Emmanuele Lo Giudice. Intervista a Bernard Tschumi

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(fotografia tratta dal sito web del Rosey Concert Hall)

Bernard Tschumi (Losanna, 1944), architetto svizzero con doppia nazionalità (svizzera e francese), è senza alcun dubbi uno degli architetti più importanti e rappresentativi dell’architettura degli ultimi cinquant’anni. Considerato a livello internazionale tra i maggiori esponenti del decostruttivismo, con Il suo linguaggio eclettico sempre in evoluzione, ha difatti destabilizzato i rapporti tra forma, funzione e linguaggio, fornendo al contempo nuovi punti di riflessione e comprensione sull’architettura contemporanea.

Conosciuto inizialmente come teorico e docente presso la Architectural Association di Londra e presso diverse università americane, è diventato noto al grande pubblico soprattutto come preside della Graduate school of architecture, planning and preservation alla Columbia University di New York. A partire dal 1982, dopo la realizzazione del sorprendente Parc de La Villette a Parigi (il più esteso complesso architettonico decostruzionista),  Bernard Tschumi inizia a realizzare progetti di alto profilo in tutto il mondo. Tra gli innumerevoli progetti si ricorda in particolare una delle sue ultime realizzazioni: il pluripremiato Museo dell’Acropoli di Atene (2001-2009). Questo museo ospita l’evoluzione dell’arte greca, soffermandosi in particolare sulle opere relative al Partenone e del suo famoso fregio che, esposto integralmente in una grande teca di vetro orientata seguendo la direzione originale del tempio, presenta, sia le parti originali appartenenti al governo greco, sia delle copie degli originali attualmente esposti al British Museum di Londra.

Bernard Tschumi, con i suoi lavori e con testi, quali The Manhattan transcripts (1981) e Architecture and disjunction (1994), ha sempre segnato delle tappe fondamentali sulla ricerca dell’architettura contemporanea, aprendo nuove e possibili strade di ricerca per una ridefinizione del pensiero architettonico.

Quando nel 1994 sostituisce alla triade vitruviana firmitas, utilitas, venustas, quella di spazio, evento e movimento, introduce di fatto una componente dinamica nel progetto architettonico, che mette in crisi ogni idea di forma espressa attraverso strumenti programmatici definitivi. Il suo approccio metodologico è tanto destabilizzante rispetto alle certezze proprie della visione tradizionale del progetto, quanto aperto agli infiniti nuovi sviluppi che questo può generare, come dispiegamento delle potenzialità che lo spazio presenta all’interno delle sue proprietà e dei suoi caratteri imprevedibili. In tal modo libera lo spazio dai rigidi procedimenti selettivi tipici del progetto, spostando il baricentro, da una pratica progettuale deterministica, verso un’evoluzione della disciplina architettonica che trova nell’indeterminazione il fulcro della sua ricerca.

Si evidenziano in tal modo le varie e inaspettate possibilità operative che lo spazio racchiude, rileggendolo come territorio performativo per eccellenza, e sede di una persistente mutazione di connessioni sempre imprevedibili. Da qui, Tschumi inizia ad esplorare le relazioni che esistono tra evento, azione e movimento, in rapporto allo spazio, avvicinandosi alla filosofia, al cinema, alla letteratura e alle arti visive e performative. Questa sua indagine lo porta ai margini della disciplina architettonica convenzionale, in un “terreno vago” all’interno del quale, posponendo agli aspetti formali l’esperienza vissuta, stabilisce un dialogo tra realtà e mondo concettuale. Lo spazio architettonico diventa in tal modo il luogo della trattativa e dell’incertezza, ed è dentro questi segmenti che la sua architettura diviene l’espressione di un’idea e di un concetto prima ancora che forma architettonica nel senso convenzionale del termine.

La sua è un’architettura in equilibrio tra spazio e tempo, impossibile da dissociare dagli eventi e dal movimento dei corpi che la abitano. Uno dei caratteri specifici del suo lavoro è quindi quello di presupporre l’interazione dinamica tra opera, spazio e osservatore. Ne consegue che lo spazio è dato come realtà fisica plasmata dall’esperienza del movimento che si sviluppa al suo interno, e dal complesso di relazioni che l’uomo stabilisce con esso. La realtà stessa, e con lei la città, divengono quindi l’espressione vitale di una esperienza spaziale dove l’architettura, viene riletta non più come fatto urbano ma come evento urbano, proponendosi come la rivelazione di un luogo del possibile e dell’inaspettato. La città, all’interno di questo panorama non è un luogo “metafisico” della memoria, ma centro designato per la sperimentazione dell’esperienza diretta della fruizione della nostra realtà.

ELG: Professor Bernard Tschumi, la città contemporanea è senza dubbi una realtà articolata difficile da comprendere, che ci pone oggi quesiti ed incertezze perennemente irrisolti: dal tema del limite a quello del locus, della globalizzazione, fino alla delocalizzazione. Secondo lei quale futuro ha la città contemporanea?

BT: Quello della città è la più importante questione del XXI sec, visto che ora che l’attuale establishment dell’architettura sembra aver deciso che la realizzazione di oggetti è più interessante rispetto alla costruzione della città. Nessun architetto oggi guarda seriamente alla sovrapposizione tra reale e virtuale, o l’effetto che i social network hanno sullo spazio fisico pubblico e sociale.

ELG: Secondo lei quali sono i temi dovrebbe sviluppare l’architettura presente e futura?

BT: L’architettura da sempre si occupa del movimento e del tempo. Peccato che gli architetti di oggi sembrano averlo dimenticato.

ELG: Nel suo progetto “New Acropolis Museum”, analizza in modo innovativo il tema del museo. Qual è l’elemento più caratteristico di questo progetto?

BT: Il nostro progetto per l’Acropoli è un progetto che sviluppa principalmente due temi, il movimento e il tempo. Sotto quest’ottica abbiamo ri-concettualizzato i marmi del Partenone, esponendoli come una sequenza dinamica o cinematografica, da leggere in movimento. Il British Museum ha mai capito che il fregio non è una serie di “tableaux” statici di fronte ai quali sedersi, come invece hanno fatto a Londra.

ELG: Negli anni ’70 ci siamo trovati in una profonda crisi economica e petrolifera, per certi simile a quella che stiamo vivendo ora. In quegli anni, New York aveva ancora un forte di attrazione, di richiamo nonostante la crisi. Secondo lei, quale città oggi ha la stessa forza di New York degli anni ’70?

BT: Tutte le grandi città con un passato e un presente significativo, sono oggi città in crisi. Questo perché sembrano incapaci di proiettarsi nel futuro. La cosa positiva considerando le loro condizioni, è che città come Londra, New York, Tokyo e persino Roma o Milano possono sempre ospitare al loro interno sacche ricche di inventiva e di immaginazione.

ELG: Le sue opere architettoniche sono legate all’arte, alla filosofia e al cinema. Chi o cosa l’ha influenzata maggiormente?

BT: Scrittori, registi, artisti, architetti, matematici, sono tutti importanti perché l’architettura non è una categoria autonoma o chiusa in se stessa, ma abbraccia concetti ed esperienze sensoriali, teoria e pratica, relazioni materiali e sociali.

ELG: Che cosa è più importante a suo parere? Il passato, presente o futuro?

BT:Il futuro, perché contiene in se, sia il nostro passato che il nostro presente.

[Emmanuele Lo Giudice]

4.1.18 Peer Review EP
(L’intervista qui riportata è stata realizzata nel 2015 e tradotta dall’autore)