Emanuele Piccardo. Villa Croce, specchio del declino di Genova

P1020258

Emanuele Piccardo, Camera Obscura, Villa Croce, 2008

E’ il 1985 quando Genova si dota del museo comunale di arte contemporanea “Villa Croce” dal nome della famiglia che dona l’immobile e fin dall’inizio ha un problema di spazio. Troppo piccola la villa per le grandi installazioni e le 4100 opere, tra cui la collezione Ghiringhelli, (220 opere dall’astrattismo a Lucio Fontana, da Fausto Melotti a Pietro Consagra), nonostante tutto resiste per un ventennio, ma oggi servirebbero nuovi spazi. Il museo nasce sotto la regia pubblica dell’assessore Attilio Sartori della giunta Cerofolini (1975-1985), che apre la città al dibattito con mostre, incontri, festival, una esperienza mai più realizzata. Nel 2012 il Comune, sulla base di una petizione pubblica guidata dalla galleria Pinksummer, decide di affidare il museo ad un curatore attraverso un concorso vinto da Ilaria Bonacossa. I privati entrano per la prima volta nella gestione museale con una sponsorizzazione per il primo anno di 120.000 euro che si riduce negli anni, a fine 2016 la Bonacossa lascia l’incarico per dirigere Artissima.

Nel frattempo l’amministrazione di centrosinistra guidata da Marco Doria dirotta in altre strutture i dipendenti del museo, con l’intento di liberarsi della sua gestione. Il rapporto tra città e museo non é mai stato buono e l’ostracismo é venuto dalla politica, dalla direzione musei, con una spietata concorrenza di Palazzo Ducale che organizza anche mostre di arte contemporanea. Così in questo processo di disimpegno del pubblico, nel 2015 Palazzo Ducale e Comune convincono la Fondazione Garrone a organizzare un master per la gestione dei servizi del museo (bookshop, cafeteria, attività collatterali, didattica). Sono selezionati 7 gruppi le cui idee gestionali concorrono tra loro per scegliere la migliore. Open srl vince con un premio di 50.000 euro, senza avere nessuna precedente esperienza, ed in questi giorni ha dichiarato (leggi qui) che non riesce a tenere aperto il museo, accusando le scelte “elitarie” di Bonacossa come causa della mancanza di visitatori ( i visitatori nel 2014 sono stati 12.900, nel 2015 12.600, nel 2016 9.500).

Il museo apre quattro giorni la settimana, come é possibile incrementare le risorse con compleanni e feste chiudendo il museo l’agosto scorso per ferie? Inoltre sembra che le Open non abbiano rispettato il contratto allora perché Fondazione Garrone e Comune non l’hanno revocato? Nel 2017 viene indetto dal Comune un nuovo concorso che nomina curatore Carlo Antonelli. Il suo programma mette al centro Genova, con il ritorno di Vanessa Beecroft e Giulio Paolini, il cui obiettivo é riportare i genovesi al museo. L’assessora Serafini in piena sintonia con le Open afferma, riferendosi alla precedente direzione artistica, che “forse le mostre scelte, per quanto molto belle, erano troppo complesse e di nicchia, non in grado di attirare molte visite”(leggi qui), nessuna notizia di strategie per il futuro del museo ma solo assenza di progetto. E’ il declino di Genova e della sua classe dirigente, compresa quella borghesia che colleziona Warhol ma che non fa nulla per la città.

[Emanuele Piccardo]