Caterina Iaquinta_L’io-pelle delle cose

Penone
Scultura di linfa (2006)

Fino al 25 Marzo 2008 sono in mostra all’Accademia di Francia - Villa Medici, a cura di Richard Peduzzi, le opere di Giuseppe Penone. I lavori, alcuni dei quali appositamente concepiti per gli spazi dell’Accademia, si snodano all’interno di un percorso espositivo che va dalla Cisterna romana all’ambiente dello scalone principale, dalle Gallerie all’Atelier del Bosco e infine ai Giardini.
Le opere, realizzate negli ultimi due decenni, sono accostate senza seguire alcuna regola cronologica, le più recenti sono presentate a Villa Medici per la prima volta.
Come articolare un percorso di mostra tra i lavori di Penone? A partire dalla disposizione delle sale, dalle materie impiegate (bronzo, cristallo, grafite, marmo), dalla molteplicità di gesti e segni compiuti dall’artista e presenti come tracce nelle opere (soffi, respiri, sguardi, idee, impronte) o dalle sostanze naturali di cui le opere si compongono (pietre, foglie, piante, resina)?
Prendiamo in esame un percorso che conduce dal dentro al fuori della materia, tra corpo e natura, tra pelle e nucleo, lascia leggere le opere come elementi che, di volta in volta, si fondono uno nell’altro o che si ricompongono in una unica, articolata in più parti. Operazione, questa, possibile perchè non c’è separazione tra un’opera e l’altra, le sculture, seppur totalmente indipendenti tra loro, mutano e amplificano il proprio significato in relazione a ciò che le segue o le precede.

Penone
Idee di pietre (2004-2007)

Tra le sculture che sono collocate nei Giardini e nell’Atelier del bosco, due sembrano essere posizionate per essere lette in sequenza: Idee di pietre (2004-2007), un grande calco in bronzo di un albero nelle cui ramificazioni sono inserite delle pietre di fiume, come pensieri sollevati da terra dalla forza d’immaginazione, campeggia maestosamente nello spazio aperto, mentre in una piccola stanza, dal lato opposto, le fa da contrappunto Pietra di foglie (2006). Questa è una grande pietra leggermente sollevata da terra, piena di increspature e avvallamenti come la superficie di un organismo. Nelle sue cavità Penone ha fatto “scorrere” alcune foglie di alloro lasciando che altre vi si spargessero attorno. Solo dopo essere stati inondati dal forte profumo si è portati di nuovo a guardar fuori, verso il giardino, dove campeggia il grande albero: uno di quei massi sospesi fra i rami sembra caduto a terra, preceduto dalle foglie.

Penone
Pelle di foglie (2003-2005)

La foglia è per Penone un organismo vitale, paesaggio dalle infinite combinazioni, è una “pelle” su cui è scritta la storia della pianta, è la sua ultima propagazione verso la luce. Pelle di foglie (2003-2005), nell’ambiente dello scalone principale, è un’opera composta da nove elementi, ognuno di questi è composto da calchi in bronzo ottenuti da stampi di foglie e rami, successivamente assemblati tra loro attraverso una saldatura.
Ognuno di questi elementi, “pelle di foglie” appunto, riporta nel titolo una specifica, ad esempio “sguardo a terra”, “respiro”, “mano a terra”… I rami, oltre a costituire la struttura portante di questi “esseri filiformi”, sono saldati insieme alle foglie in modo da ricomporre lo spazio in cui si svolge una funzione vitale che abita il nostro corpo: polmoni, bocche, occhi, mani, prendono forma come riproduzioni delle funzioni biologiche umane (quindi respiri, sguardi, gesti…) e insieme estensioni sensoriali degli alberi. Da questa struttura-scultura la sostanza delle foglie è ancora osservata con La natura delle foglie (1990).

Penone
La natura delle foglie (1990)

Penone qui si avvicina all’intimo, guarda al microscopio l’essenza delle foglie la compara stavolta giustapponendola, o meglio, sovrapponendola ad un nuovo elemento. Questo lavoro è composto da lastre di vetro su cui sono riportate due immagini poste una sull’altra: una foglia di volta in volta diversa (pioppo, nocciolo, gelso nero, quercia, frassino, olmo, vite) ed una delle quattro parti di cui si compone un cervello. Per realizzarlo Penone è partito da un’intuizione: la cecità tattile che ci impedisce di percepire il contatto del nostro cervello con la parte interna del cranio. Per prenderne coscienza bisogna toccarla con mano e sublimarne le lievi variazioni, solo così forse saremo nella giusta prospettiva per rispondere a questa domanda: “Una scultura può avere il compito di toccare il pensiero?”.

Attraverso una sorta di frottage (la parte interna dello scheletro di un cranio è stata cosparsa di polvere di carbone, poi con un nastro adesivo sono state rilevate le tracce dei residui superficiali poi incollate sulla lastra di vetro) l’interno della calotta cranica si è fatto bidimensionale, diventando percepibile se non al tatto, alla vista. Per ognuna delle quattro parti della calotta cranica viene associata l’impronta di una foglia ottenuta attraverso lo stesso procedimento utilizzato nell’operazione precedente ma aggiungendovi i colori: blu, nero, marrone e rosso. L’accostamento dei due elementi (foglia e cervello) suggerisce la continuità tra la trama composta dalle vene, dai condotti del cervello e i “paesaggi” della superficie delle foglie che inducono a immaginare la superficie terrestre.
La “pelle delle cose”, lo strato più esposto della materia, il guscio, è, secondo Penone, la via attraverso cui noi conosciamo ed esperiamo il mondo, ad ogni tocco riceviamo e lasciamo una traccia nella memoria e nel corpo delle due parti che hanno attivato il contatto: “…lo spazio destinato alla scultura-afferma Penone- è uno strato di cera tra la mano e la superficie” (cit. catalogo della mostra Villa Medici, pag. 34).

Penone
Pelle di marmo (2004)

Dunque dalle foglie alla pelle delle cose.
Nell’Atelier del bosco è collocata Pelle di marmo (2004) composta da sedici lastre di marmo di Carrara (lo stesso utilizzato nella statuaria), lavorate su uno solo dei lati. Scavando intorno alle venature, la materia del marmo è mutata, è diventata panno, acqua. Mentre nei tre grandi blocchi di marmo accostati che definiscono l’opera Anatomia 6 (1994-2000) la profonda levigatura della superficie ha fatto emergere profonde venature e per uno dei canali formatosi zampilla un piccolo rivolo d’acqua, come se quel canale marmoreo fosse una vena o un’arteria scoperta in cui si vede scorrere il flusso vitale di un organo.

Penone
Anatomia 6 (1994-2000)

Con Riflesso del bronzo (2005), un’opera che si compone di sei lastre di bronzo disposte nello stesso ordine in cui sono state realizzate, Penone mette in scena la tecnica manuale e il comportamento del materiale utilizzato. L’artista ha realizzato il calco di una superficie di bronzo, da lui stesso perfettamente lucidata, e da questa ne ha ottenuto cinque lastre ciascuna copia della precedente, senza però intervenire sul risultato al fine di omologarle. Si hanno così sei elementi su cui, a partire dal primo, si aggiungono in successione piccole modifiche, deformazioni e tracce di un’operazione precedente. Ecco di nuovo l’attenzione per le superfici come attivatori tattili, come sintesi e prodotti di una materia che resta nascosta, passando dal vegetale alla pietra, al metallo e di nuovo al vegetale: la corteccia.

Penone
Lo spazio della scultura (Pelle di cedro, 2000)

Nell’opera Lo spazio della scultura (Pelle di cedro, 2000), Penone ribalta le dimensioni e altera le proporzioni. Calchi in bronzo delle porzioni della corteccia di un cedro centenario, riempiono tutta la superficie del pavimento a disposizione della Cisterna romana. Uno degli elementi che compongono l’installazione è sollevato da terra su una struttura di rami in bronzo. Si tratta della pelle di un animale che per proporzioni e colore assomiglia ad uno dei calchi, bagnata e fatta aderire al tronco, è servita per realizzare gli stessi in bronzo e poi ribattuta ha assunto le fattezze della corteccia. Giunti quasi al termine di questo percorso, dopo aver esplorato la pelle delle cose, dopo aver letto tra l’incunearsi delle sue pieghe con pochi gesti essenziali Penone ci riporta dentro la materia dentro il calore e l’essenza di qualcosa che ancora continua pulsare.
Ancora pochi passi e il cerchio si chiude a partire da Propagazione dello sguardo (1997) e Un anno di bronzo (2006).

Penone
Propagazione dello sguardo (1997)

Nella prima un tronco realizzato in cristallo è steso su una fila di piante di leccio come “vettore” luminoso che s’irradia all’altezza dello sguardo, immerso nelle piante verdi; nella seconda opera l’artista “ha scavato la superficie di una tavola di larice seguendo il tracciato di un anello di crescita dell’albero e vi ha innestato una corteccia di bronzo della stessa dimensione che la pianta aveva all’epoca in cui si è formato l’anello della crescita”.
Ne L’impronta del disegno: mano destra, dito medio (2002-03) l’artista ha continuato a tracciare il contorno della sua impronta dilatandola sempre più fino a ricoprire la superficie intera del supporto; nello stesso modo in cui dal nucleo si sviluppano gli anelli della crescita dell’albero. Nella Scultura di linfa (2006) una tavola ricavata da un larice centenario è stata cosparsa di resina.
L’impronta di un dito diventa il cuore dell’albero e la resina sangue, fluido che, come da una ferita, fuoriesce dalla materia legnosa per tornare ad essere pelle.

L’opera di Penone, fin dagli esordi nell’ambito dell’Arte Povera, si snoda attraverso una serie di interventi su e con la natura, sfruttando l’energia e il movimento della crescita degli alberi, sperimenta, osserva e scopre le impronte di sè, utilizzando pietre, foglie, resina e creta. Ciò fa debordare se stesso oltre i confini del suo corpo, superando i limiti del suo io-pelle alla ricerca dei luoghi che il nostro stesso corpo ci nasconde o contro cui si scontra. “Svolge la propria pelle” e la pelle delle cose e l’attraversa. “L’ Io –pelle è come una membrana- afferma Didier Anzieu in Io–pelle (Borla,1987)-che protegge lo spazio psichico in una doppia funzione: quella interna protegge l’Io dalla tensione e la pulsione presente all’interno del Sè, e quella esterna serve a proteggere il Sè dagli stimoli provenienti dall’ambiente. La pelle è infatti la superficie stessa del corpo, ciò che lo avvolge. La pelle, così intesa è un’interfaccia tra esterno e interno, un punto di confine e di passaggio. Funziona come una barriera ma anche come un involucro contenitore. Attraverso la pelle, il nostro corpo comunica con il mondo, e al tempo stesso difende il corpo-interno dalle intrusioni. E’ un confine protettivo che ci separa e insieme ci unisce al mondo”.

Attraverso il tatto e la pelle sua e delle cose, Penone cerca l’estensione dei sensi e li amplifica attraverso le materie e le sostanze. Penone interroga le impronte digitali, le trasforma ne altera la superficie. “Toccare” si risolve nell’assenza di quel contatto ma con la presenza di un’impronta su una superficie. Infondendo una mutazione a tale presenza (traccia di un’assenza) questa si converte in un paesaggio straniero (Palpebre,1978; Spoglia d’oro su spine d’acacia(bocca), 2000-2001) e diventa il medium per conoscere ciò che ci avvolge ma di cui non abbiamo cognizione fino a farci immaginare oltre i confini del corpo.
Dunque la scultura è l’arte di Penone, intesa come il gesto e l’esercizio che fissa ogni sequenza delle tracce nella memoria dello spazio della natura. La forte unità con la natura come elemento determinante dell’opera, radica il cosmo al corpo facendo diventare quest’ultimo una vera e propria unità di misura in rapporto ai meccanismi sottesi ad ogni manifestazione naturale.
Da quando impresse le estremità del suo corpo (testa piedi mani) contro le pareti interne di un bacino e lasciò che l’acqua vi fluisse all’interno, o abbracciando un albero nei boschi vicini a Garessio segnò con i chiodi la sua sagoma per fissarne la memoria del gesto nella pianta (Alpi Marittime 1969). E ancora quando impresse la sua mano sull’albero (Continuerà a crescere tranne che in quel punto, 1968) o soffiò nella creta (Soffio 1979) o sulle foglie (1979-1997), le sue opere continuano a vivere in aderenza perfetta tra l’uomo e gli elementi dell’universo, sottolineando la lentezza dei processi naturali e artistici ma, nello stesso tempo, dimostrando come la qualità plastica, duttile, mutevole, ma non effimera di legni, foglie, e bronzo, si comporta.

L’arte di Penone è un divenire, è un continuum in equilibrio perfetto tra uomo e natura, è la proiezione della sostanza di cui siamo fatti, osservata, capovolta e rilevata seguendo le tracce in una dattilografia del mutamento, sottratta alla scienza e restituita alla percezione umana. La grandezza delle sue opere si trova in un qualcosa che in esse non è mai rappresentato per quel che è ma che è sempre presente come misura di tutte le cose: il corpo, il corpo dell’artista, il corpo di chi osserva, quello attraverso cui percepiamo. Quel corpo che, per dirla con Merleau-Ponty, in quanto mediatore della relazione tra io e mondo, nello stesso tempo fa parte del mondo ed è punto di vista con cui si percepiscono le cose, prima della costituzione delle categorie e dei concetti.

[Caterina Iaquinta]

“Vivibile e mobile, il mio corpo è annoverabile tra le cose, è una di esse, è preso nel tessuto del mondo e la sua coesione è quella di una cosa. Ma poiché vede e si muove, tiene le cose in cerchio attorno a se, le cose sono un annesso un suo prolungamento, sono incrostate nella sua carne, fanno parte della sua piena definizione e il mondo è fatto della medesima stoffa del corpo”.

Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito