Guido Guidi. Fotografare l’architettura
Guido Guidi è un fotografo anomalo. Non si nutre di sola fotografia, ma ha una necessità interiore di coinvolgere nelle sue riflessioni tutte le arti visive: dalla pittura italiana del tre-quattrocento (con l’amato Piero della Francesca) all’espressionismo, dall’arte concettuale alla fotografia americana (Walker Evans, Robert Adams, Lee Friedlander, Stephen Shore, John Gossage). Analizza i più piccoli dettagli, dalla sequenza alla composizione di ogni singola opera comprendendone la poetica. La giovanile passione per il cinema vede impegnato Guidi nello studio dei film di Michelangelo Antonioni per le rigorose sequenze nel montaggio, i colori tenui e la lentezza nel narrare storie. Quella stessa lentezza che impiega il fotografo nel rito di montare la macchina di grande formato sul cavalletto, vedere l’inquadratura e, come in una battuta di caccia, prendere la mira e colpire con precisione il bersaglio. Guidi, fotografo e intellettuale di prim’ordine di origine cesenate, si forma negli anni mitici dello IUAV veneziano quando insegnavano maestri come Bruno Zevi, Giancarlo De Carlo, Luigi Veronesi, Italo Zannier, Ignazio Gardella e Carlo Scarpa. Proprio con Scarpa nasce un legame che va oltre il rapporto allievo-maestro quando nel 1996 il Centre Canadien d’Architecture gli affida la lettura fotografica dell’opera scarpiana. Dalla Banca Popolare di Verona a Casa Veritti, dalla Fondazione Querini Stampalia a Palazzo Abatellis fino al mausoleo che l’architetto veneto progetta per la famiglia Brion a San Vito d’Altivole. Carlo Scarpa’s Tomba Brion è il libro in uscita per l’editore tedesco Hatje Cantz (testi di Antonello Frongia e dello stesso Guidi) che viene presentato, insieme alla mostra fotografica, nell’ambito di Savignano Immagini (9-11 settembre Savignano sul Rubicone). Un’ossessione visiva formata da centinaia di fotografie, messe in pagina in una sequenza lentissima come se il suo autore desse il tempo del disvelamento dell’architettura. La processualità che Guidi mette in atto vuole fissare il tempo della trasformazione dell’architettura al variare della luce. In questo modo compara le figure geometriche a forma di freccia delle luci e delle ombre portate che si formano nella tomba, in particolari ore del giorno, con la freccia del tempo che appare nei disegni di Paul Klee. In questo senso Guidi modifica il rapporto tra la fotografia e l’architettura, dove la sua è una visione non banale ne ossequiosa nei confronti dell’architetto, anzi si pone come riflessione visiva critica dell’architettura. E’ l’approccio ai luoghi e alle architetture che determina una cesura tra Guidi e il resto dei fotografi esemplificato dalla battuta mi son messo nelle scarpe di Carlo Scarpa. Fino dagli anni settanta Guidi è presente in tutte le mostre fotografiche più significative da Iconicittà a Penisola, da Viaggio in Italia a Esplorazioni sulla Via Emilia, solo nell’ultimo decennio ha conquistato risonanza internazionale attraverso le fotografie di architetture famose e anonime. |