Luca Guido. L’autodistruzione del LACMA

Com’era il Lacma a Los Angeles, ph.Carol M. Highsmith da Wikipedia

Dopo mesi di chiusura a causa del coronavirus, il primo aprile 2021 riaprirà al pubblico il Los Angeles County Museum of Art, conosciuto più semplicemente come LACMA. Non si tratta di uno scherzo di aprile, nonostante negli ultimi anni il comportamento reticente e snob dei vertici del museo sia sembrato poco serio nei confronti del suo stesso pubblico.

La vicenda ha origine nel 2009, quando Michael Govan, direttore del LACMA, lascia trapelare le sue intenzioni di rinnovare il museo e dichiara di non voler farsi trovare impreparato dall’arrivo di una nuova fermata della Linea D della metropolitana, prevista all’incrocio tra Wilshire Boulevard e Fairfax Avenue, che presto faciliterà l’afflusso di turisti nell’area (1). A tale scopo Govan si rivolge all’architetto svizzero Peter Zumthor, all’epoca appena nominato vincitore del premio Pritzker. Govan e Zumthor rinsaldano così un rapporto di collaborazione nato alcuni anni prima per un progetto rimasto sulla carta, concepito per la Dia Art Foundation, prestigiosa istituzione museale precedentemente diretta da Govan.

A seguito dell’incarico, le informazioni rilasciate al grande pubblico vengono centellinate. Bisogna aspettare fino al 2013 per vedere la prima proposta di Zumthor (2). Il progetto viene presentato entusiasticamente da Govan in una mostra intitolata The Presence of the Past: Peter Zumthor Reconsiders LACMA (3). Non si capisce se la mostra sia un omaggio o un riferimento inconsapevole alla biennale veneziana del 1980 organizzata da Paolo Portoghesi (4). Ad ogni modo, il titolo non evoca il mondo dell’architettura postmoderna citazionista ed eclettica degli anni ottanta del Novecento, ma potrebbe essere interpretato come sorta di cupo presagio per una città proiettata al futuro come Los Angeles.

Il plastico preliminare rivela una forma sinuosa di colore nero, tanto muscolare nella sua stazza quanto evanescente nel suo stato di definizione. Il distributivo interno appare abbozzato e confuso e il progetto nel suo complesso non cattura. Alcuni dicono che la forma esterna ricordi un fiore, mentre altri parlano di un’ameba o di un blob. Inoltre l’edificio proposto non tiene conto dei La Brea Tar Pits, i pozzi di catrame presenti all’interno di Hancock Park, dichiarati National Natural Landmark. Zumthor è costretto a rivedere la pianta e ridimensionare il mastodontico progetto, che assume le forme di un ponte su Wilshire Boulevard (5).

La nuova proposta fa tabula rasa di buona parte del campus del LACMA. In particolare Zumthor prevede sia la demolizione dei volumi progettati da William Pereira (1909-1985) nel 1965, che l’abbattimento dell’addizione predisposta su progetto di Hardy Holzman Pfeiffer Associates nel 1986. I più recenti edifici di Renzo Piano non sono invece interessati da alcun cambiamento. Molti affezionati del museo gridano allo scandalo. Lo storico e critico di architettura Alan Hess, si impegna alacremente per decantare i pregi e le qualità del progetto di Pereira, sensibilizzando l’opinione pubblica e mettendola in guardia nei confronti di quello di Zumthor (6).

Il tema della discussione si incentra dunque sul problema della conservazione dell’architettura moderna. Il progetto di Pereira non eccelle per virtuosismi decorativi o spaziali, ma si presenta come una testimonianza significativa di un periodo storico preciso. Le caratteristiche architettoniche si elencano facilmente: edifici e piazza flottanti che occhieggiano alla lezione dell’urbanistica moderna; facciate simmetriche con pilastri in calcestruzzo da interpretare come un’adesione all’approccio pragmatico dell’International Style; volumi edilizi organizzati asimmetricamente per dare un tocco di movimento, ma con un senso classico del bilanciamento. Nel complesso il LACMA di Pereira incarna un approccio ottimista e anonimo, sponsorizzato dal capitalismo del secondo dopoguerra. L’edificio rappresenta un’icona di un modo di pensare più che di uno stile architettonico. Si tratta infatti di un museo che si presenta nelle vesti di un brutalismo gentile, che non stupisce, ma che per questo risulta familiare all’americano medio.

La distruzione della sede storica del Lacma, Courtesy of Bart Prince

Questo quadro viene compromesso nel 1986 dall’addizione di Hardy Holzman Pfeiffer Associates, che distrugge l’unitarietà dell’intervento di Pereira. È curioso che un’istituzione dedicata alla conservazione e alla valorizzazione dei manufatti del passato abbia deciso di non prendere in considerazione soluzioni alternative alla demolizione totale. Tuttavia, il destino sembrava essere stato segnato già nel 2001, quando gli edifici di Pereira erano stati minacciati da un progetto di Rem Koolhaas che prevedeva la costruzione di una grande copertura voltata semitrasparente, sotto la quale si erigeva una ordinata sequenza di volumi scatolari (7).

La polemica si trascina per diverso tempo, alimentata dalla spropositata cifra di 650 milioni di dollari preventivata per l’edificio di Zumthor e dal fatto che le immagini del progetto vengono rilasciate con parsimonia e a singhiozzo, senza lasciar capire lo stato di avanzamento progettuale (8). Tutta la vicenda assume una portata nazionale e i reportage rivelatori di Christopher Knight del Los Angeles Times diventano argomento da premio Pulitzer (9). Si scopre così che il progetto di Zumthor prevede una sostanziale diminuzione delle superfici espositive del museo. Le voci critiche si fanno sempre più feroci, tanto che Joseph Giovannini, un affermato critico di architettura, tuona dalle pagine del Los Angeles Review of Books “è molto peggio di quello che si possa pensare” (10). Giovannini scrive una serie di articoli, elencando ogni problematica del progetto di Zumthor: riduzione della lunghezza lineare espositiva superiore al 50% rispetto agli edifici esistenti, relativa riduzione delle gallerie, soffitti bassi, sottovalutazione dell’incremento dei costi di costruzione (già si parla di oltre 750 milioni di dollari), criticità finanziarie nel lungo periodo, mancanza di sicurezza negli spazi al piano terra, rendering non veritieri, mancanza di dibattito e di confronto con idee alternative. Nasce un comitato denominato The Citizens’ Brigade to Save LACMA di cui Giovannini è uno dei fondatori assieme a Greg Goldin, Evelyn Kalka, Emma Gardner (11). Dalla parte dei supporter del progetto di Zumthor troviamo, tra gli altri, l’attore Brad Pitt, noto per la sua passione architettonica, e Diane Keaton (12).

Giovannini sottolinea anche che il LACMA è finanziato con i soldi dei cittadini e accusa Govan che il dibattito sia stato viziato dalla mancata condivisione di informazioni, dal rilascio di false dichiarazioni, da illeciti e abusi, conflitti di interesse oltre che da arroganza e mancanza di rispetto nei confronti della cosa pubblica (13). Accuse pesantissime che hanno condotto ad una causa legale da parte della Miracle Mile Residential Association contro la città di Los Angeles e il Los Angeles County Board of Supervisors, quest’ultimo ritenuto colpevole di aver approvato il progetto senza aver tenuto conto di soluzioni alternative e senza aver mai visto i disegni definitivi del progetto. The Citizens’ Brigade si affretta anche ad organizzare un concorso di architettura intitolato provocatoriamente “LACMA Not LackMA” e a cui vengono invitati diversi gruppi di progettisti internazionali come Barkow Leibinger, Coop Himmelb(l)au, Kaya Design, Paul Murdoch Architects, Reiser+Umemoto e TheeAe (14). I controprogetti sono solo un riscatto digitale. Mostrano che soluzioni alternative sono possibili, ma non convincono le autorità a fare un passo indietro.

La polemica esplode letteralmente nella primavera del 2020, con l’inizio improvviso dei lavori di abbattimento (15). Approfittando delle restrizioni dovute al coronavirus, viene dato il via libera alle demolizioni. Una mossa che comunica una situazione di disagio da parte del museo e che desta disapprovazione generale (16). In questa situazione, l’atteggiamento vago e reticente del museo è certamente censurabile, ma ancora più fastidioso appare l’aver affidato il progetto ad un architetto che dalle interviste appare poco sensibile alle critiche che gli vengono mosse. Inoltre il grande edificio di Zumthor si dimostra indifferente a qualsiasi elemento della cultura orientale che rende effervescente e caratterizza la west coast americana. Non a caso, non è stata spesa una sola parola per spiegare la relazione tra la proposta di Zumthor e il famoso Pavilion for Japanese Art progettato da Bruce Goff (1904-1982) alla fine degli anni settanta e completato dopo la sua morte nel 1988 grazie a Bart Prince, che aveva lavorato al progetto sin dagli inizi ed era stato designato da Goff responsabile della preparazione dei disegni esecutivi e della supervisione della costruzione (17).

Il padiglione giapponese oltre ad essere il più grande edificio pubblico progettato da Goff è da considerarsi come una sorta di antitesi agli edifici di Pereira. Goff è uno dei pochi rappresentanti di un approccio ‘altro’, ispirato, libero, creativo, non allineato al conformismo funzionalista o agli intellettualismi dell’accademia. Il padiglione che progetta per il LACMA, oltre a riflettere l’affascinante personalità di Goff, è un omaggio alla cultura giapponese, alla ricerca spaziale, alla sperimentazione strutturale (18). L’uso dei materiali e della luce ne fanno un capolavoro di museografia da preservare e conservare.

Tuttavia, anche in questo caso l’atteggiamento del LACMA risulta misterioso e sospetto. Nel febbraio del 2018 il padiglione giapponese viene chiuso per un ammodernamento (19). Il museo lascia intendere che il padiglione di Goff sarà conservato, ma viene anche evidenziata la necessità di lavori strutturali in fondazione e il rinnovamento degli impianti. Secondo LJ Hartman, uno dei responsabili dell’ufficio tecnico del LACMA, la falda acquifera dell’area, prossima al piano di campagna, si sarebbe infiltrata nelle fondazioni. Altri lavori riguarderebbero invece i cavi della copertura e la rimozione del giardino progettato dal paesaggista Koichi Kawana (20).

Se fosse vero quanto dichiarato a proposito della falda acquifera e delle fondazioni, sarebbe abbastanza per fermare le manie di grandezza di Govan, evitando che la gigantesca mole dell’edificio di Zumthor sprofondi nei pozzi di catrame di Hancock Park. Purtroppo nessuno sembra essersi preoccupato di questo aspetto e si spera che gli ingegneri di Zumthor ne siano sufficientemente consapevoli. Nel maggio del 2020 iniziano a circolare online foto che mostrano la demolizione di una delle passerelle di accesso al padiglione di Goff, mentre non viene rilasciata nessuna altra informazione riguardo i presunti lavori di restauro. Solo nel settembre del 2020 vengono presentati al pubblico i primi disegni dell’intervento di Zumthor; in essi si nota una fitta coltre di alberi e arbusti, pensata con l’evidente scopo di isolare (e nascondere?) l’edificio di Goff (21). Rimane un mistero come i lavori di demolizione e costruzione del nuovo museo modificheranno la circolazione e l’uso del padiglione giapponese.

Purtroppo tutto questo dimostra che la pandemia abbia incoraggiato il proseguimento di un atteggiamento reticente e a tratti omertoso. Nonostante sia stato realizzato il sito web buildinglacma.org con lo scopo di sponsorizzare il progetto e attenuare le polemiche, gli articoli pubblicati sul Los Angeles Times appaiono più dettagliati e significativi delle informazioni diffuse sul sito ufficiale. Il LACMA e il suo direttore Govan hanno così stabilito un preciso decalogo di tutto quello che non si dovrebbe fare nel processo di conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico moderno. A distanza di quasi cento anni sembra che gli sventramenti fascisti praticati in Italia negli anni venti del secolo scorso non abbiano insegnato niente, o che abbiano insegnato troppo.

Sarebbe stato possibile dare un nuovo senso agli edifici di Pereira, demolendo solo l’addizione degli anni ‘80? E ancora, sarebbe stato possibile concepire un nuovo progetto, capace di portare il museo e la città di Los Angeles nel futuro, senza cancellare il patrimonio edilizio preesistente? Grazie alla caparbietà di Govan e Zumthor le risposte sono solo un esercizio accademico.

Di certo, possiamo solo affermare che tutta la vicenda avrebbe richiesto uno sforzo maggiore da parte delle istituzioni e degli individui coinvolti nel processo di trasformazione del LACMA.

[Luca Guido]

27.3.21

(1)Cfr. Edward Lifson, “A Bolt of Zumthor”, Architect’s Newspaper, 24 novembre 2009, https://web.archive.org/web/20110107094527/http://www.archpaper.com/e-board_rev.asp?News_ID=4084 (consultato il 23/03/2021); Christopher Hawthorne, “Peter Zumthor, Michael Govan plot LACMA’s future”, Los Angeles Times, 7 dicembre 2009 https://latimesblogs.latimes.com/culturemonster/2009/12/for-those-of-you-keeping-score-at-home-were-up-to-three-architectural-saviors-for-the-los-angeles-county-museum-of-art.html (consultato il 23/03/2021)

(2https://www.lacma.org/art/exhibition/presence-past-peter-zumthor-reconsiders-lacma (consultato il 23/03/2021); Carren Jao, “LACMA Director and Peter Zumthor Make the Case for Museum’s Redesign”, Architectural Record, 5 giugno 2013, https://www.architecturalrecord.com/articles/2898-lacma-director-and-peter-zumthor-make-the-case-for-museum-s-redesign (consultato il 23/03/2021)

(3)Amy Frearson, “Peter Zumthor unveils redesign for Los Angeles County Museum of Art”, Dezeen, 10 giugno 2013, https://www.dezeen.com/2013/06/10/the-presence-of-the-past-peter-zumthor-reconsiders-lacma/ (consultato il 23/03/2021). Per conoscere il punto di vista di Michael Govan si consiglia la lettura di: Aaron Betsky, “LACMA’s Michael Govan Defends Peter Zumthor’s Proposed Plan”, Architect. The Journal of the American Institute of Architects, 26 agosto 2013 https://www.architectmagazine.com/design/lacmas-michael-govan-defends-peter-zumthors-proposed-plan_o (consultato il 23/03/2021)

(4)Cfr. La presenza del passato: prima mostra internazionale di architettura, Corderie dell’Arsenale, Venezia: La Biennale di Venezia, 1980

(5) Rory Stott, “Peter Zumthor & LACMA Unveil Revised Museum Design”, ArchDaily, 7 luglio 2014, https://www.archdaily.com/524586/peter-zumthor-and-lacma-unveil-revised-museum-design (consultato il 23/03/2021)

(6)Tra i molti articoli sull’argomento si segnala: Antonio Pacheco, “Time is running out for William Pereira’s modernist legacy”, Architect’s Newspaper, 26 settembre 2016, https://www.archpaper.com/2016/09/william-pereira-preservation-legacy/ (consultato il 23/03/2021); Thomas Harlander, “The Nebulous Future of LACMA’s Black Blob Design”, Los Angeles Magazine, 25 marzo 2015, https://www.lamag.com/citythinkblog/christopher-hawthorne-and-friends-discuss-the-future-of-lacmas-black-blob/ (consultato il 23/03/2021); Hadley Meares, “LACMA is beloved. Its design never was”, Curbed Los Angeles, 23 aprile 2020, https://la.curbed.com/2020/4/23/21230153/lacma-museum-los-angeles-history-pereira (consultato il 23/03/2021); “Pereira in Peril: LACMA campus tour with Alan Hess & Richard Schave”, YouTube, 6 ottobre 2016, https://youtu.be/uvDFVI71XVo (consultato il 23/03/2021)

(7https://oma.eu/projects/lacma-extension (consultato il 23/03/2021)

(8)Jori Finkel, “Lacma’s $650 Million Buiding by Peter Zumthor Is Approved”, The New York Times, 9 aprile 2019; https://www.nytimes.com/2019/04/09/arts/design/lacma-design-peter-zumthor.html (consultato il 23/03/2021)

(9) Gli articoli di Christopher Knight sono pubblicati al seguente link: https://www.pulitzer.org/winners/christopher-knight-los-angeles-times (consultato il 23/03/2021)

(10)Joseph Giovannini, “LACMA, Part I: Going Rouge”, Los Angeles Review of Books, 9 febbraio 2020; https://lareviewofbooks.org/article/lacma-part-going-rogue/ (consultato il 23/03/2021)

(11http://savelacma.org/about/ (consultato il 23/03/2021)

(12) Per un’articolata storia della vicenda e una sintesi ad ampio raggio delle voci in campo, con un focus specifico sul pensiero di Zumthor, si consiglia la lettura di Dana Goodyear, “The Iconoclast Remaking Los Angeles’s Most Important Museum”, The New Yorker, 5 ottobre 2020, https://www.newyorker.com/magazine/2020/10/12/the-iconoclast-remaking-los-angeles-most-important-museum (consultato il 23/03/2021)

(13) La serie degli articoli di Joseph Giovannini apparsi sul Los Angeles Review of Books può essere consultata al seguente link: https://lareviewofbooks.org/article/lacma-part-going-rogue/ (consultato il 23/03/2021); Cfr. anche Joseph Giovannini, “Lacma’s $650m building plan won’t wash”, The Art Newspaper, 31 maggio 2019, https://www.theartnewspaper.com/comment/lacma-s-usd650m-plan-won-t-wash (consultato il 23/03/2021)

(14) Il titolo del concorso richiama l’omofonia tra LackMA [carenza di Modern Art] con LACMA [Los Angeles County Museum of Modern Art]. Christele Harrouk, “Six International Firms Including Coop Himmelb(l)au, Barkow Leibinger, Reiser + Umemoto Propose New Ideas for LACMA”, ArchDaily, 28 aprile 2020, https://www.archdaily.com/938482/six-international-firms-including-coop-himmelb-l-au-barkow-leibinger-reiser-plus-umemoto-propose-new-ideas-for-lacma (consultato il 23/03/2021)

(15) Cfr. “Building Project: April Update”, Unframed, 9 aprile 2020, https://unframed.lacma.org/2020/04/09/building-project-april-update

(16)Mimi Zeiger, “The cruelness of demolishing LACMA when Angelenos are unable to bear witness should not be ignored”, Dezeen, 4 maggio 2020, https://www.dezeen.com/2020/05/04/mimi-zeiger-opinion-lacma-demolition-coronavirus/ (consultato il 23/03/2021)

(17) Cfr. David De Long, Bruce Goff. Toward Absolute Architecture, Cambridge, Mass., London: The MIT Press, 1988, pp. 289-294

(18) La complessa struttura del padiglione giapponese è stata resa possibile grazie all’intuito e al calcolo di J. Palmer Boggs, visionario ingegnere che ha reso possibile la costruzione di innumerevoli opere progettate da Goff.

(19)“Visit the Pavilion for Japanese Art Before Temporary Closure”, Unframed, 31 gennaio 2018, https://unframed.lacma.org/2018/01/31/visit-pavilion-japanese-art-temporary-closure (consultato il 23/03/2021); Michael VanHartingsveldt, “Behind the Scenes in the Pavilion for Japanese Art: Where Did the Art Go?”, Unframed, 17 dicembre 2018, https://unframed.lacma.org/2018/12/17/behind-scenes-pavilion-japanese-art-where-did-art-go (consultato il 23/03/2021)

(20) I lavori da realizzare sono brevemente descritti nell’articolo di Chi-Young Kim, “What’s Going on with the Renovation of the Pavilion for Japanese Art?”, Unframed, 5 settembre 2018,https://unframed.lacma.org/2018/09/05/what%E2%80%99s-going-renovation-pavilion-japanese-art (consultato il 23/03/2021)

(21) Carolina A. Miranda, “What will LACMA’s new building look like inside? Here are the long-awaited gallery plans”, Los Angeles Times, 17 settembre 2020; https://www.latimes.com/entertainment-arts/story/2020-09-17/after-months-delay-lacma-reveals-gallery-plans-new-zumthor-building (consultato il 23/03/2021)