Diego Caramma_Paesaggio paradigma dell’architettura
studio.eu, parco Amici di Pinocchio a Collegno
Anche se sembra ormai un dato acquisito, considerare il paesaggio come nuovo paradigma dell’architettura è un risultato raggiunto dopo decenni di ostracismo critico nei confronti di chi, già dal 1962, e cioè esattamente 40 anni fa, ne anticipava la necessità propugnando un impegno creativo a livello territoriale. Bruno Zevi non era né un profeta, né un Maestro, etichette che rifiutava in modo deciso e categorico. Era semmai un uomo che sentiva le pulsazioni del mondo e ne registrava, anticipandoli, gli eventi che secondo lui si sarebbero manifestati nel tempo. Il saggio “La nuova dimensione paesaggistica”, pubblicato nell’einaudiano volume “Pretesti di critica architettonica” del 1983, si basa sulla relazione al Congresso dell’International Federation of Landscape Architects di Haifa, del 1962.
È una premessa, questa, dalla quale si intende iniziare per proporre alcune considerazioni a partire dai lavori e dalle ricerche presentate nell’ambito di 14_02.
Nel saggio “La nuova dimensione paesaggistica” si possono rilevare alcune considerazioni fondamentali, in seguito riprese e sviluppate nella Carta del Machu Picchu del 1973 e nel discorso inaugurale del convegno di Modena del 1997, “Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura”. Anzitutto la consapevolezza che gli strumenti offerti dal tradizionale piano regolatore risultavano anacronistici anche alla luce di una realtà in cui il tessuto non era più chiaramente articolato tra città e campagna, ma soprattutto in ragione di ciò che le moderne tecnologie avrebbero prodotto come logica, inevitabile conseguenza: e cioè un nuovo rapporto tra “dentro” e “fuori”, un fenomeno che avrebbe condotto alla deformazione e smaterializzazione dei confini, fino al limite del loro annullamento. “Ad un tessuto continuo deve far eco un’architettura aperta, intrecciata alle attrezzature e ai servizi comunitari, in cui il dentro e il fuori, gli spazi interni ed esterni dialoghino tra loro. Se la città diventa territorio, il fabbricato tradizionale deve trasformarsi in un brano di città…”.
Boeristudio, Concorso parco Forlanini
E nel paragrafo “La tecnologia” della Carta del Machu Picchu si legge: “oggi lo sviluppo scientifico e tecnologico e le comunicazioni tra i popoli consentono il miglioramento delle condizioni locali ed offrono maggiori possibilità di risolvere i problemi urbani e edilizi”.
È quello che gli architetti, oggi, soprattutto tra i più giovani, iniziano a fare. La cui ricerca è vertebrata dalla componente paesaggistica. Ciò scaturisce, oltre che da un generale interesse per la progettazione di spazi che superano la logica dell’opposizione interno-esterno per lavorare invece sul loro rapporto dualistico, anche dal nuovo rapporto tra corpo-edificio-ambiente che può essere ricercato e indagato con le possibilità offerte dalle moderne tecnologie.
Se il problema è quello di lavorare su un nuovo paradigma, su un’architettura che diventi paesaggio - non nel senso di adattarsi o trasformarsi essa stessa in natura, ma di incidere sulla natura in modo nuovo, per reinventare l’ambiente, quindi lontana dalle teorie ecologiste e ambientaliste - bisogna incrociare i percorsi che questo approccio traccia all’orizzonte con la caparbietà di chi vuole sperimentare e agire e con la volontà di emanciparsi da falsi atteggiamenti naturalistici in grado di condurre unicamente a vicoli ciechi. Guardare alle ricerche promosse nelle altre discipline è un modo, fino a questo momento ancora poco seguito, per lavorare sulle ragioni profonde, sul senso dell’architettura.
HOV, Progetto per Pentedattilo
Tra gli architetti invitati a 14_02 c’è chi sta maturando o ha già maturato questa consapevolezza. In particolar modo Boeri studio e Tstudio, Ricci&Spaini, HOV e, in misura minore, Studio EU e Altro_Studio.
In modi diversi, sembra abbiano capito che la pianificazione bidimensionale a grande scala va respinta per promuovere quella tridimensionale, che articola lo spazio integrandolo a vari livelli, stabilendo un dialogo tra manufatto architettonico e paesaggio. Mediando tra chi vede il paesaggio in termini passatisti (come certo ecologismo) e chi non lo vede affatto; e tentando di agire all’interno dei processi produttivi.
Ricci e Spaini, progetto per le stazioni ferroviarie di Patti e Rometta in Sicilia
Torniamo per un attimo agli anni ‘60. È il momento in cui gli artisti hanno come obiettivi il superamento della fissità del quadro, il coinvolgimento dello spettatore nella costruzione dell’immagine, la progettazione di un ambiente interattivo, per realizzare un vero paesaggio urbano, dinamico, in continua trasformazione, costruito con materiali raccolti in strada di cui si evocano persino i suoni. E dicendo questo pensiamo in modo particolare a Rauschenberg. È sufficiente ciò per trasporlo alla scala dell’architettura? Ad una condizione: che il tutto non si riduca ad un tema di lavoro, ma ad una nuova, autentica consapevolezza. Il problema non è proporre un’architettura che si adatti e rispetti la natura, che sia solo “ecologica”, oppure “intelligente”. Tutto questo va benissimo, ma non basta. Quello che serve è un nuovo modo di relazionare architettura, natura e territorio. Sembra quasi scontato: allo stesso modo in cui occuparsi di architettura eco-compatibile non riguarda soltanto il tipo di impianto con cui vengono attrezzati gli edifici, lavorare sul rapporto tra corpo e spazio è un impegno che non si esaurisce nel dotare gli organismi edilizi di sistemi di reti telematiche o impianti intelligenti. È vero che le funzioni di alcuni luoghi si stanno modificando con l’uso delle reti. Ma con gli strumenti a disposizione, possiamo e dobbiamo davvero andare oltre per stabilire un nuovo rapporto tra uomo, edificio e ambiente naturale.
T studio, concorso per la sede dell’ASI
L’informatica ci può aiutare? Certamente, e non solo dal lato progettuale, non fosse altro per il fatto che sono proprio le moderne tecnologie che stanno creando quel “nuovo tipo di natura” cui si riferisce Toyo Ito. Ma anche perché ci fanno capire che il linguaggio diventa un problema secondario. Siamo infatti in un’età in cui l’architettura deve necessariamente ridefinirsi, ma a partire da una nuova consapevolezza. Ci troviamo di fronte al continuo moltiplicarsi di reti per lo scambio e la distribuzione sul territorio di flussi di informazione, merci, persone, energie. Si tratta di un processo inarrestabile, che tuttavia ci offre gli strumenti per concepire l’architettura come organismo in grado di espandersi e vibrare nell’ambiente, azionato dai cicli della biosfera e dalle energie rinnovabili. Organismi in grado di fondersi e integrarsi con altre funzioni urbane, configurandosi in organismi più complessi, reintegrando architettura, urbanistica e paesaggio. Lavorando anche sul mutamento, sul movimento, questioni non secondarie e strettamente legate a questo nuovo approccio all’architettura. Possiamo quindi fare il salto: dal paesaggio inteso in senso figurativo come qualcosa che ha un valore in sé, al paesaggio inteso come insieme di relazioni, paradigma di una nuova architettura capace di potenziare la capacità dell’uomo di abitare e gestire gli spazi, captare ed elaborare informazioni, stabilire scambi e interrelazioni, per favorire una maggiore fluidità, permeabilità e lettura degli ambienti di vita dell’uomo.
[Diego Caramma]
Diego Caramma, architetto svizzero,direttore della rivista Spazio Architettura giunta al quarto anno di vita con cinquantanove numeri pubblicati, rappresenta l’alternativa alle riviste di architettura tradizionali, un punto di riferimento per l’architettura e la critica.