Owen, il conte Henri St. Simon, Étienne Cabet, Charles Fourier, ecc.) che ritenevano di dover ripensare le città da zero, promuovendo nuovi esperimenti comunitari. La seconda è quella rappresentata dagli specialisti e dai funzionari (un esempio su tutti il barone Haussmann, prefetto della Senna) che hanno introdotto leggi, regolamenti e visioni alla base della moderna pianificazione urbanistica.
Il radicalismo delle proposte dei socialisti utopisti risulta ricorrente in quelle degli architetti del moderno, come Le Corbusier, ma assume un significato profondamente agganciato alla contemporaneità nelle visioni urbanistiche elaborate da Ludwig Hilberseimer nel secondo dopoguerra. Hilberseimer si interessa dei principi basilari della pianificazione urbana sin dall’inizio degli anni trenta. Durante il suo periodo di insegnamento presso il Bauhaus a Dessau elabora piani per città verticali, si occupa della questione delle piccole abitazioni e dei giardini, studia i problemi dell’esposizione solare e dei venti prevalenti. Con la presa al potere dei nazisti, Hilberseimer viene rimosso dall’insegnamento. I risultati dei suoi primi studi vengono pubblicati sulla rivista Moderne Bauformen, sfuggendo appena in tempo alla Gleichschaltung, il processo di omogenizzazione della società tedesca messo in atto dal regime nazista. Solo in America, sotto l’ala protettrice di Mies van der Rohe, la ricerca di Hilberseimer trova modo di svilupparsi in forma compiuta. A partire dal 1938, egli insegna pianificazione urbana e territoriale –City and Regional Planning- presso la scuola di architettura dell’Armour Institute (poi Illinois Institute of Technology). Nel 1944 Hilberseimer pubblica il libro The New City. Principles of Planning dove raccoglie una serie di proposte e ricerche sulla storia e l’evoluzione della città moderna. Nell’introduzione al libro Mies sottolinea l’approcio razionale e metodico portato avanti dall’amico tedesco ed evidenzia le finalità dell’analisi: Hilberseimer “sa che le città devono servire la vita, che la loro validità va misurata in termini di vita, e che esse devono essere pianificate per vivere. Egli capisce che le forme delle città sono espressione dei modi di vita esistenti, che sono inestricabilmente legate ad essi, e che entrambi sono soggetti a cambiare” (2)
Ludwig Hilberseimer, Effetto della Bomba H sulla dimensione e sulla distribuzione delle città. Immagine dal libro The Nature of Cities (1955)
Ludwig Hilberseimer, Influenza dei venti sull’inquinamento dell’aria e la forma degli insediamenti (alto). Industrie integrate. Le condizioni del vento necessitano una separazione delle aree residenziali da quelle industriali (basso). Immagini dal libro The Nature of Cities (1955).
Parole profetiche, se comparate con le riflessioni che Hilberseimer affronta nel 1955 nel libro The Nature of Cities, una pubblicazione che, ampliando gli argomenti affrontati 1944, si sofferma sul significato della pianificazione e della concezione delle città nella nuova era atomica e nel quadro inquietante della guerra fredda. Come accaduto per le città sconvolte dalle epidemie di colera durante la metà dell’Ottocento, la risposta viene individuata nel potere dell’igiene. Secondo Hilberseimer se la nuova era dell’elettricità e del veicolo a motore avevano reso possibile l’integrazione di industria e agricoltura, stabilizzando la produzione e il lavoro e preservando le risorse, l’uomo moderno poteva dedicare nuovamente i suoi sforzi “alla vita, verso la vita e per la vita” (3). Nel promuovere questa teoria Hilberseimer prende in prestito le idee di Patrick Geddes, noto pioniere dell’urbanistica moderna: “dal momento che le azioni ostili non sono necessarie, la pace prenderà il posto della guerra. La sfida della pace sarà una positiva e produttiva ricostruzione, prima dell’ambiente dell’uomo e poi della società…per la salute sociale e per quella individuale, l’igiene non deve forse essere una questione essenziale? Il faut cultiver son jardin. Si tratta dell’igiene della Pace” (4). L’attuale crisi del Corona virus ha portato ad affermare che molte cose dovranno cambiare. E oggi, come allora, viene detto che niente sarà più come prima. Hilberseimer suggerisce che gli eventi debbano aiutarci a preparaci per il peggio, mentre continuiamo a sperare per il meglio: “Che cosa significa questa preparazione in termini di pianificazione? Quali mezzi abbiamo per affrontare un’emergenza? Cosa dobbiamo fare per renderci invulnerabili come nazione e al sicuro come individui?” (5).
Per quanto oggi siamo lontani dalle preoccupazioni e conseguenze della bomba H, la risposta trovata da Hilberseimer potrebbe rivelarsi ancora affascinante ed efficace:
“La decentralizzazione, combinata con l’integrazione di industria e agricoltura e con la creazione di regioni capaci di autosostenersi, è la risposta completa al nostro problema. Un piano elaborato pensando di procurare una relativa sicurezza in tempo di guerra, istituirebbe l’impalcatura per una vita più soddisfacente in tempo di pace. Attenuerebbe la distruzione della guerra. Allo stesso tempo, darebbe sollievo alle persone dal distruttivo impatto della nostra era industriale. La vita dell’individuo e della società guadagnerebbe una nuova salute e libertà. This is not vague Utopia” (6).
In fondo, lo stesso Frank Lloyd Wright, nel suo progetto per Broadacre City, pur partendo da presupposti teorici differenti, era arrivato alla medesima conclusione. La decentralizzazione offre il vantaggio di riconnettere l’uomo alla natura e lo salvaguarda dai pericoli dell’inquinamento e dall’anonimato delle masse. Il Corona virus ci dimostra quanto sia stato sciocco e presuntuoso aver concentrato infrastrutture e produzione industriale in aree molto ristrette del nostro paese. La crisi economica dovuta alla pandemia è la conseguenza di una politica economica miope, a cui fanno da corollario inquinamento cronico e spopolamento dei piccoli centri e delle periferie della penisola. Il futuro starà nel saper governare e pianificare i processi di decentralizzazione del territorio.
27.3.20
Note
(1) In particolare cfr. Leonardo Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari, 1963
(2)Ludwig Mies van der Rohe, Introduction, in Ludwig Hilberseimer, The New City. Principles of Planning, Paul Theobald, Chicago, 1944, p. XV Le traduzioni dall’inglese all’italiano dei passi citati in questo articolo sono ad opera dell’autore.
(3)Ludwig Hilberseimer, The Nature of Cities. Origin, Growth, and Decline. Pattern and Form. Planning Problems, Paul Theobald & Co, Chicago, 1955, p. 280
(4) Hilberseimer estrapola le parole di Geddes dal libro di Philip Boardman, Patrick Geddes: Maker of the Future, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1944
(5) Ludwig Hilberseimer, The Nature of Cities. Origin, Growth, and Decline. Pattern and Form. Planning Problems, Paul Theobald & Co, Chicago, 1955, p. 280
(6) Ibid. p. 280-281
Immagine di copertina: Ludwig Hilberseimer, Washington decentralized. Immagine dal libro The Nature of Cities (1955)