Andrea Costa_C’era una volta l’Emilia rossa
In seguito alla nascita del Partito Democratico gran parte delle sezioni locali dell’ex P.C.I., quelle che un tempo si chiamavano “case del popolo” sono state messe vendita.
Parlare oggi di case del popolo fa venire in mente consumate foto in bianco e nero oppure i personaggi dei racconti di Giovanni Guareschi. In alcuni casi però, questi spazi sono stati anche luoghi di sperimentazione artistica, punti di incontro tra architettura, pittura, scultura, che servivano a trasmettere un messaggio politico e a condensare la memoria della vicina lotta di Liberazione. Documenti del novecento, che ormai hanno assunto un significato che va al di là della loro origine politica, e come tali dovrebbero essere tutelati e valorizzati, invece di essere frettolosamente dismessi. Piccole storie forse rispetto ai ‘grandi episodi’ romani e milanesi, ma forse proprio per questo ancora più importanti, perché ci permettono di allargare le geografie consolidate della storiografia del dopoguerra, conoscendo opere e autori poco noti.
Come la Casa del Popolo ‘Rinascita’ di San Vito di Spilamberto, vicino Modena, del 1948-49, che insieme alla vicina e quasi coeva Casa ‘Antonio Gramsci’ di Vignola (1950), rappresenta bene questa forma di arte impegnata.
Comune denominatore sono i progettisti: l’ingegnere Alberto Mario Pucci, personalità di primo piano del P.C.I. modenese, ma anche protagonista insieme a Piero Bottoni della scena architettonica milanese degli anni trenta sul fronte della promozione del linguaggio razionalista; e l’architetto Vinicio Vecchi, suo allievo e autore di alcuni degli edifici più importanti del dopoguerra a Modena.
Diversi sono invece gli artisti che si affiancarono nella realizzazione delle opere: a San Vito è uno scultore, Veldo Vecchi (fratello di Vinicio) a realizzare un grande altorilievo di 6,30×2,70 m sulla facciata principale. A Vignola è un pittore, già piuttosto conosciuto allora, Aldo Borgonzoni, a dipingere nella sala interna una parete di 20×4 m.
La Casa di Vignola è stata purtroppo trasformata in maniera irreversibile pochi anni fa e, già nel 1958, erano state distrutte le pitture di Borgonzoni.
Oggi rimane quindi solo la Casa ‘Rinascita’ a testimoniare un forte legame tra architettura e arti visive, in funzione di un messaggio politico ma che, nel corso del tempo, ha assunto una chiara valenza civica.
‘Rinascita’ venne inaugurata il 14 agosto del 1949. Il nome dell’edificio, nato come sede politica e ricreativa del P.C.I. (oggi ospita un Circolo ARCI e la sezione locale dei D.S.), rievoca una cooperativa di consumo fondata nel 1904 e distrutta da una squadra fascista nel 1921. L’idea di ricostruire questo luogo venne decisa nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione. La ricostruzione dell’edificio assunse un valore simbolico, quasi un risarcimento della memoria di quella prima esperienza socialista. Anche la scelta del terreno, che si trova esattamente di fronte a quella che era stata la sede della cooperativa, è legata a questa volontà di riprendere una storia interrotta.
La costruzione dell’edificio fu il risultato di una grande mobilitazione collettiva. “Tutti, uomini e donne, anziani e giovani, sottoscrivono il prestito necessario per acquistare i materiali. Ciascuno in ragione delle proprie disponibilità economiche, ma tutti con la medesima convinzione di stare realizzando un’opera importante per la comunità di San Vito (…) resa possibile da una partecipazione popolare corale” (da: S. Magagnoli, L’isola dei ribelli, Centro di documentazione storica “Francesco Borghi”, DS Spilamberto-San Vito 2003, pp.78-79)
Nelle parole di Vinicio Vecchi, il risultato è un edificio “semplice, elementare, fatto di pochi pannelli che riescono a determinare un volume…”, un prisma a base rettangolare di 10,45×26,80 m, per un’altezza di 8 m.
Il disegno della facciata principale rivela un sapiente controllo delle proporzioni, al quale fa da contrappunto il grande altorilievo, “realizzato in due giorni, di notte, con una tecnica originale e difficile, quasi impossibile: una lavorazione fatta direttamente col cemento. E’ come un affresco in rilievo” (da: L. Montedoro -a cura di- La città razionalista. Modelli e frammenti. Urbanistica e architettura a Modena 1931-1965, RFM Panini, Modena 2004, pp. 107-113).
Si tratta di un gruppo scultoreo che rappresenta l’utopia di una nuova società, fondata sulla guerra di Liberazione. L’altorilievo è diviso in due parti. In basso la raffigurazione della lotta partigiana; in alto un corteo che si incammina verso la Vittoria mostrando la nuova alleanza sociale su cui intende fondarsi il P.C.I., quella tra gli operai (a guidare la fila), i contadini e gli intellettuali.
A coronamento dell’ingresso, una grande scritta ‘Rinascita’ tinteggiata di rosso è incisa sull’intonaco strollato, con una calligrafia di grande raffinatezza, più vicina al liberty che al linguaggio razionalista.
Più ‘ortodossa’ è la composizione degli altri prospetti dell’edificio, oggi parzialmente nascosti dalle addizioni realizzate dopo il 1949, con l’uso di sottili finestre a nastro in vetrocemento e di altre aperture posizionate nel rispetto dell’asimmetria modernista.
L’interno conteneva gli uffici della locale sezione del P.C.I., ma soprattutto una grande sala, destinata sia alle attività politiche, sia a quelle ricreative.
Nell’insieme si tratta di un edificio di grande sobrietà compositiva, dovuta all’uso di materiali di recupero e alla scelta di tecniche costruttive adatte anche a mani inesperte. Nonostante questo i progettisti non hanno rinunciato a sperimentare una contaminazione tra architettura e scultura, che costituisce uno degli aspetti di maggiore originalità dell’opera.
Tutti questi elementi concorrono a fare di ‘Rinascita’ un monumento della storia del secondo novecento per la zona di Modena, Spilamberto, Vignola, una delle ultime testimonianze rimaste di quella che veniva definita “Emilia rossa”.
Fotografia attuale della Casa del Popolo
In questi mesi anche ‘Rinascita’ è stata messa in vendita dai D.S. e il suo destino è a rischio per la realizzazione di un intervento residenziale, all’interno del quale è previsto un nuovo centro civico ignorando, per ora, la possibilità di salvaguardare e riutilizzare la Casa del Popolo.