Patrizia Ferri_Io arte noi città

Pubblichiamo l’intervento di Patrizia Ferri curatrice insieme a Daniela Fonti e Manuela Crescentini del convegno “IO ARTE NOI CITTA”.
Promosso dall’Accademia di Belle Arti di Roma in collaborazione con il Master per curatori della Facoltà di Architettura Valle Giulia di Roma, l’Archivio Crispolti, l’Ordine Architetti di Roma e Provincia, la Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte dell’Università degli studi di Siena e il MACRO di Roma.
Con il Patrocinio del Comune di Roma, dell’Assessorato alle Politiche culturali, dell’Assessorato all’Urbanistica e dell’Assessorato alle Politiche Ambientali ed Agricole.

Il tema Arte/architettura e città, torna oggi decisamente in primo piano al centro di una straordinaria attenzione: negli ultimi tempi emerge la visione sinergica di una metropoli sempre più diffusa, non più circoscrivibile nei limiti posti un tempo dal progetto moderno, una metropoli extraterritoriale come confluenza spaziale di linguaggi dove si transita e ci si espone e dove la sperimentazione dei linguaggi si intreccia con la critica alle forme storiche dei poteri stabilizzati. La città come il non-luogo della continua ricerca e perdita della propria soggettività, dove i modelli espressivi giovanili, le nuove forme del politico, come forme culturali, subculturali, controculturali e interculturali si moltiplicano in identità plurali.Lo spazio urbano come luogo comune e sede non solo di funzioni, ma anche di emozioni metafora dell’abitare e della coesistenza, delle diverse possibilità di accesso agli spazi del quotidiano, ma anche emblema del caos, dell’annullamento e del panico.
La metropoli contemporanea richiede sempre più azioni propositive che escano dalla definizione di mero arredo urbano per riempire aree degradate o decorare edifici o piazze e si caratterizzino in termini innovativi di integrazione e dialettica urbana interdisciplinare tra artista e architetto, figure impegnate oggi come non mai in uno stimolante confronto con l’ambiente urbano.

Gli artisti nella fattispecie agiscono sia con interventi a carattere costruttivo permanente o provvisorio che come sperimentazione decostruttiva di microluoghi relazionali in progetti d’intervento critico e interazione sociale a carattere aleatorio e transitorio, che fungono spesso da evidenziatori di sistemi e derive, o da attivatori di procedimenti sul vissuto e di valorizzazione di relazioni fra persone. Eventi centrali o marginali come snodi e crocevia della percezione, in fondo due facce di una stessa medaglia, cosa li accumuna e cosa li differenzia nel progettare il mondo, in una realtà come punto di intersezione tra specifiche dinamiche individuali e collettive: cosa si propaga imponderabilmente dalla forma al suo crescere e fondersi nell’ambiente e cosa resta dell’imponderabile riflesso trasversale dell’occupazione urbana e sopratutto cosa si è modificato all’interno di una prospettiva storica che dagli anni ‘60 torna da qualche tempo,dopo il riflusso degli anni ‘80, a concepire l’opera come spazio di vita, a vedere l’arte non come prodotto ma in quanto processo, elaborando sviluppi e trasformazioni a ridosso dei reali condizionamenti delle preesistenze in senso ampio, nella configurazione di una realtà che dovrebbe non solo accogliere, ma determinare la qualità del vissuto quotidiano, a ridosso di un’analisi consapevole dei meccanismi che la presiedono riattivando la produzione di un immaginario culturale anestetizzato.

Le operazioni recenti su scala urbana e di carattere pubblico si pronunciano spesso anche su temi urgenti e cruciali che coinvolgono la collettività, làdove l’idea politica lascia spesso spazio all’ attitudine al racconto di tante storie personali, esprimendo una consapevolezza più centrata nei valori soggettivi che però non significa solipsismo, anzi. Oggi, nel post-fordismo, dopo la crisi dei vari sistemi pianificati e collettivi, dopo la cultura dell’individuo c’è la necessità di un sociale spiegato a partire dalla persona come interfaccia del rapporto dialogico con l’altro, gli altri imprescindibile accesso alla libertà.
Se le quantità sono un dato di fatto che deve essere discusso come dice Massimo Cacciari, l’essere travolti dall’accellerazione di questo processo e la constatazione di esserne superati, replica Vittorio Gregotti, “ci fa sembrare anche la semplice presa di coscienza dello stato delle cose un obiettivo: persino un obiettivo estetico. Ma forse un mondo molteplice, mobile, senza limite non è il mondo della libertà ma solo il mondo dell’assenza di progetto la nozione di modificazione necessaria e quella di progetto come dialogo è da molti anni collocata accanto a quella di nuovo come valore: pertanto non è liquidabile solo come riformista, è il fondamento di un nuovo realismo critico, l’opposto cioè del relativismo empirista (e un pò cinico) con cui oggi si trasforma la constatazione in valore”.

Se è vero come è vero che l’arte oggi torna a scendere in piazza, nello spazio della vita vera, gli autori sono chiamati in causa a svolgere il loro ruolo formativo di elaboratori di senso e a fare un passo indietro, a scendere dal piedistallo dell’automitografia e rimposessarsi della capacità di solcare il sistema artistico ormai obsoloscente, di dissentire da esso, sottraendosi ad esercizi di stile intellettualistici e separati per aprire uno sguardo focalizzato su una ricerca etica a partire dalla nuova percezione dell’urbano e dalla risposta pubblica, pronunciandosi su questioni di ampio respiro che coinvolgono la sfera collettiva, con tutti gli interrogativi del caso che riguardano la rispondenza effettiva che la loro operazione ha rispetto alla fruizione, all’incidenza sulla gente, sui suoi umori, sulle emozioni, i disagi, le aspettative… su quali siano le condizioni e le consuetudini da ribaltare per non rischiare di trasferire tout court in ambito pubblico, linguaggi e logiche specialistiche che risultano oscure per il grosso pubblico, riconsiderando così il ruolo fondamentale che spetta al cittadino nello sviluppo e nella costruzione del territorio urbano per rompere la concatenazione di causalità della normalità di tutti i giorni. Un qualcosa simile, anche per certi aspetti, a un’educazione sentimentale di un passante non più solo distratto passeggero di cui parla Benjamin molto prima dei Situazionisti perchè in fondo ogni cittadino è senza saperlo e senza volerlo un architetto e un urbanista spontaneo e inconsapevole.

L’arte e l’architettura si inseriscono nella realtà producendone un’interpretazione e una critica: il generale processo di estetizzazione significa che l’arte può essere dappertutto ma senza abdicare all’interpretazione e alla critica della realtà con la quale si connette e alla sua azione propositiva e politica che deriva appunto etimologicamente da “polis”. Il cambiamento allora si produce a partire da piccoli spostamenti di attenzione che mettano in discussione il senso consolidato dei propri processi costitutivi senza negarne i principi di base, riattivandone la visione futura e la speranza rispetto a mutate condizioni.
“Il connubio arte-città ha come base la comune interpretazione dell’attività artistica non più come distaccata contemplazione, ma come strumento di indagine e trasformazione della realtà ambientale scriveva Filiberto Menna ne “La profezia di una società estetica”: dagli anni delle neoavanguardie arte e architettura affrontano un sostanziale cambiamento che vede l’artista sempre più svincolato dai circuiti tradizionali, come autore e protagonista di formulazioni spaziali in contesti eterogenei e l’architetto, che si interroga sul rapporto tra caratteristiche di stabilità e rappresentatività della disciplina e le dinamiche del contesto della città, fisica o virtuale, entrambi a riflettere sul posto che occupa l’arte in una realtà sempre più complessa. “Oggi il nostro modo di costruire una geografia mentale dello spazio urbano è totalmente cambiato. Questa è la cosa più interessante e politica dell’arte contemporanea; ed è politica nella misura in cui è inaspettata” dice Stefano Boeri.

Il processo di ridefinizione della realtà post-metropolitana, non solo come arcipelago di sopravvivenza, anche grazie ai nuovi movimenti sociali è solo all’inizio e senza voler delegare in toto all’arte o all’architettura la soluzione dei problemi, vede l’artista e l’architetto, pure nel riconoscimento delle reciproche identità, uniti in uno stimolante confronto con l’ambiente urbano. Confronto che tiene anche naturalmente conto del difficile rapporto con la committenza e di un auspicabile collaborazione con gli enti locali, e che li vede più che come artefici di un nuovo mondo coscienti dei limiti nella frammentazione e instabilità del tutto, come cittadini che si preoccupano del contesto in cui vivono per cui la contemporaneità più che un’aspirazione intellettuale è uno stato di fatto: e tutto questo non solo per una vita più bella, ma sopratutto per una vita diversa. Traendo ispirazione dalle dinamiche sociali di creatività collettiva depurate da retaggi demagogici e ideologici, così come da attivazioni di connessioni operative tra radice artigiana e evoluzione tecnologica e svolgendo il loro ruolo di elaboratori di senso attraverso l’adattamento culturale delle forme spaziali, artisti e architetti focalizzano sempre più la loro attenzione su uno dei territori più fertili della sperimentazione: l’interazione, lo scambio comunicativo, la partecipazione alla definizione dell’evento creativo nelle sue molteplici diversità strutturali e poetiche. E’ loro appannaggio quella capacità ormai acquisita di trasformare il luogo o il non-luogo in parte operativa e inscindibile del lavoro stesso nella ricerca di soluzioni che privilegino i processi di trasformazione urbana: una vera e propria rivoluzione socio-spaziale attraverso una condizione comune costruita attraverso vari punti di vista, tutti indirizzati verso una prospettiva di pacificazione dei conflitti a salvaguardia della vita individuale e collettiva in senso ampio. Ma anche più semplicemente un’ occasione di ricerca, uno stimolo che si accende trasversalmente per tentare altri itinerari. In un momento, questo, in cui si ha la sensazione di trovarsi a un incrocio di strade che, con tutte le attenzioni e le regole del caso, è un posto decisamente interessante dove stare, col pensiero rivolto a una città vista e voluta più non come trincea e luogo di scontro, ma come nuova possibilità di relazione: ri-conoscendosi e ri-trovandosi, per poi eventualmente, perdersi ancora.

Patrizia Ferri

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