Emanuele Piccardo. La città anestetizzata
Telecamere, fotografi, giornalisti inquadrano il tratto ovest del viadotto con le gru ferme ma appoggiate all’impalcato come se, da un momento all’altro dovessero mettersi in azione, è il 15 dicembre 2018. Il sindaco-commissario illustra il piano di demolizione ai tg nazionali che riportano l’inizio del cantiere. L’Italia assiste alla rappresentazione teatrale e mediatica del non inizio come accade anche l’8 febbraio 2019. La città non si è ancora ripresa dal trauma del crollo, la politica al potere ha anestetizzato le menti dei cittadini, oramai interessati solo ad uscire dall’incubo invece di capire perché ci sono finiti. Oggi i morti non esistono più, nessuno si ricorda delle 43 vittime, ma siamo bene attenti ai problemi degli sfollati, che sfollati non sarebbero dovuti essere se una opera di avanguardia architettonica non fosse crollata come una costruzione di carta con responsabilità di molti e di nessuno, come spesso accade in Italia. Il crollo ha messo in evidenza il crollo dell’idea di Stato, di comunità e di futuro ma non ha contribuito ad attivare una riflessione sul progetto di sviluppo di Genova e sui problemi della Valpolcevera. Una vallata massacrata dalle industrie che non ha mai avuto una chance di riscatto, oggi, forse, con il nuovo viadotto l’avrà?Si, a patto che si voglia la rinascita della Valpolcevera e si attivino una serie di concorsi di progettazione, non di idee, per riconfigurare gli spazi dismessi e trasformarli in spazi per la collettività, il tempo libero e quella industria leggera legata alle nuove tecnologie. E ancora lavorare sulle connessioni tra le rive del fiume, sulla mobilità verso Trasta dove dovrebbe sorgere la stazione alta velocità di Genova.
Non è accaduto nulla in questo senso bensì la fretta è stato il mantra che ha guidato il sindaco-commissario, come se velocità fosse sinonimo di efficenza e non di superficialità nel prendere decisioni poco comprensibili che incideranno nel rapporto tra la città, il territorio e la mobilità. Così è accaduto nella consultazione delle aziende invitate a presentare un progetto di demolizione e ricostruzione. Nella ricostruzione ha vinto il progetto, “ispirato” al disegno donato da Renzo Piano, della cordata Impregilo/Salini-Fincantieri Infrastructure-ItalFerr, battendo i quattro progetti proposti da Cimolai (che prevedeva anche il Parco della Memoria), tra cui il “ponte dei pescatori” disegnato da Santiago Calatrava. Il sindaco-commissario enfatizza l’inadeguatezza della soluzione strallata “nel rispetto della sensazione di avversione psicologica…nei confronti di altre tipologie di ponti con parti sospese o strallate”. Non risulta che siano state svolte indagini sociologiche sullo stato psicologico dei genovesi ne consultazioni tra i cittadini per scegliere il nuovo viadotto come avviene in Svizzera con le opere pubbliche. Le motivazioni alla base della scelta non si basano su criteri oggettivi ma soggettivi come nella frase “estetica e progettualità derivate dalla storia-immagine di Genova, città di mare, in ragione della forma delle pile e dell’implacato…che richiamano la prua e la sezione di una nave”. Tutto è stato deciso in piena autonomia dal sindaco-commissario senza attivare nessun dibattito pubblico neanche per presentare il progetto scelto. Una anomalia di questo periodo storico in cui non si condividono ma si impongono le scelte, segnali opachi di una crisi della democrazia. Questo articolo è uscito per La Repubblica/Genova il 18.2.19 |