Federica Doglio. Dal Nord America a Torino.
Che cosa possiamo imparare dalle voci e dalle esperienze presentate sul luminoso palco di Torino Stratosferica? Le Utopian Hours sono uno strumento per pensare, sognare, fermarsi e saper cogliere le suggestioni che ci vengono presentate da voci diverse, ma tutte entusiaste. Il futuro è lì davanti a noi. Il merito del festival di Torino Stratosferica, diretto da Luca Ballarini, è quello di aver posizionato il capoluogo piemontese, molto spesso additato come lontano dall’essere il centro di una discussione sulla città contemporanea e sulla sua avanguardia, di nuovo al centro del dibattito. Oltre ai relatori sul palco, sono soprattutto le tre figure di Urban Explorer che hanno provato a leggere Torino, le sue potenzialità e le sue criticità, attraverso un’operazione che trova le sue radici nelle pratiche flaneuriste. In particolare il racconto di Jorick Beijer, di Blossity, primo Urban Explorer, invita la città, ricca di luoghi atti allo sviluppo di talenti, data la sua moltitudine di università, a diventare una “sticky city”, ovvero una città capace di attirare talenti, ma con l’obiettivo di farli rimanere. Questa è la sfida per costruire un sistema universitario e post-universitario di successo. All’intervento di Beijer seguono due racconti di esperienze sulla crescita e le potenzialità per la città del futuro che arrivano dal Nord America, e in particolare da Toronto e da New York. Due città che oggi si stanno confrontando con un orizzonte di crescita, demografica ed economica, con una necessità di maggiori spazi per la comunità. Una visione diametralmente opposta a quella che sentiamo quotidianamente nell’ambito italiano, in epoca di shrinkage e di decrescita, non sicuramente felice. La crescita si rapporta ogni giorno con questioni di carattere ambientale, climatico, sociale, e necessariamente di spazio. Così raccontano Michelle Senayah dell’associazione “Laneway project” di Toronto, Laurie Hawkinson di SMH+ e Emily Bauer di Bau Land, e il critico di The Architect’s Newspaper Jonathan Hilburg. SMH+, Zerega Avenue Emergency Medical Services Station, Bronx, NYC 2013 Una storia diversa legata alla sicurezza e alla vivibilità arriva da New York. Laurie Hawkinson dello studio SMH+ e Emily Bauer di Bau Land presentano le loro esperienze di progettiste per una città in crescita, ma fragile dal punto di vista ambientale. I recenti allarmi sui repentini cambiamenti climatici, dopo la devastazione dell’uragano Sandy (2012), determinano la direzione verso la quale il nostro pianeta sta andando. Quale è la responsabilità del progettista? E al tempo stesso come immaginare e costruire una città in crescita, ma che non ha terreno disponibile su cui crescere, che deve fare i conti con confini sempre più ristretti a causa dell’esondabilità delle acque che circondano Manhattan e in parte Brooklyn e Long Island City? Come possiamo vivere in questa città con un orizzonte di incertezza? Sono importanti questioni su cui tutti dovremmo riflettere. Infatti i progetti per New York , per renderla vivibile in futuro, dovranno essere necessariamente pensati come sistemi adattabili all’acqua, e alle mutevoli condizioni del clima. Riflessioni che valgono anche per il contesto italiano. 21.10.19 |